Cantare
in Chiesa: preghiera – esibizione - ostentazione –
interpretazione - incomprensione – discussione – rassegnazione-
orazione.
Un
arcobaleno con meravigliosi colori
Quanto
è presente il sentimento della esibizione per l'ostentazione in
colui che canta? L'umana verità non la conosceremo mai! Poiché ogni
persona-uomo è un ...mistero. Al suo dire, mai avremo delle prove
concrete, convincenti che sentenziano la pura sostanza che motiva
l'umana verità del fatto. Nell'incertezza e per non occasionare che
l'esibizione venga interpretata come ostentazione, non si dovrebbe
cantare! Come in ogni cosa è bene usare la moderazione, questa
possibilità ci viene offerta nel cantare e, se ci dovesse
essere della ostentazione, venga di buon cuore accettata perché
garbatamente usata. Pare che il vero canto di ogni persona sia il
“giubilo”; questa parola nel vocabolario viene spiegata con
alcune citazioni come queste: “Tutti giubilarono alla notizia; E
giubilando l'etere commosse; Giubilate, domani è vacanza! Pieno di
giubilo, di gioia; ecc.” Se osserviamo, in tutte queste
precisazioni non viene mai indicato cosa usare per...giubilare;
appunto perché per giubilare ognuno deve cercare tutti quegli
elementi che ritiene necessari per produrre il giubilo. Quindi
cantare con giubilo può venire inteso come una libera manifestazione
canora a soggetto. Ognuno nel giubilare inventa parole e melodia:
cantore di se medesimo. Questo, forse, è l'unico modo di cantare con
minore entità di “Ostentazione” ed anche il più genuino in
quanto non disciplinato da regole.
Penso
che la melodia del Canto Gregoriano sia quella che maggiormente ha la
capacità di offrire al cantante il piacere di cantare inibendo, in
parte, l'esibizione e allo stesso tempo veramente ...pregare. La
melodia Gregoriana, se osserviamo, è composta da tante e svariate
...sinusoidi. Il cantante, solitamente, è portato a mettere in luce
le proprie qualità e capacità con propri virtuosismi: l'esibizione
viene calamitata dal velato/implicito piacere umano di mettersi in
evidenza e così far mostra di sé e magari, o purtroppo, per quello
che veramente non è! Il Canto Gregoriano, oltre alla tipica melodia,
ha un altro elemento positivo su cui riflettere: la notazione
musicale delle note stabilisce per tutti, solo e coro, come il canto
deve venire eseguito. Ciò offre all'esecutore l'occasione di far
conoscere il proprio dono della voce e di mettere in pratica la virtù
dell'obbedienza, che è preghiera. Separare il canto-preghiera
dall'esibizione mi sembra sia un problema irrisolvibile, come
dividere l'indivisibile! Ecco un esempio: questo scritto perché lo
faccio? Esibizione o edificazione? Può essere benissimo per
ostentazione: palesare il proprio parere per mettersi in mostra! A
che scopo? Per quale beneficio? E' una debolezza provocata, forse,
dall'ascolto dei pensieri, su questo tema, trattati da persone
illustri alle quali viene attribuito il titolo di Maestri! Si sa che
tutto quello che fa l'uomo è perfettibile! Anche questo mio scritto
è imperfetto! Certamente, e a maggior ragione, quando si prendono in
esame le intenzioni individuali. Un giorno, una persona, amante del
canto praticato in modo dilettantistico, mi confidò che non aveva
alcun interesse a cantare in chiesa, bensì trovava gusto-piacere
farlo in casa per se stessa. Questo me lo disse in occasione di un
rito liturgico in chiesa nel quale era impegnata ad eseguire la parte
di “assolo.” Che dire di questa palese incoerenza? Siamo certi,
però, di essere dei giudici giusti nel farlo? Pur avendo preso in
esame aspetti esteriori che certamente hanno influenzato il
giudizio, la dichiarata “incoerenza” lo è veramente? Allora cosa
fare per non sbagliare? L'ideale sarebbe quello di tacere ed usare le
parole solo per ...pregare usando testi uguali per tutti. Ad esempio,
il Rosario viene recitato sia dal Sacerdote come dai fedeli in modo
uguale: tutti sullo stesso piano. Il Rosario, per le ripetute parole,
appare noioso perché offre scarse occasioni di esibizione, però ha
il beneficio di esercitare la preghiera con l'umiltà dovuta. Se si
dovessero svolgere tutti i riti religiosi con lo scopo di evitare le
occasioni di ostentazione, allora l'organista non dovrebbe suonare, i
coristi non cantare, i lettori non leggere e i Sacerdoti non
celebrare la Messa! O meglio non predicare! Penso che sia difficile
togliere loro il sermone, in quanto pare sia una delle mansioni della
missione che maggiormente viene da loro gradita Lo si rileva dal
manifesto modo impeccabile da loro usato nella trattazione dei temi:
Parole pronunciate in modo lento, altre messe in risalto con un tono
di voce più marcato, citazioni di famosi poeti o scrittori, per non
parlare delle pause di seguito agli interrogativi. Gli stessi
Celebranti nella lettura del Vangelo non usano lo stesso metodo, ma
talvolta lo leggono in modo frettoloso, quasi al solo scopo di
indicare l'oggetto della predica. Benché nel Messale sia riportata
la seguente frase che il celebrante recita sottovoce prima della
lettura: “Purifica il mio cuore e le mie labbra, Dio onnipotente,
perché possa annunciare degnamente il tuo Vangelo”. Osservazione
malevola: Le parole di Dio vengono messe in secondo piano rispetto a
quelle prodotte dal Celebrante? Tutto ciò si può ritenere frutto
della ostentazione? L'esibizione è talmente forte da inibire la
riflessione su un comportamento conseguente o forse scaturito
dall'abitudine? Prendere atto di tutto ciò può essere anche
ammissibile; formulare un giudizio sul soggetto è da citrulli,
poiché le intenzioni, come detto, costituiscono un mistero.
Nell'armonia
musicale, ogni accordo è costruito su un suono fondamentale,
precisato con la parola “Tonica”. Noi dovremmo utilizzare il
medesimo concetto mettendo la parola “Carità”, in luogo della
parola “Tonica”, per avere l'armonia dei cuori. Alla domanda:
“Allora i Celebranti non dovrebbero... insegnare predicando?”
Certo che lo devono fare e non solo loro, però è controproducente
usare indirizzi di ammonimento quando questi possono venire
identificati come rivolti ad una persona o un gruppo di poche
persone. Esempio: Per l'invito a non rubare, nessuno si risente,
anche se in chiesa ci possono essere dei ladri e, se ci sono, lo
sono però in modo occulto. Se il Predicatore invita a non eseguire
canti da parte del solo coro o di una sola persona affinché gli
esecutori non abbiano ad incorrere nella “ostentazione”, appare
esplicito che le sue parole, pur volte alla prevenzione e
all'insegnamento di non peccare di “ostentazione”, sono
indirizzate a persone ben precise e pare che in Lui, nel fare ciò,
alberghi il sospetto. Il sospetto genera il giudizio e i due elementi
in simbiosi producono un “boomerang” per il Predicatore ed una
“sberla” per i cantanti. La scintilla accende l'arte della difesa
e ...il caseggiato chiesa, da luogo di culto, si trasforma in campo
di ...battaglia! Non si può giudicare perché siamo privi del
potere di ottenere un giusto verdetto perché, anche qui, viene
destata l'insufficiente capacità di scrutare le individuali vere
intenzioni. Però quello che tutti possono o dovrebbero fare è
“offrire comportamenti rispettosi insieme a una genuina parvenza di
correttezza che si ottiene con una maggiore attenzione al valore
fraterno”. Comunque se qualcuno avesse eventualmente a lamentarsi
perché si identifica nell'esempio citato del “sospetto”, gli
suggerisco di dare ampio spazio alla riflessione sul perché del
proprio eventuale lamento: meditazione opportuna per essere certi di
ottenere a sazietà il dono della Pace.
Tutte
le persone che liberamente si prestano ad operare nei vari servizi
religiosi hanno il dono di possedere un'inclinazione, un'attitudine,
una vocazione a svolgere le varie mansioni. La vocazione è un dono
che offre convinzione, determinazione, forza, entusiasmo, audacia,
capacità volitiva, ecc. Colui che ha questo dono, nello svolgere le
mansioni, non avverte le difficoltà o il peso poiché l'impegno a
cui si è assoggettato è stato da lui deciso consapevolmente e in
modo ampiamente libero. La vocazione è un mistero; il mistero fa
sorgere il desiderio di scoprirlo, cosa impropria, ma è proprio
questo a rendere l'attività interessante; penso di non sbagliare a
definirla: suggestiva. I Parroci non dovrebbero essere - e nemmeno
apparire - indisposti ad accogliere repertori di canti scelti ed
eseguiti dai fedeli, ritenendoli non congrui al rito. In ogni Santa
Messa, nella parte principale, il celebrante recita quanto detto da
Gesù: “Fate questo in memoria di me.” Piccola osservazione: Gesù
ha usato il plurale. Da ciò possiamo trarre la conclusione di
educarci al reciproco rispetto che si ottiene in modo efficace con un
dialogo persuasivo, culminante con decisioni assunte nel comune
accordo. O forse gli Ecclesiastici intendono che quel piccolo “Fate”
sia stato rivolto solo a loro, avendo Gesù proferito la parola ai
soli Apostoli e, di conseguenza, i Sacerdoti (loro successori) si
sentono i primi della fila? Se è così, allora si può dire che i
fedeli non sono protagonisti, ma solo degli estimatori della Chiesa
dei Sacerdoti di Gesù. Ma lasciamo poiché entriamo nel “conflitto
dei poteri”. Da non dimenticare la famosa frase del Padre nostro:..
“sia fatta la Tua volontà”. Ogni qualvolta un Cristiano si
lamenta, lo fa perché le cose non vanno come la propria volontà
vorrebbe. Sono debolezze umane; se però vengono riscontrate nei
Maestri, si rimane ...confusi, poiché, pare che per essi ci sia il
solo dovere di recitare, predicare, ma non di praticare. Spesso si
sentono avanzare precise giustificazioni che sentenziano con il detto
che pure i Maestri sono uomini. E allora pare “ manna” invitare
loro a dare maggiore ascolto al valore umano rispetto a quello
magistrale! Le modifiche introdotte nella liturgia dal “Vaticano
secondo” hanno posto in risalto “l'uomo”: il celebrante è
rivolto ai fedeli come atto ossequiante; l'uso della lingua locale;
il rispetto delle locali tradizioni - cultura. Il Concilio ha
stabilito, forse, che queste scelte vengano assunte a discrezione di
ogni Parroco? Le riforme del Concilio devono avere l'“imprimatur”
da ogni singolo Parroco? Al di là delle interpretazioni soggettive,
collegiali come individuali, ritengo che ogni uomo Socio di
un'aggregazione sociale deve avere il diritto-dovere di poterne far
parte in rapporto al proprio desiderio e poter svolgere tutto quanto
egli avverte utile allo scopo comune. Ognuno deve avere la libera
possibilità di compartecipare sia a spingere come a tirare il
“carro”, ma anche a “guidarlo”. Non è onorevole per nessun
uomo venire catalogato da un altro uomo per svolgere mansioni in modo
coatto. L'imposizione non offre una piena certezza per la sua
applicazione; inoltre svilisce o, peggio, lede e priva di significato
la parola che ci definisce: “fratelli”, cioè figli di un solo e
unico Padre ed altrettanto seguaci di un solo unico e vero Maestro!
Ritengo
che, anche nel manifestare le piccole divergenze, le proprie opinioni
abbisognano della prudenza. Le soppressioni fisiche hanno un inizio:
dissenso, diatribe, contrasti, offese, baruffe … e poi guerre,
uccisioni e morti. L'inizio di ogni cosa è dato da un piccolo seme.
Se non vogliamo la guerra non dobbiamo ...seminarla. Facile a dirsi
ma ad esercitarlo? Penso che valga la pena di ricordarsi che il vero
vincitore è il vinto. Con la sua resa ha indotto e donato al
vincitore la vittoria. Quale è il bene di questa vittoria? Avere
mantenuto viva la vita di tutti due i guerreggianti. Il dono della
vita va custodito e salvaguardato per sé e per gli altri. Si
potrebbe pensare che a questo punto sia uscito dal tema, in
particolar modo da parte di coloro che non fanno parte di un Coro
Parrocchiale. A coloro, invece, che ne fanno parte provate a chiedere
quante discussioni circa la scelta dei canti da eseguire; se questi
devono essere fatti dal solo Coro e magari con assolo; pure il posto
dove il Coro deve posizionarsi: sui gradini dell'Altare o a lato, in
basso davanti alle balaustre! Per fortuna a conclusione di tutto
questo mio “panegirico” c'è la bellissima frase che “consola”
e chissà se anche a Voi che leggete, produrrà l'effetto medesimo:
“A colui che ama, tutto coopera al bene!” Non resta altro che
amarci e così, da ogni fatto che avviene saremo saziati, appunto dal
...bene, anche da quello da noi conosciuto come “male”! Poiché
anche ciò che a noi pare sia male rientra nei disegni di Dio. Ecco
un altro mistero: la nostra libertà... non libera! Immaginiamo
un'enorme piovra con innumerevoli tentacoli le cui punte estreme si
muovono, ognuna in modo diverso dalle altre e pare che i movimenti
vengono gestiti da ogni tentacolo in modo autonomo. Ogni singolo uomo
può venire inteso come la punta di un “tentacolo”. Pratichiamo
le nostre azioni in libertà sì, ma queste sono sotto l'egida della
“Piovra”. E' buona norma esigere da noi stessi di...amare!
Obbligare gli altri ad amare è un lavoro arduo, di incerto successo.
Per noi, amare gli altri è altrettanto difficile, ma possibile!
Nelle contrapposizioni o contrarietà delle opinioni, mettiamo come
“prezzemolo” la “Tolleranza”; questa si ottiene e la si nutre
con la costante “Pazienza”. L'ideale sarebbe quello di evitare di
errare, anche perché l'errante, pur avendo ottenuto la comprensione,
avrà comunque presente nel suo cuore che la pietà elargitagli può
essere stata miscelata con la compassione o peggio ancora con la
commiserazione. Elementi che concorrono a “sgraffignare” la
stima. L'Evangelista San Giovanni scrive: <Chi non ama il proprio
nemico è un “assassino.”> Ritengo che, in merito alle
questioni soprascritte, non ci siamo spinti a questi livelli e
speriamo di non arrivarci! E' bene comunque custodire l'impegno a non
diventarlo. Certo che è dura amare un nemico, soprattutto se si
presenta potenzialmente pungente come un ...nido d'api! Chissà
quanto pungente sono io per ...Voi!
Proviamo
a chiederci: cosa è essenziale per conseguire la carità? Prima cosa
la vita fisica! Cosa è essenziale per il mantenimento della vita?
Vitto, vestito e alloggio! Tutto il resto non è ...essenziale. Ogni
azienda a scopo di lucro ha per fine l'ottenimento dell'utile netto.
La “Società” Cristiana Cattolica Romana dovrebbe avere, in luogo
“dell'utile netto”, la “Carità”. Ma è possibile che per
ottenere questa piccola grande ricchezza si debba agire così da far
apparire essenziale l'enorme emporio delle umane ricchezze? Fare il
processo alle intenzioni di colui che canta in chiesa è più
indispensabile di quelle vistose situazioni che pure sono
incongruenti ed anche incoerenti per l'ottenimento della Carità? Per
rispondere alla chiamata: “Vieni e seguimi” Voi che leggete, cosa
ritenete sia indispensabile? Chiudo questa chiacchierata con
quest'ultimo pensiero. Quando una persona parla per esprimere il suo
punto di vista, una percentuale del discorso viene espressa sì per
l'analisi del problema ma, forse, un'altra buona parte viene usata
per catalizzare l'attenzione degli astanti ascoltatori allo scopo di
far conoscere la propria raffinata dialettica, pure per essere il
padrone del momento o anche per mettersi in mostra! Io ho usato
questo metodo: godere della padronanza di chi ora mi sta leggendo e
far mostra di me, ma non certamente per la qualità dello scritto
(contenuto e sviluppo): un ghiribizzo a singhiozzo, esuberanza
fanciullesca o intemperanza della vecchiaia, considerando la mia
avanzata anzianità! Mah sì! Diciamo che può essere un marasma di
citrullaggini o come una romanzesca realtà. Ma, in merito alla
riflessione sopra esposta, ritenete che veramente l'abbia fatta per
farmi adulare? Se “sì”, come anche se “no”, come fate ad
essere sicuri di questo eventuale vostro sì o no, essendo le mie e
le vostre intenzioni un mistero? Non resta altro: Non giudicare”!
Naturalmente coloro che si affidano alla immanente razionalità e non
alla trascendenza, questo scritto lo configureranno come un
componimento simile al linguaggio degli operai della Torre di Babele!
Sursum
corda! Cantiamo, sì! E se dovesse esserci, in colui che si esibisce,
della ostentazione, prosegua pure chiedendone perdono ...cantando!
Mandi.
Colloredo
di Prato 10 novembre 2013 - Del Forno Pietro
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