mercoledì 31 luglio 2019

Che cosa significa ascoltare?
Ascoltare significa capire....ciò che l'altro
non dice.

martedì 30 luglio 2019

La città









"E quando, poi, sentirete
parlare di guerre e di
rumori di guerre, non allarmatevi!
E’ necessario che ciò avvenga,
ma non sarà ancora la
fine.
Insorgerà infatti nazione
contro nazione e regno
contro regno;
vi saranno terremoti sulla terra e vi
saranno carestie.
Questo sarà il principio dei dolori."
dal Vangelo di san Marco 13, 7-8

Venezia, settembre 1813,

P ompeo aprì con calma le finestrelle che davano sul canale, si appoggiò al davanzale e, costernato, guardò l'acqua cheta sotto di lui. Una corrente lenta portava verso il mare detriti, immondizie, resti di vita ora in putrefazione.
Come ogni giorno, storse il naso in una smorfia e, con disgusto mal celato, tirò un sospiro profondo.
"Venezia non è più come prima", sentenziò. Se lo andava ripetendo, ormai, da mesi e forse da anni, ma non sapeva darsi pace.
La città che egli amava ricordare nelle sue continue e ossessive meditazioni, ora non era che un miraggio lontano, vaghi racconti del padre, così come lo erano, ormai, i cittadini che la abitavano, vere caricature dei veneziani del passato. Ma comprendeva, anche, che era inutile rimpiangere gli eventi stupendi e la bella vita del passato, miti fantastici di fantasmi che mai più sarebbero tornati a ritrovarlo, nemmeno in sogno.
Ed era inutile ripensare a com'era piacevole la città per chi, turista nobile e danaroso, ci veniva a trovare: "il posto più gaio del mondo" affermavano, ritornandoci sempre più volentieri, tutti i "foresti", gli scrittori, i prìncipi, i poeti che questa avevano stabilito essere la loro patria ideale.

"Dove ti va, co sto tempo bruto?", gli chiese Gregorio, il suo genitore anziano e malandato. Con lui, Pompeo divideva tristemente la casa da quando la madre se n'era andata via col senno, distrutta dal vino troppo buono, dal gran tabaccare e da qualche malattia che ancora gli scienziati dovevano scoprire e catalogare. Erano già diversi giorni che la stavano cercando, forse era già morta annegata sotto qualche barca.
Ma ormai il vecchio se n’era fatta una ragione. Il suo fisico minuto e smagrito, le sue ossa che sembravano fuoriuscire dalla pelle consunta, contrastavano con una formidabile forza di volontà, una voglia di vivere inspiegabile a tutti, specialmente a chi non conosce i vecchi marinai veneziani.
"Sta calmo, papà, non agitarte – lo consolò il figlio - vado solo a veder se trovo qualcossa da magnar e se incontro, par caso ea mamma."
Indossò un vecchio e sudicio mantello e si apprestò ad uscire, quando si accorse che la porta era bloccata: dovette spostare un cumulo di immondizie che, da fuori, la ostruivano; materie guaste e maleodoranti che intasavano non solo l'uscita della sua casa, ma tutto il territorio di quella che un tempo fu la città più importante d'Europa.
Pompeo attraversò la stretta calle da cui proveniva un odore nauseabondo; anche la lunga fondamenta, la riva sul canale della "Misericordia", era piena di sozzure e di calcinacci, mentre nell'acqua galleggiavano cadaveri di gatti, di colombi e di pantegane, contornati da ogni tipo di rifiuti marci.
Si avviò verso piazza san Marco per vedere se fosse giunta qualche nave a portare provviste, ma ogni passo che percorreva, attraverso quella città ridotta ad incubo, contribuiva a demoralizzarlo.
"Passalo a me, passalo a me",
urlava un bimbo smilzo ad un coetaneo che stava prendendo a calci un gattino magro e spelacchiato. Pompeo prese a calci i due ragazzacci che fuggirono; il gattino scappò da un'altra parte.
Alcuni soldati francesi stavano cercando, ripetutamente e con poco garbo, di ingraziarsi due ragazze giovani e bellissime: mentre scherzavano e ridevano, le due sapevano già che non avrebbero concesso nulla ai militari, nemmeno la magra soddisfazione di accarezzare loro un seno, ancora piccolo ma ben proporzionato, un ginocchio, o le rotondità paradisiache delle loro natiche. Insomma, i galletti sarebbero, come si dice da noi, andati in bianco.
Pompeo le guardò con un sorriso di tenerezza. Ma il sorriso si spense quando giunse in piazza: constatò subito che non erano giunte nuove navi, c'erano solo due vecchi legni a remi che galleggiavano lì da settimane. Al largo dell'isola di san Giorgio sostava la fregata "Rivoli", vanto della produzione navale dell'arsenale, ed alcune imbarcazioni da guerra francesi, anch'esse costruite a Venezia: si mostravano i muscoli, ma non c’era niente per lo stomaco.
Sotto la statua di Napoleone, posta in piazza san Marco, era visibile il solito foglietto che conteneva l’ennesimo epigramma contro l’Imperatore. Non valeva nemmeno la pena di fermarsi a leggerlo. Quella strana statua che rappresentava Napoleone col Mondo in una mano e l’altra rivolta in su (come se stesse chiedendo la carità), era stata scolpita dal signor Banti, uno scultore famoso, circa due anni prima ed era stata voluta e pagata dalla Camera di Commercio di Venezia, grata per l’istituzione del porto franco all’isola di san Giorgio avvenuta nell’aprile del 1808, quando Napoleone, che aveva depredato la città anche dei quattro cavalli sulla basilica, decise di lasciare un contentino alla popolazione.
Ora la piazza trasudava declino e miseria.
Gli venne da pensare ai tempi in cui il bacino di san Marco era stabilmente occupato da una selva di alberi e vele, ed il commercio fremeva, così come fremevano la cultura, le arti, la vita.
Si avvicinò ad una "peata" attraccata sotto al ponte dei sospiri e allungò due soldi di nichel al barcaiolo. Ne ricevette, in cambio, un po' di pomi, qualche castagna secca.
"Anche per oggi se magna", disse tra sé, e tornò dal padre.
Lungo la strada del ritorno, incontrò il gattino che aveva salvato dai calci e dalle torture e vide ch'egli stava mangiando qualcosa, di gusto, dalle mani di una vecchina.
I francesi continuavano a smaniare dietro alle due bellissime ragazze.

"No ti va a lavorar?"
"No, papà, ti sa che, ormai, non se lavora più tutti i giorni, purtroppo."
"Hai trovato da mangiare?"
Pompeo si vergognò a mostrare al padre ciò che aveva comperato, ma l'anziano genitore, uomo temprato, mostrò di gradire l'offerta.
"Piuttosto che niente",
pensò tra sé il ragazzo. Guardò con affetto il padre mentre mangiava quelle misere cose, e si sentì in colpa di non poter provvedere meglio.
"Eh, sì, povero Pompeo, nel secolo scorso se magnava mejo"
"Mejo de così ghe vol poco, papà.
"Co ghe gera i dogi no ne mancava mai niente, fio mio... altro che sardele."
"Magari se trovasse sardele" pensò il ragazzo.
Ai suoi tempi, a Venezia, la fame era molto più rara. Non che tutti fossero ricchi come certi mercanti patrizi, che potevano riempire un mastello da bagno con le loro monete d'oro e d'argento ma, certamente, lo stomaco lo si poteva riempire in maniera onorevole e lo facevano quasi tutti.
Tutti partecipavano, anche, alle molte feste che avvenivano alla celebrazione di ogni "santo", ed i santi erano circa trecento ogni anno. I teatri erano sempre pieni e non solo di nobili, ma anche di popolani, di arsenalotti, di gondolieri.
Il celebre commediografo Carlo Goldoni infatti, aveva iniziato a rappresentare anche il popolo, sulle scene, non solo re e regine come si usava prima: quando sul palcoscenico appariva un attore vestito da gondoliere, ad esempio, si sentiva arrivare, dall'alto della platea, il fischio intenso e lo schiamazzo inarrestabile dei rematori, felici di essere elevati a tale rango.
Forse era proprio per quella smania di vivere senza responsabilità, ma di vivere al massimo, come se ci si trovasse già in una specie di paradiso, che i francesi prima e gli austriaci poi, avevano potuto invadere la città senza trovarsi di fronte un popolo risoluto e deciso a resistere, come era stato per più di mille anni.
Pompeo mise in bocca una castagna secca.


Pier Angelo Piccolo


Ingranaggi

Siamo ingranaggi
di un motore
che si alimenta di ogni sussulto
del cuore.
Peripezie della mente
tra cadute e voli
dell'anima che sempre  spera...








Brunetta Sacchet

lunedì 29 luglio 2019

Come fini garze di seta

Un giorno ti svegli
 e con un po' di cautela
inizi a toglierti
gli insulti di dosso
come pezzi di corteccia

Ti togli l'ansietà
come fini garze di seta.

Ti strappi il disprezzo
che si è incrostato  sulle tue vene

Ti confronti con lo specchio
come fosse la prima volta.
Vesti il tuo corpo con manti di tenerezza
e perdoni.

Non c'è tempo per scagliare pietre









Silvia Cuevas Morales

Alba

Amo l'alba...
Amo questa debole luce che accende i colori...
Amo gli squarci della notte innamorati della luce,
lo scintillio del mattino il loro abbraccio.
Pensieri in volo mi raggiungono
Amo questi brevi istanti.. sempre puntuali,
fedeli alla vita!


Brunetta Sacchet 🌹

martedì 23 luglio 2019

Italo Scanio (Romanzo 9 capitolo)

”.
















Capitolo Nono






Era tornato a casa in brevissimo tempo, forzando la manetta del suo motorino, poiché non vedeva l’ora di raggiungere la giovane amante che, probabilmente, arrivati a quel punto, cominciava ad insospettirsi di tutto quel suo insolito ritardo.
Quando le fu accanto, l’eccitazione che provava era tanta, ma tanta, anche perché, data la sua depravazione mentale, quel braccio insanguinato, lo aveva eccitato più di tante orge e di tante posizioni erotiche. Elisabetta si premurò di scaldare una camomilla a Gimmy, intimandogli di andare a dormire in cameretta sua al più presto, perché i genitori dovevano “parlare” e perché, l’ indomani, sarebbe dovuto andare a scuola molto presto, che c’era il compito di matematica.
Il commissario Sallusio, esaminando il luogo dell`attentato, anche lavorato, per tanti e tanti anni nei servizi segreti, era rimasto esterrefatto davanti a tanta distruzione. Non gli era mai capitato di vedere dei corpi straziati in quella maniera, tanto che si confondevano le diverse parti del corpo dei due agenti dilaniati, e le membra erano state messe di qua e di là nelle due bare, da non sapere nemmeno che nome scriverci di fuori.
Quello che non lo convinceva, era l’enorme quantità di esplosivo usato per far saltare una piccola vettura della polizia. “Ne sarebbe bastata la centesima parte – pensò tra sé, mentre osservava la scena del crimine – a che scopo usare tanto tritolo?” Certo, qualcosa non andava. E poi, la scientifica aveva rilevato che, l’ordigno, era stato inserito dentro al bagagliaio della pantera. “Qualcuno gli aveva piazzato una bomba nel baule e non se n’erano accorti? – rimuginò – certo, non possono essersela messa da soli.” Mah.
Fumava il sigaro e pensava. Di certo quella notte sarebbe stata lunga. Poi, pero`, venne raggiunto da una chiamata, che ricevette dalla centrale. Fu quella a chiarire ogni cosa.
Elisabetta non aveva mai sentito il suo amante così duro. Fecero l’amore due, tre volte senza fermarsi. All’inizio lei gli era montata sopra, ma quella posizione le piaceva fuor di misura e le avrebbe provocato troppo presto un orgasmo fortissimo, perciò cambiò posizione più e più volte. Andarono avanti a dimenarsi e a sudare per diverse ore, fino alle due di notte.
Alle tre di quella stessa nottata, mentre stava dormendo (almeno nella sua strana morale), il “sonno del giusto”, Italo senti un colpo provenire dall’altro lato della casa. “Gimmy” gridò, pensando che il piccolo fosse caduto, inavvertitamente, dal letto.
Si trovò davanti al letto Robocop.
Era un agente dei servizi speciali, in tenuta completa, con giubbetto antiproiettile, casco e volto coperto, stivali anfibi e mitragliatore di ultima generazione puntato sul cuore del padrone di casa. Italo si guardò il petto e vide un puntino di luce rossa al laser, proprio sulla parte sinistra.
Altri rumori rivelarono la presenza di almeno cinquanta agenti, tutti venuti, gentilmente, a fargli una sorpresa in casa.
Era successo un evento sfortunato per lui. Il documento che aveva fornito alla polizia, che l`agente, prima di saltare per aria, gli aveva controllato, era stato “faxato”, cioe` fotocopiato e spedito con un nuovissimo dispositivo contenuto nell’auto pantera, direttamente in centrale. Per quel motivo, infatti, Italo si era meravigliato che gli fosse stato restituito così presto. Eh sì, la tecnologia era avanzata e, da allora, farà tanti e tanti passi avanti.
Ecco perché, il commissario Sallusio, che aveva ricevuto la segnalazione dalla centrale, dopo aver letto il nome, cognome ed indirizzo del sospettato, si era recato, con un esercito di poliziotti, a fargli visita, nottetempo, nella sua casa.
Elisabetta, davanti a tanto spiegamento di forze in quella camera da letto, non riusciva a capire cosa stesse succedendo. La ragazza non aveva mai dubitato del suo compagno. Le sembrava di cadere dalle nuvole, o forse di essere ancora dentro ad un sogno, un incubo.
Gimmy, in camera sua, piangeva e singhiozzava, spaventatissimo, ma veniva coccolato, e tenuto stretto, da una poliziotta.
Solo Italo, flemmatico e rassegnato, aveva capito tutto. La sua donna lo guardava e non riusciva a capire con che diavolo di uomo, in tutti quei giorni, si fosse potuta accompagnare.
I giornali del mattino parleranno nello stesso tempo, di un fatto eclatante avvenuto contro le forze di polizia e, cosa assai inusuale e inaspettata nel paese del sole, dell’arresto immediato di un assassino, ma nessun cronista riuscira` a spiegarsi l’enorme accanimento di esplosivo contro quei due poveri agenti: era come se qualcuno li avesse voluti morti ad ogni costo. La verità su questo fatto enigmatico ed impenetrabile, come su molti altri del resto, non la saprà mai nessuno.
Italo non fu fatto nemmeno vestire. Nudo com’era, venne incatenato ai polsi ed alle caviglie e, siccome non avrebbe potuto camminare, fu portato in questura a peso da quattro agenti, che lo caricarono come si fa con un vitello da macellare o un cane rabbioso da sopprimere. Gli mancava solo la museruola.
Al commissariato era stata convocata la stampa e gli organi politici. Italo era sorvegliato a vista da più di un centinaio tra polizia e carabinieri, e non riusciva nemmeno a battere le ciglia né, quasi, a respirare.
Si teneva la pipì, pensando che non era riuscito ad avere il tempo di farla, anche dopo aver fatto l’amore per molte e molte ore.
Ora la vescica gli doleva.
Il commissario lo squadrava e non riusciva a capire il personaggio. Non riusciva a decodificare la sua psiche o la sua personalita`. Quello che si trovava davanti era un giovane sfigato, bello, con gli occhi celesti come il ghiaccio ed i capelli biondi, come ce n’erano pochi da queste parti. Non possedeva nemmeno un’ automobile, ma solo una vecchia e sgangherata vespa. Viveva con la madre ed un’amante ed aveva un figlio che non era neanche suo. Non era mai stato segnalato alla polizia, non possedeva un lavoro e, almeno nelle banche italiane, non aveva al deposito manco un centesimo.. ma chi era veramente?
Non rispondeva ad alcuna domanda gli fosse posta, il sospettato, affermava soltanto che, i due poveri agenti che lo avevano fermato, gli avevano chiesto i documenti, lui glieli aveva dati, glieli avevano restituiti, dopodiché se ne era andato. Tutto qui, per il resto non sapeva niente.
Eppure, non poteva non saperne niente: l’arrivo del fax, in centrale, del suo documento e l’enorme esplosione, udita da tutta la città, erano avvenute a pochi secondi di distanza. Non aveva alibi, il giovane e, sinceramente, lui stesso non credeva a quello che diceva.
Non ce la faceva più: chiese a qualcuno di accompagnarlo al gabinetto. “Fattela addosso”, gli urlò un agente.
Poi, accadde un fatto strano: si alzò, dal fondo del “pubblico” di sbirri, un questurino giovane. Stranamente, anche lui aveva occhi celesti e capelli biondi. Pareva, quasi che assomigliasse al detenuto.
Gentilmente, si offrì, chiedendolo al commissario, di accompagnare il giovane al gabinetto.
Con fare dolce e gentile, lo condusse al bagno, attraversarono un lungo corridoio, e in breve furono dentro una porta rossa con un cesso maleodorante. Italo camminava pianissimo, perché aveva le gambe chiuse dai ferri.
Italo sentì, ad un certo punto, una canna dura grattare la sua schiena. Capì, allora, tante e tante cose.
Si girò a guardare quel ragazzo che tanto gli somigliava e vide una strana luce sul suo volto. Poi sentì il gelido contatto della pistola sulla nuca. Udì uno sparo, anzi, non fece nemmeno in tempo a percepirlo.
Vide tutto nero.
E così sarà per tutta l’eternità, perché oltre al buio, purtroppo per noi, non c’è altro.




Dopo aver sparato, il giovane poliziotto biondo, con una velocità incredibile, rimosse le manette ai polsi ed alle caviglie del cadavere. Fece appena in tempo a fare questa cosa, che una moltitudine di poliziotti entrò di corsa in bagno per capire cos’era stato quel colpo di pistola.
“Ho dovuto sparargli – si difese con freddezza il biondo agente dagli occhi azzurri – gli avevo tolto i ceppi e lui aveva tentato di fuggire.”
Sallusio, grande commissario di polizia ed esperto dei servizi segreti, guardò a lungo il suo agente, cosi` come aveva fatto prima con Italo. Pensò a lungo, lo scrutò.
“Mah” si disse.




Elisabetta e Gimmy, non verranno mai a conoscere, come il resto degli italiani, la vera natura di Italo, né quali furono i suoi tantissimi, spaventosi segreti, perché nessuno glieli racconterà.
Non sapranno mai che, celato nell’antro di una inaccessibile banca svizzera, giace un enorme tesoro di sua proprietà che, ogni anno, frutta interessi, e che nessuno mai ritirerà.
Qualcuno sta ancora cercando vanamente, nei fondali del Tirreno, un improbabile missile, che si ritiene abbia abbattuto un aereo pieno di passeggeri.
Per la strage di Bologna furono processati, condannati e poi assolti (perché non erano stati loro), diversi gruppi fascisti e terroristici. Gli inquirenti cercarono gli assassini tra i servizi segreti mondiali, i palestinesi, i gruppi mafioso - camorristi, ma non compresero e non riusciranno a scoprire mai, neanche dopo tanti decenni di ricerche, la verità.
L’unica cosa certa, è che quei gruppi o quel gruppo, di pochi individui che volevano distruggere la nazione, quelli che avevano ideato un piano di “rinascita” ben concepito e congegnato, per portare al disastro la nostra povera Italia, avevano fatto molto bene i loro calcoli.
Dobbiamo proprio dire, dopo tanti e tanti anni, che i loro intenti hanno dato tanti frutti.
L’Italia, grazie a tutte le loro macchinazioni è, in questo momento, proprio in rovina. Corrompendo giornalisti, magistrati, politici e commissionando rapimenti omicidi e stragi, ora il “bel paese”, quello col sole in fronte, è distrutto, disperato, pieno di poveri senza diritti, mentre una piccolissima classe di persone, che nessuno conosce né è stata mai votata alle elezioni, detiene tutte le ricchezze e tutto il potere.
Come “loro” avevano prospettato, il piano e` riuscito.













lunedì 22 luglio 2019

Italo romanzo ( Capitolo 8)

Capitolo Ottavo




Sprofondato sulla sua comoda poltrona, il ragazzo sperava che, per un altro bel lasso di tempo, lo avrebbero lasciato in pace, così avrebbe potuto godersi qualche giorno, o mese di felicità coniugale.
Mentre stava rientrando dal suo solito viaggio in Svizzera, aveva chiamato, da una cabina telefonica in mezzo alla strada statale, la sua bella mogliettina, per avvisarla che sarebbe tornato presto. Lei gli bisbigliò, con voce roca e sensuale: “Vieni vieni, caro, che ti faccio una bella sorpresa”. Quando la sua donna si esprimeva in questo modo, sapeva benissimo che, da lei, avrebbe dovuto sempre aspettarsi qualcosa di eccezionale. Perciò, percorse i chilometri che gli mancavano per arrivare da lei, con un imbarazzante rigonfiamento dei pantaloni.
La sorpresa fu più che eccezionale: arrivato a casa vide che la sua Elisabetta se ne stava in camera da letto, seminuda, indossando un baby doll cortissimo e trasparente, di color rosso fuoco, assieme a due bei ragazzi giovani. “Tu siediti qui e guarda – le disse la saputa – così ti riposi.” Italo si godette una specie di film erotico in presa diretta, e, viste le sue enormi esperienze sessuali, che lo rendevano pronto a qualsiasi evenienza, pensò: “Mi mancava solo questa”.
Italo si divertì in giochi erotici e orge per diversi giorni, poi lo chiamò la mamma, da sotto il balcone: “Amoreeee, c’è un avviso per te.
Il solito, maledetto telegramma, riportava il solito, maledetto messaggio:
“Topolino, 3, 1, 45.”
Aperto “il Gazzettino” in terza pagina, vide subito la bella foto di un monumento storico. Si trattava di una sinagoga, al terzo rigo si parlava del tempio ebraico, quello che compariva in fotografia. Nella riga 1 si accennava ad una città, Pesaro, dove è ancora alta l’affluenza di semiti. La riga 45, ahimè, parlava della “distruzione del tempio”. Più chiaro di così il messaggio, si muore. Riparti` per procurarsi il materiale.
Sulla strada per Salerno, stavolta, la vespa gli aveva dato delle noie. Aveva dovuto farla riparare da un meccanico, cosa che non gli era mai successa e che lo innervosiva. Dovette fermarsi non poco. Altra cosa che lo faceva imbestialire, era di doversi inventare scuse a iosa per Elisabetta: aveva tanto insistito per andare con lui, che non sapeva più cosa risponderle. Cominciava a capire il motivo per cui i suoi mandanti gli avevano ordinato di non sposarsi.
Una volta a Salerno, giunto sulla spiaggia delle immersioni, ritrovò degli energumeni che stavano preparandosi, a bordo di un gommone, per andare a prelevare, sicuramente, tritolo dalla barca affondata. “Ormai lo sanno tutti questo segreto – pensò – quel relitto è diventato un supermarket.”
Aspettò, come sempre, la notte. Immergersi alla luce della luna gli metteva sempre, nonostante la fifa, un buon umore, si sentiva, là sottacqua, dentro il suo mondo naturale.
Esagerò nel prelevare materiale esplosivo. E fece un grave errore. Aveva pensato, così, di averne a sufficienza per diversi incarichi ma, mentre tornava a casa con la vespa stracarica, si era chiesto dove avrebbe nascosto, e con che rischio, il tritolo in esubero.
“In ogni caso ne uso di più – si disse – e poi saranno in tanti, gli ebrei, perché domani è la festa dell’ hanukkà”.
La festa del hanukkà è il giorno dell’anno in cui gli ebrei, anche quelli più tiepidi, meno osservanti, vanno al tempio, allo stesso modo in cui i cristiani più moderati vanno a messa soltanto al giorno di Natale, o i maomettani non troppo rigorosi si rimpinzano di salame e di birra. Se ne avesse usato tanto di tritolo, avrebbe avuto, poi, meno difficoltà a nascondere il rimanente. Diresse la Vespa verso la citta` di Pesaro.


Una volta giunto nelle vicinanze di Pesaro, lungo la costiera adriatica, fermò la moto, o lo stava per fare, allo scopo di decidere in che posto nascondere l’esplosivo di troppo, visto che la zona era piena di vecchi bunker, la costruzione ideale per celare armi pericolose. Ad una curva, scorse con disappunto una pattuglia di polizia. Diminuì la velocità del suo scooter, che stavolta era dipinto di arancione perché, pensava: “Più sei appariscente e meno ti sospettano” ed anche perché, nella sua vita, nessun agente si era mai degnato di fermare o di controllare i documenti di un motorino tanto insignificante.
Gli agenti si insospettirono, invece, di quel pacco grande, troppo grande per un vespa: controllarono e si accorsero subito che qualcosa non andava. Aprirono il bagagliaio.
“Cosa è questo?” chiesero, evidentemente con poca esperienza di esplosivi per essere poliziotti efficaci, visto che un ordigno era già pronto ed innescato per esplodere. In più altro materiale era “a riposo”. L’unica cosa che insospettì i militi era la consistenza gelatinosa del materiale, anche se la sua forma era alquanto strana. Italo, con molto sangue freddo e faccia di bronzo, si mise a ridere e rispose che si trattava di semplice plastilina e che lui era uno scultore professionista, molto conosciuto nell`ambiente.
“Avete davanti a voi uno dei migliori artisti italiani”, disse con grande flemma e imperturbabilità. Se volete posso lasciarvi un autografo. Non mentiva né di essere un artista, né che avrebbe rilasciato autografi, e che autografi.
Ma non ci crederono. Sequestrarono la merce, la prelevarono a fatica, (anche se non avevano capito di che cosa si trattasse, e forse proprio per quello) e la piazzarono dentro il portabagagli della pantera (così si chiamavano le macchine della polizia), poi tornarono dal ragazzo, gli chiesero i documenti che lui porse con garbo e poi dichiararono che li avrebbe dovuti seguire al commissariato.
Uno degli agenti ritornò, per un momento, verso l’automobile di servizio, mentre il suo collega stava vicino per controllare che non scappasse. Quando tornò indietro per rendergli il documento, il ragazzo pensò che il percorso tra la macchina e la vespa era abbastanza lungo. Calcolò, cioè, che tutti e due gli agenti si trovavano a distanza ravvicinata al suo scooter, più o meno quattro metri, mentre l’auto della polizia ne distava circa duecento, allora, con uno scatto felino, prese la Vespa, invertì il senso di marcia e scappò, mentre gli agenti, che furono per un attimo indecisi e non sapevano se corrergli dietro a piedi o se inseguirlo con la pantera, tornarono ad andatura rapida verso la macchina, allo scopo di rincorrerlo. Fu proprio allora che lui si fermò al riparo dietro una curva, lasciò cadere a terra la moto, guardò gli agenti che stavano per entrare in auto, prese il detonatore, (sua ultima e preziosa ivenzione dopo tanti anni di ricerca e studi), nascosto sotto al predellino. Si riparò dietro alla roccia e lo aziono`. Lo scoppio fu talmente forte che sentì tremare l’asfalto e avvertì un vento caldo.
Si vede che, in quel frangente, Dio non voleva far morire una quantità enorme di ebrei, il suo popolo eletto, ma solo due poveri poliziotti.
L’esplosione fece volare l’auto dei poliziotti a centinaia di metri, tanto che il ragazzo, estasiato, stette a naso in su per qualche secondo. Circa un minuto dopo atterrò, vicino ai suoi piedi, un braccio umano, cui era attaccata una mano giovane, nel cui dito anulare brillava una fede nuova di zecca. “Forse si era appena sposato” Pensò.








domenica 21 luglio 2019

Italo romanzo (Romanzo 7 Capitolo)

Capitolo Settimo




Ebbe inizio, così, una vita coniugale da passare assieme alla fantastica Elisabetta, un rapporto “more uxorio”, poiché il marito precedente se n’era andato senza preoccuparsi di divorziare e l’aveva abbandonata a sé stessa con il bambino.
Eh sì, non avrebbe mai immaginato di vivere un’esistenza migliore, il giovane Italo, né tantomeno di poter provare una felicità così intensa. Oramai, pensava che, quelli dell’organizzazione, non l’avrebbero più chiamato. Tanto meglio, di soldi ormai ne aveva a iosa, benedetta Svizzera.
Aveva smesso di seguire i suoi studi e le sue ricerche, anche se era arrivato a conseguire risultati eccezionali. Ogni momento libero lo passava a giocare col Gimmy, gli faceva i compiti, lo coccolava. Ma soprattutto “giocava” tanto e tanto e tanto con l’Elisa. Avevano trovato un’intesa così forte, che provava un piacere intenso ogni volta che stavano vicini. Anche se, all’apparenza, non sarebbe sembrato, l’Elisa conteneva dentro di sé una carica libidinosa e senza tabù, da far perdere la testa ad ogni uomo.
Non c’era situazione erotica che lei non volesse provare. Era rimasto sorpreso il giorno in cui, mentre il piccolo era dalla nonna, aveva invitato a pranzo una sua amica, bellissima e più giovane di lei. Dapprima non l’aveva capito, beata ingenuità, poi aveva notato come le due meravigliose creature gli si avvicinassero con una carica libidinosa aggressiva. La sua amica, Marisa, si era tolta la maglietta stretta, proprio davanti a lui, facendo uscire due bei seni tondi tondi, coi capezzoli irrigiditi, poi iniziò, senza nemmeno fiatare, a fare l’amore con lui davanti agli occhi della sua donna. Provò un piacere enorme, il ragazzo, ma la sua estasi fu completa, allorché si accorse che Elisabetta, seduta nuda vicino a loro due, si stava toccando.
Sembrava che la sua gioia non dovesse finire mai. Aveva, oramai, allentato tutte le sicurezze e l’anonimato di cui si era circondato in questi anni. Andava spesso al mare con tutta la famiglia, compresa la madre. Insomma, faceva quello che fanno tutte le persone normali.
Fu proprio una domenica sera, di ritorno da una gita, che, andando ad accompagnare a casa la vecchia madre, trovò, sull’uscio, l’avviso di un telegramma.
La mattina successiva lo andò a ritirare all’ufficio postale. Il messaggio, stavolta, era un pochino più complesso del solito: non gli venne facile decifrarlo come aveva fatto le altre volte, forse stava invecchiando, forse la vita facile gli aveva reso l’istinto più smorto e molto più spento. Il piacere continuo, gli aveva, un po’, intontito il cervello.
Si poteva leggere, sul telegramma, un avviso più lungo e complicato del solito, diceva così: “Spaghetti 1, 6 e, poi, Topolino 3, 7.” Una postilla che prima non aveva notato, indicava il Papa, il creatore dell’unità d’Italia ed il numero due gambe di donna ed un numero: il 6 … l’enigma si infittiva.
Nella seconda pagina, prima colonna, rigo sesto, si poteva leggere, sul solito quotidiano, il nome di un ufficiale americano che, notizia dei giorni scorsi, era stato rapito da una delle tante organizzazioni terroristiche, o mafiose, che percorrevano, in quei giorni, l’Italia in lungo e in largo.
Lo avevano prelevato nella base U.S.A. di Vicenza, una delle più importanti e strategiche dell’Europa occidentale ed anche una delle più sicure. Come ci fossero riusciti, solo Dio lo sa. La lettura seguente fu molto confusa, perché, in terza pagina (quella culturale), terza colonna, rigo 7, si parlava di storia americana: veniva citato il caso dell’assassino di John Kennedy del 1963, che fu assassinato, a sua volta, da un killer mentre era ammanettato a due poliziotti. “Che c’entrava il signor Lee Harvey Oswald?” pensò costernato. Non ci capiva niente.
Dopo aver riflettuto a lungo, montò un’ipotesi che, per altri, ma non per lui, sarebbe potuta sembrare agghiacciante.
Capì, allora, che i suoi capi avevano l'intenzione che lui uccidesse, così, l’ufficiale americano, mentre stava nelle mani dei suoi carcerieri. Sì, era proprio in questo modo che avrebbe dovuto agire, non c`erano dubbi. Ma dove andarlo a recuperare, se tutti i poliziotti del paese, i carabinieri, i finanzieri, i guardia boschi e i metronotte della polizia privata lo stavano cercando da giorni, senza trovarne la minima traccia?
“Cazzo”, disse tra sé, quando pensò alla postilla: Il Papa simboleggia Roma, mentre il creatore dell’Italia unita (che Dio l’abbia in gloria) è Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi. E le due gambe di donna? “Mah, sì, porco giuda”, si trattava del numero 77, almeno stando ai dettami della “smorfia”. Alla fine, chiaramente c’era il numero 6.
L’indirizzo completo era: “Via Garibaldi 77, interno 6, Roma”. Ecco dove stava rinchiuso l’ufficiale americano rapito dai terroristi. E “loro”, come caspita facevano a saperlo?
Allo scopo, avrebbe dovuto procurarsi un’arma piccola, anche se non sapeva dove trovarla tanto facilmente: nella solita nave – relitto c’era solo esplosivo, quindi non gli sarebbe servito andare ad immergersi. Pensò subito a come procurarsela senza, ovviamente, andarsela a comprare.
Poi gli sovvenne che, proprio vicino a casa sua, a Padova, esisteva una grande sede della Cassa di Risparmio. Vi esercitava un vecchio metronotte, avrà avuto più di sessanta cinque anni, il quale rispettava l’orario che va dalle undici di sera fino alla mattina alle otto, quando arrivavano gli impiegati e quando giungeva il cambio guardia, cioè all’ora in cui veniva a lavorare un guardiano più giovane e bello di lui, più presentabile alla clientela.
Era anziano, legnoso nei movimenti, quel sorvegliante notturno, ma aveva, alla cintola, portata come un pistolero del west, un’arma che faceva al caso suo.
Era notte a casa sua. In un buio impenetrabile, era l’una in punto, Elisa stava dormendo bene, anche perché Italo, si era premunito di fornirle un sedativo che non l’avrebbe fatta svegliare, nemmeno se ci fosse stato, nel centro di Padova, un terremoto di settimo grado della scala Mercalli.
Le strade erano deserte, e chi volevi che uscisse, di notte, in quei tempi oscuri pieni di banditi? Fu troppo facile, per Italo, aggredire alle spalle il vecchio e rubargli la pistola dalla fondina. Purtroppo per lui, il guardiano riuscì a girar le testa e a riconoscere l’aggressore. Con la stessa pistola, Italo sfondò, con un colpo sordo, il cranio del malcapitato. Morirà all’ospedale due ore dopo.
Per andare a compiere quel viaggio a Roma, egli dovette trovare diverse scuse con la sua famiglia. Questo lo irritò non poco, perché era abituato ad agire da solo, senza dover rendere conto ad alcuno delle sue assenze, oltre a creare sospetti e pensieri alla moglie e a Gimmy. Era costretto a lavorare con sempre minor tranquillità e questo non gli andava certo a genio.
La Vespa in quei giorni, colorava di azzurro cielo, molto brillante. Marciava ancora bene, certo: non per niente simboleggiava uno dei prodotti più duraturi dell’industria italiana del miracolo economico. Quarant’anni dopo, le strade italiane e del resto del mondo saranno ancora piene di quelle strane e colorate vetturine.
Italo approdò a Roma, la città eterna, in serata, dopo diverse ore di viaggio. Si presentò, assai presto, in via Garibaldi, al fatidico numero 77. Non riuscì, anche se ci aveva provato in ogni maniera, ad aprire il portone del palazzo. Allora suonò ad un campanello (facendo attenzione che non fosse proprio quello dell’interno 6) e, alla domanda, rispose: “Posta in cassetta”. Qualcuna gli aprì la porta, senza nemmeno domandarsi perché il postino arrivava a quell’ora così strana. Fece tre rampe di scale e trovò l’interno 6. Stavolta ebbe gioco facile ad aprire il portoncino d’ingresso. Appena messo piede nell’appartamento, si trovò davanti un giovane, che portava la pistola sulla cintola. Il tipo aveva il volto pallido e scoperto, e l’errore più grosso che commise, lo sbaglio più grave della sua breve vita fu che, prima di estrarre l’arma per sparare a Italo, cercò di tirarsi giù il passamontagna. Chissà perché, a volte, si commettono certe sciocchezze, certe leggerezze: si chiamano “gesti inconsulti, o istintivi” o almeno così direbbero gli psicologi a buon mercato. Fatto sta che, in un attimo, Italo bucò, esplodendo un colpo ravvicinatissimo, il suo cervello.
Entrò nell’altra stanza, e vide il soldato statunitense, lo capi` perche` portava capelli molto corti (cosa inconsueta, perché, all’epoca, sarebbe stato più usuale vedere in giro tanti cappelloni, basettoni, barboni coi baffoni), che lo stava aspettando.
Era stato collocato, dai suoi rapitori, su una sedia di legno, con le sole caviglie imprigionate, il resto del corpo si poteva muovere abbastanza per prendersi la coca cola sul comodino o per tirarsi fuori il pistolino per la minzione.
Come lo vide, il marines mostrò un sorriso a tutti denti. Alzò le mani per abbracciarlo e farsi abbracciare. Stava per pronunciare una frase, una di quelle che gli americani, nei tanti film di Hollywood, sfoggiano nei momenti clou, per ringraziare il “buono” che ti viene a salvare, o la cavalleria che giunge al galoppo, mentre tutti urlano: “arrivano i nostri”, ma non fece in tempo. Il giustiziere piantò la canna sul suo cuore e sparò. Andandosene, Italo girò gli occhi a guardarlo. Tutti e due , vittima e assassino, avevano pensato, in quel breve lasso di tempo, la stessa cosa: “perché?”
Verrà a sapere solo dopo, leggendo i giornali, che l’ufficiale era stato rapito proprio da una famigerata organizzazione politica, le brigate rosse.
Quando tornarono gli altri uomini della “colonna” brigatista, se lo trovarono morto in casa, senza sapere mai chi fosse stato ad uccidere sia l’americano che il loro compagno. Nel frattempo, i vicini di casa avevano avvisato la polizia per gli spari che avevano udito. Perciò, al loro ritorno, i terroristi trovarono, oltre ai due cadaveri, anche una cinquantina di agenti delle forze speciali che li stavano aspettando.
Italo respirò l’aria di Roma, lanciò la pistola in una delle tante discariche abusive, dove nessuno la troverà mai. Qualche chilometro più in là, gettò via anche i guanti di lattice che aveva usato per non lasciare impronte digitali.
Il colpevole ed i suoi mandanti, non saranno scoperti neanche fra cento anni.







venerdì 19 luglio 2019

Sassi tra i passi

A piedi scalzi il fiume attraverso,
tra le dita piccoli sassi
quelli lisci per farmi quasi scivolare,
quelli pungenti per farmi quasi male.
Ci vuole forza.
Ci vuole equilibrio,
come quando il vento soffia alle spalle
e poi di fronte...
Un piccolo passero  intanto spicca il volo, a pochi centimetri da me.
Tra passi bagnati sono ora arrivata,
fin qua...
oltre la riva.
Il ciliegio in fiore, ha innaffiato il prato,
singolare tappeto  per asciugare le orme.
Il passero,
sempre quello, mi precede ed è volato oltre la siepe.
Sicuro e libero, segue l'impronta del cielo,
comprendo,
non sono sola,
un frullar di ali mi accompagna
nel brano di questa distanza,
Ed io continuo passo, dopo passo...
la mia marcia!


Brunetta Sacchet🌹

giovedì 18 luglio 2019

Italo Scanio ( Romanzo 6 Capitolo)

Capitolo Sesto




Dopo la strage sull’aereo e quella della stazione di Bologna, i suoi padroni si erano un po’ calmati. Lo avevano lasciato tranquillo per un po’. Aveva dedicato del tempo per studiare un nuovo sistema di esplosivo e, soprattutto, a cercare di sistemare la struttura dei timer, suo vero e frustrante punto debole.
I giornali, per molto tempo ancora, avevano diffuso delle varie ipotesi sulla distruzione del DC9. La più quotata era quella del missile, che sarebbe stato sparato in volo, contro la fiancata. Italo si era messo a ridere leggendo questa bizzarra ipotesi, e aveva pensato al gustoso “missile” del suo povero amico stewart, quello che il missile, adesso, non ce l’aveva più.
Nei momenti liberi, che ne aveva fin troppi, gli era capitato di passare per i parchi della sua città, a rilassarsi e a pensare. Un giorno, proprio in un giardino pubblico, mentre era tranquillamente seduto su una panchina, venne avvicinato da un ragazzino di dieci anni, dall’aria sveglia e molto simpatico.
“Ciao, io mi chiamo Gimmy”, gli disse, mi tiri il pallone?
“Certo, bambino, prendilo.” Non gli parve vero: si stava divertendo a giocare, come non aveva mai fatto, nemmeno da ragazzino. Venne a sapere che, quel bambino, non aveva padre e gli sembrò di capire che quel piccoletto cercasse di adottarlo.
“E tua madre, dov’è ora?”
“”Là – disse, indicando col ditino – è quella laggiù”
Si trattava di una donna molto bella, bionda ed elegante. Mentre il bambino la indicava, aveva salutato sia lui che il proprio rampollo.
Fu proprio lei a venirlo a conoscere. Le diede la mano, garbatamente e lo ringraziò di aver giocato con suo figlio.
“Mi scusi, la sta disturbando?”
“No di certo, anzi. Mi chiamo Italo, Italo Scanio, piacere.”
“Io sono Elisabetta – rispose con fare regale, tanto che al giovane, parve di parlare con la regina d’Inghilterra – molto piacere di conoscerla.”
Quando se ne andò, Italo pensò a lei molto intensamente. Al fatto che gli piacesse la donna, si aggiungeva il piacere di aver giocato con un ragazzino. Pensò, anche troppo intensamente, al figlio che non aveva e che mai avrebbe potuto avere.
Tornò a casa a leggersi un volume, appena rubato nella libreria centrale, quella vicino alla stazione di Padova, che spiegava i mille modi per costruire un timer perfetto.
In quell’anno, ed in quelli successivi, come i precedenti, in Italia continuavano a succedere fatti eclatanti: assassinii di personalità e di giornalisti e poliziotti e magistrati e semplici passanti da parte di brigate rosse, nar (fascisti), ndrangheta, camorra, mafia e chi più ne ha più ne metta, che qui non ci facciamo mancare niente, ed egli cominciava a sentirsi escluso.
Non riusciva a comprendere i motivi per cui, probabilmente, i suoi mandanti, si affidavano ad altri sicari, invece che chiamare lui, sempre che fossero stati loro, visto che non sapeva per chi e per cosa combattessero. Era arrivato a chiedersi, in un’orgia di fantasticherie, se i suoi attentati dovessero servire proprio a contrastare quella criminalità, e fossero voluti proprio da parte degli uomini di Stato. L’unico fatto certo, era che si stavano varando leggi sempre più severe e restrittive, non solo nei confronti dei criminali e dei terroristi, ma nei confronti della popolazione tutta. Che fosse solo questo lo scopo di tutti quei disatri?
Alzò le spalle, smettendo di fantasticare su queste vicende e si mise a pensare ad Elisabetta.
Era tornato diverse volte, in quel parco, ma di quella donna e del suo piccolo non trovò traccia alcuna.
Il tempo passava, e quasi ogni giorno i quotidiani snocciolavano notizie di attentati, agguati, gambizzazioni, rapimenti, atti terroristici contro tutto e contro tutti.
Nei suoi lunghi studi sugli esplosivi, era arrivato già a produrre un innesco miracoloso, ma aveva anche inventato una specie di detonatore a distanza, azionabile con un rudimentale telecomando: per provarli, questi nuovi aggeggi, andava spesso nei boschi del Trentino, lontanissimo da occhi indiscreti. Percorreva in quei casi, tutta la valsugana col suo scooter e poi si arrampicava in qualche sentiero boscoso che portava in valli incantate. Li` era libero di dar spazio alle sue belle esplosioni, godendo delle bellezze della montagna.
Un giorno, girovagando per Padova, che non sapeva dove andare, entrò nella stupenda basilica di Sant’Antonio, il protettore della città e non solo. La volta celeste di Giotto non riuscì a non sorprenderlo e, per un attimo, sentì un fremito al cuore. E proprio uscendo da quel tempio superbo della cristianità, sentì una vocina pronunciare il suo nome: “Italo, Italo …” il suo cuore ebbe un balzo quando vide, in lontananza, Gimmy che teneva la mano di sua madre.
“Ciao bello.” Poi guardò intensamente negli occhi la nobile Elisabetta, stavolta ancora più elegante: “Posso invitare lor signori al ristorante?” Gli occhi della donna risposero da soli. Si capiva che gli piaceva molto quel ragazzo bello e più giovanile di lei.
Dal quel momento, iniziò una “amicizia” che, nonostante egli avesse ricevuto precisi divieti dai suoi datori di lavoro, durerà assai.
Nei giorni seguenti la loro storia proseguì senza intralci. Arrivò, addirittura, ad accompagnare il bambino a scuola.
“Di che ti occupi?” Lei gli chiese un giorno.
“Sono un libero ricercatore, mi occupo di studi balistici e di chimica applicata.”
Fu il momento in cui prese una decisione, forse si trattò del primo passo falso: abbandonò, in un breve lasso di tempo, la casa della vecchia madre, quella in cui arrivavano i telegrammi con i suoi ordini di lavoro e, dati i consistenti risparmi di cui disponeva, in Svizzera, decise di comprarsi una casa e di andare a vivere con la donna ed il figlio: la famiglia che aveva tanto aspettato.
In una bella mattina di sole, decise di andare a prelevare il contante. Varcò il confine con la sua piccola moto, stavolta dipinta di un vivo colore rosso fuoco. Era la prima volta che usava la Vespa per sconfinare invece di passare la dogana a piedi. C’era molto traffico al posto di blocco: i dolorosi episodi di violenza che avvenivano quotidianamente, in Italia, avevano fatto prendere delle decisioni e dei provvedimenti pesanti a tutte le polizie di frontiera. Il lassismo degli anni precedenti, aveva lasciato posto ad una più ben congegnata rete di controlli, anche nella tranquilla Svizzera.
Ebbe un sussulto quando, mentre se ne stava calmo in fila per entrare, dietro moltissimi altri automezzi, un doganiere gli fece cenno, chiamandolo.
“Lei – gli intimò l’agente svizzero – venga qui.”
Era la prima volta, in vita sua, che un poliziotto gli rivolgeva la parola. Provò una strana sensazione.
“Prego?”
“Venga, venga giovanotto.”
“Vuole – disse deglutendo la saliva – vuole controllare il mio documento?”
“No, no, si figuri, volevo solo dirle che, con questa piccola moto, può passare avanti alle automobili. Vada, vada pure.”
L’Unione delle Banche Svizzere lo aspettava. Prese tanti di quei soldi che riempì, una volta cambiati i Franchi svizzeri con le lire, il borsone, la ruota di scorta della vespa e ogni anfratto delle sue tasche.
Con quel gruzzoletto ben presto comprò una abitazione molto vicina a quella di sua madre, la intesto` a lei, visto che lui risultava nullatenente poi chiamò la bellissima Elisabetta e le chiese, in un sera con la luna, regalandole un magnifico e costoso anello, dopo essersi inginocchiato: “Vuoi venire a vivere a casa mia?”




martedì 16 luglio 2019

Aristotele

Si ama quello
che colpisce e si
è colpiti da ciò
che non è
ordinario.

Italo Scanio (Romanzo 5 Capitolo)

Capitolo Quinto




“A volte, sono sufficienti pochi individui per fare grande una nazione, ma ne bastano molti meno per distruggerla.” Con queste parole si apriva, all’indomani dall’ennesima strage, nelle pagine di un quotidiano nazionale, l’articolo principale, firmato da un grande giornalista politico. Italo, immaginò che l’editorialista si fosse ispirato proprio a lui ed alle sue azioni. Ne fu quasi orgoglioso. Il giornalista sosteneva che, all’interno di una società dove la massa dei cittadini lavora, produce, inventa, crea, esistono gruppi non ben identificati, che, all’oscuro da tutti, opera per distruggere la nazione. “Sono un’infima minoranza, forse poche decine di persone, ma fanno più male loro al paese che decine di milioni di buoni cittadini.” Chi rappresentasse questa minoranza, non ce lo ha mai specificato, né questo bravo cronista, che continuerà a raccontarci la nostra storia per tanti altri decenni ancora, né un qualsiasi giudice, o poliziotto, o politico.
Anche nel caso dell’aereo sparito (che nessuno risolverà per, almeno, altri cinquant’anni e forse piu`), il nostro esecutore era stato contattato col solito sistema, cioè tramite un telegramma indirizzato alla sua vecchia madre, in cui veniva riportata la seguente frase, scritta nel codice che, ormai, conosceva bene: “Beatles 2, 21.”
Appena lo lesse, scese correndo al bar sottocasa, ordinò qualcosa da bere e chiese subito del giornale. Purtroppo lo stava già leggendo un signore anziano, e sembrava non aver voglia di abbandonarlo, se non dopo avere letto anche l’ultima riga di pubblicità. Tornò al bancone e domandò, gentilmente, al barista, se poteva prendere un bicchier d’acqua. Poi andò a sedersi vicino al lettore accanito e, senza farsi vedere da nessuno, versò l’acqua proprio sotto le scarpe di quel simpatico, ma rompiscatole, vecchietto. Poi gli fece notare che, forse, se ne sarebbe dovuto tornare, immediatamente, a casa: “Guardi, signore, c’è una pozzanghera ai suoi piedi.”
“Ma porc can …” bofonchiò il signore, che lascio` il giornale, prese in mano il cappello e se ne andò subito, stizzito e svergognato.
Prontamente si mise a scrutare, allora, “Il Gazzettino” lasciato libero, dove si poteva leggere, in prima pagina ( cioè Beatles come ordinato nella traduzione del messaggio), seconda colonna, rigo 21, un articolo in apparenza insignificante.
Però, ebbe un grave sussulto quando si accorse che in quell’articolo si parlava, addirittura, di un “DC9”, cioè di un aereo da trasporto passeggeri e si menzionava la regione Sicilia. “Sicilia?” chiese a sé stesso.
Visti i tempi che correvano, non ebbe molti dubbi nell’interpretare che i suoi mandanti, i suoi terribili dirigenti, bramavano qualcosa di grosso, realmente, di un fatto eclatante che avrebbe sconvolto l’intero paese.
Iniziò subito a mettere in atto il suo piano, visto che era egli stesso, una volta raggiunto dal messaggio segreto e criptato, a dover organizzare tutto l’affare. Lui ne diveniva l’unico responsabile e nessun altro doveva sapere. Era andato, ben presto, a rifornirsi del materiale esplosivo col solito metodo, poi si era informato sugli aerei che, da Bologna ( una città che gli stava particolarmente a cuore), partivano per la Sicilia. Aveva identificato un velivolo, ed un orario, che lo avevano portato fulmineamente a prendere la decisione: l’aereo, pieno zeppo di passeggeri, sarebbe dovuto cadere proprio sopra Palermo. Forse, pensò sapendo però di non aver dovuto pensare, qualcuno vorrà punire i mafiosi di quella città, ma poi capì che, in ogni caso, non sarebbe mai arrivato a capire la verità che, tanto, nemmeno lo interessava. Si informò sulle hostess, pensando di farsene una di molto carina, di portarsela a letto per fare l`amore e di usare lei per far trasportare l’ordigno fin dentro l’aeroplano.
Purtroppo, capì subito che, sull’aereo che lui aveva identificato, i piloti e gli assistenti di volo erano tutti dei giovani maschi.
Fu così che lui, per la prima volta nella sua vita, decise, visto che non gli era rimasto il tempo materiale per cambiare obiettivo, di contattare uno degli avieri e, perciò, di intrattenere un rapporto con lui, in qualche maniera, al fine di inserire, in un momento di distrazione del malcapitato, l’ordigno nella sua valigetta, visto che gli operatori di bordo non vengono mai controllati, neanche i loro bagagli.
Capì che, per aver vicino uno di quegli uomini, per un lasso di tempo abbastanza lungo, avrebbe dovuto sacrificasi a fare qualcosa che non aveva mai fatto, e che, di certo, non lo solleticava particolarmente, anzi.
Ci pensò un poco: nonostante gli piacessero le donne mature e in carne, si sarebbe dovuto adattare. Avrebbe dovuto intrattenere, per la prima volta nella sua vita, un rapporto omosessuale, non c’era via di scampo.
Li squadrò tutti: i due piloti erano troppo “machi”, di sicuro quelli desideravano solo donne. Notò una certa tendenza femminile solo nel più giovane degli steward, e lo contattò, sperando di non sbagliarsi.
“Ciao – gli disse, avvicinandosi – sei di turno nell’aereo di Palermo?” Il ragazzo gli rispose con un sorriso a trenta due denti, “Sììì caro, posso esserti utile?” Italo non si era sbagliato. Quel tale faceva proprio al caso suo.
“Posso offrirti qualcosa da mangiare?” gli chiese col garbo che, di solito, usava con le sue donne.
“No, grazie, noi mangiamo alla mensa del personale.” Italo si stava già smontando, anche perché quella cosa non lo eccitava particolarmente.
“Però possiamo bere qualcosa se vuoi, caro mio.”
Gli offrì una mezza dozzina di bicchieri di gin, rhum, grappa alle erbe e grappa al miele, molto dolce ed anche molto ubriacante.
E così, nel giro di trenta minuti, si ritrovò in una alcova di lusso con un maschio: una bella cabina riservata al personale di volo, con tutti i confort e gli optionals. Non sapeva bene che fare, l’uomo era già nudo e ubriaco, vicino a lui e disteso sul letto e sembrava molto carino. Ci pensò un po’, si concentrò, ed iniziò subito ad agire.
Si limitò, allora, a fargli quelle cosine che, di solito, le donne praticavano a lui, al suo pene e si accorse che quel ragazzo stava godendo molto. Ad un certo punto (non ci si meraviglierà mai, nella propria esistenza terrena, di quante cose non conosciamo bene di noi stessi), percepì una strana forma di piacere, che mai si sarebbe aspettato di provare. Alla fine dovette dire a sé stesso, a bassa voce, che quella era stata proprio una bella esperienza. “Di necessità, virtù”.
Poco dopo, mentre il giovane ragazzo si stava lavando sotto la doccia, non gli ci volle molto ad inserire nella capiente valigia in dotazione agli stewart, il suo ordigno, compatto e ben congegnato, che sarebbe dovuto esplodere tre minuti prima dell’atterraggio all’aeroporto internazionale “Punta Raisi” di Palermo, facendo precipitare il velivolo sui tetti delle case, creando, secondo i suoi calcoli e secondo gli ordini dei suoi mandanti, distruzione e panico nel centro della città capoluogo della Sicilia.
Diede un bel bacio d’addio al suo giovane amante, e lo ammirò finché non lo vide salire sul “DC9”, assicurandosi, come infatti successe, che nessun controllore lo avesse fermato.
Avviò, dall’aeroporto di Bologna dove si trovava, il motore del suo piccolo scooter, con la solita pedalata. Secondo i suoi calcoli, la città di Palermo sarebbe rimasta sconvolta per più di tre giorni, tra soccorsi, pompieri, ambulanze, indagini ecc. ecc. e perciò si mise in testa di andarci subito per godere dello spettacolo. Il viaggio, col suo lento motorino, sarebbe dovuto durare un giorno e mezzo, forse due, ma ne sarebbe valsa la pena. Purtroppo, solo dopo qualche ora, fermandosi in un bar appena fuori di Firenze, sentì una strana notizia, che non si aspettava, trasmessa da un piccolo televisore sopra al bancone. Il giornalista mezzo busto, con la voce roca d’ordinanza in questi casi, riportava questo contenuto: “Disastro sopra l’isola di Ustica. Un DC9 dell’ Itavia è caduto pochi istanti fa, col suo carico di 82 passeggeri. Sono iniziate le ricerche. Si teme una anomalia nei motori.”
“Ustica?” si chiese Italo, non sapeva manco che esistesse. “Stramaledettissimi timer - si disse – mai una volta che funzionino. Stavolta, poi, il congegno ad orologeria è partito in anticipo, per la prossima volta dovrò trovare un’altra soluzione. Eh no, così non va proprio bene”
Con rabbia, ma non troppa, inforcò la sua vespina 50, invertì la marcia verso il Sud e tornò subito indietro. Doveva dirigersi a casa sua, a Padova, a studiare qualcosa che perfezionasse i suoi timer. L’indomani, si sarebbe divertito a leggere i tanti quotidiani.
“La vita è bella” pensò, guidando la sua magnifica vespa, con l’aria tiepida di Giugno che lambiva i lineamenti del suo volto, i suoi capelli e la sua bella faccia di bronzo.








lunedì 15 luglio 2019

Italo Scanio( Romanzo 4 parte)

I                                                  Capitolo Quarto


Era una torrida giornata d’Agosto, il clima era infuocato, la gente tendeva a spogliarsi, a bere abbondantemente, a lavorare il meno possibile. Italo godeva molto, nel vedere come le donne cercassero di combattere l’afa, cioè togliendosi di dosso quanti più vestiti potessero.
L’Italia era percorsa, in quei giorni di piena estate, da turisti provenienti da tutte le parti del Mondo. Non c’era metropoli, o città d’arte, o spiagge o piccoli borghi di montagna, di mare o di collina che non fossero invasi da milioni di vacanzieri, villeggianti o turisti illuminati, febbricitanti, entusiasti, allegri e con la pancia piena di pietanze gustose made in Italy ed ebbri dei migliori vini del paese.
Anche quel piccolo paesetto in cui si trovava, dalla stazioncina minuscola, aveva i suoi visitatori. Pure quel posto, sebbene abitato da poche anime, presentava tantissime attrattive, opere d’arte, sculture, quadri e chiesette rinascimentali o medievali, che racchiudevano, come tanti scrigni, le bellezze che tutti ci invidiano.
Quella stazioncina appresentava l’ultima tappa prima di arrivare a Bologna. Bologna, era proprio quella, la sede scelta da Italo per piazzare la bomba che avrebbe fatto saltare in aria l’intero convoglio.
Il treno maledetto, carico di passeggeri all`inverosmile, stipati in piedi nei corridoi, si immise in quella stazione per una semplice fermata: quando il ragazzo lo vide arrivare, sentì che il cuore aveva iniziato a battergli con insistenza. Vi entrò con molta fatica, facendosi spazio tra i corpi, in quei pochi minuti in cui si era arrestato per una breve sosta. Piazzò l’ordigno che era contenuto in una piccola, anche se capiente, valigia di cuoio. Lo piazzò vicino alla toilette, senza che qualcuno lo avesse visto entrare ed usci` poi, fulmineamente, dallo stesso vagone in cui era penetrato precedentemente.
Si ritrovò fuori, respirando nella calda e serena mattinata. La graziosa stazioncina era rimasta vuota, dopo la partenza del treno, si udivano solo i melodiosi canti dei pochi uccellini accaldati sulle fronde.
Allora rimise in moto la sua vespa, colorata di verde smeraldo stavolta, e si avviò lungo la statale, in direzione della grande stazione di Bologna dove, qualche decina di minuti dopo, sarebbe dovuto entrare il treno, o i resti del treno, magari trainati da un’altra locomotiva, pieno di cadaveri, che l’ordigno da lui piazzato così abilmente, nel frattempo, avrebbe dovuto far saltare.
Ma anche stavolta capì subito, con grande disappunto, che qualcosa era andato storto. Infatti, una volta giunto alla stazione centrale, si accorse che il treno era giunto bello e in ordine al suo binario, ed anche in anticipo, con tutti i suoi passeggeri ancora vivi. “Maledetti timer – pensò – ci fosse una volta che funzionino bene.”
Erano da poco passate le dieci, quando si accorse che un passeggero, forse un ladro, aveva sottratto la valigia (che non aveva fatto in tempo a esplodere) contenente l’ordigno e l’aveva appoggiata vicino ad una delle sedie in sala d’attesa, più precisamente la sala d’aspetto della seconda classe. La riconobbe subito, da lontano, ma non fece in tempo a fare niente.
Vide un lampo nei suoi occhi e divenne sordo per diversi minuti.
Lo scoppio fu sentito in tutta la città. Fu proprio un bel botto.
Intorno a sé, vide sangue, morti, distruzione, terrore. Per lui, si trattava proprio una bella scena. Sentire la gente che urlava e piangeva, scorgere tutti quei resti umani e quel fiume rosso copioso, meditando che, tutto ciò, tutto quell’inferno, era stato provocato dalle sue mani, lo eccitò a tal punto che fu costretto a correre nel gabinetto, chiudersi dentro, sedersi, rilassarsi, toccarsi il pene e, piano, piano, mentre fuori urlavano le sirene ed il Mondo veniva a conoscere la terribile notizia, iniziare a masturbarsi con enorme piacere e passione. Solo dopo aver raggiunto un orgasmo prepotente e liberatorio, si accorse di essere stato, lui stesso, ferito dall’esplosione. Nulla di grave o di particolarmente doloroso, solo una strisciata al polpaccio. Però fu, a questo punto, assalito da un forte dubbio: avrebbe dovuto lasciar perdere, rimanere nell’anonimato, anche per non essere riconosciuto da qualcuno, e soprattutto, sospettato, o andare a farsi curare dai medici e dai soccorritori accorsi in forze?
E così, manco fosse vittima tra le vittime, senza pensarci tanto e col suo tipico muso di bronzo, si stese a terra vicino agli altri, cadaveri, feriti gravi o feriti lievi che fossero, e, piangendo come un agnello, si fece medicare. I sanitari scoprirono che, oltre al polpaccio, era stato colpito anche da qualche scheggia sulla spalla destra, e gli dissero: “Ragazzo, non temere, non sentirai male, ti mettiamo a posto noi.”
“Grazie – rispose Italo piangendo e gemendo – siete proprio degli angeli.”
La scelta di farsi curare fu la scelta giusta.
Passò, da carnefice qual’era in realtà, a vittima a martire e ad eroe. I medici guarirono le sue ferite abbastanza lievi, ma furono oltremodo amichevoli con lui, data la situazione, e stilarono, a suo favore, una diagnosi in cui si sosteneva che il povero ragazzo sarebbe rimasto invalido per tutta la via, e questo gli fece guadagnare in seguito, dallo stesso Stato italiano, una pensione di invalidità.
Per come parlava e si esprimeva, poi, i medici gli valutarono anche un certo tipo di ritardo mentale, forse dovuto proprio all’esplosione o a malattia congenita (ovviamente bleffava e millantava molto bene.)
Se ne rimase due giorni a mangiare, bere, dormire e leggere i giornali, che erano gratis, nell’ospedale stracarico di pazienti e percorso giorno e notte da equipe televisive e da autorità politiche o istituzionali. Il prefetto in persona venne a stringergli la mano e a fargli coraggio: “Tanti e tanti cari auguri di pronta guarigione a questo giovane italiano – disse - e che tu possa tornare presto al tuo lavoro.”
Gli inservienti avevano, inoltre, piazzato un piccolo apparecchio televisivo vicino al suo lettino bianco, e perciò lui si godeva, dalla mattina alla sera, lo spettacolo, così eccitante, della sua strage, trasmesso e ritrasmesso in mondovisione.
Verso le dieci di sera, mentre era rimasto da solo nella stanza d’ospedale (perché gli altri pazienti erano stati dimessi, ma lui no, in quanto si era lamentato, falsamente, di avere ancora dolori di testa), sopraggiunse una infermiera a fargli una puntura. Si trattava di una bella signora sui quarantacinque anni, molto affettuosa e simpatica, che gli intimò di girarsi e poi di togliersi le mutande. Ma lui, prima si tolse le mutande e solo poi si girò. La donna si trovò, allora, davanti agli occhi un pene in erezione, che era da tanto che non ne vedeva uno. Evidentemente ebbe pena di quel povero ragazzo vittima della peggior strage successa in Italia in questi anni, perciò pensò bene di consolarlo. Gettò subito la siringa nel cestino, pensando che, indubbiamente, il paziente non aveva certo bisogno di vitamine, prese in mano quell’oggetto e si mise, con calma, sopra di lui.
In quei giorni era molto soddisfatto sia sul piano personale ed umano che su quello professionale. Si era recato a Chiasso, appena dentro il territorio svizzero, a controllare il suo conto bancario.
Era arrivato, come accadeva solitamente, nel centro di Como, aveva parcheggiato il suo piccolo scooter, che stavolta aveva appena finito di dipingere di nero, ed aveva valicato il confine a piedi, senza che qualche guardia, alla dogana, avesse notato né lui né la sua moto lasciata a qualche chilometro di distanza, che tanto non aveva targa. Di solito aspettava che ci fossero altre persone ad entrare in Svizzera, ma stavolta era entrato da solo. Non lo avevano notato, né si erano sognati di controllargli i documenti.
Egli ebbe un forte sobbalzo, quando lesse il saldo del suo conto. Ritirò un po’ di contante, lo cambiò in lire e tornò in Italia, che da quella banca benedetta dista solo qualche centinaio di metri.
Era soddisfatto di quella strage: i giornali continuavano ininterrottamente a parlarne, davano la colpa a brigate rosse e brigate nere, alla mafia, alla loggia massonica “P2”, ai servizi segreti americani, sovietici, israeliani, bulgari, cinesi, cileni, greci ed anche italiani. Se lo avessero chiesto a lui, in verità, non avrebbe saputo che cosa rispondere.
Eppure, quel disastro orribile, per quanto possa sembrare atroce ed agghiacciante, così pieno di poveri morti e feriti, non era stato, in fin dei conti, tanto più grave di quello che aveva commesso, sempre e soltanto lui, il giovane Italo, solamente il mese precedente.
Sì, qualcuno la ricorderà la notizia di quell’aviogetto caduto in mare appena 35 giorni prima della strage di Bologna.
Proprio Italo Scanio ( e questo era un altro dei suoi segreti), lo aveva fatto scoppiare in cielo, l’unica cosa che lo aveva infastidito, era stata di non esserselo potuto gustare in diretta ed in prima fila anzi, “dentro la notizia”, come era avvenuto per la strage nella stazione.











domenica 14 luglio 2019

Italo Scanio (Romanzo 3 parte)

Capitolo Terzo


Tanto tempo era passato da quel giorno, tanti attentati aveva portato a termine. Ormai era un professionista e un bravo veterano.
La giornata era di quelle buone, calda e soleggiata, la gente, fuori, rideva e chiacchierava delle vacanze imminenti, di politica, dei disastri continui.
Quel giorno gli arrivò, tramite il solito telegramma, come sempre intestato a sua madre, il messaggio: “spaghetti 5, 20 pacchi.”
Capì che doveva leggere, allora, in terza pagina del “Gazzettino”, quinta colonna al rigo 20, lo fece: Ne fu agghiacciato, anche se per poco.
Si parlava del treno speciale, lunghissimo e sempre pieno di passeggeri, che attraversava l’Italia e si citava la regione tosco emiliana. Egli, allora, capì, sospirando, che questa volta avrebbe dovuto trattarsi di un bel botto.
Secondo le indicazioni ricevute in passato, Italo non avrebbe dovuto mai sposarsi né avere fidanzate, vivere sempre a casa della mamma vecchia e pensionata e risultare disoccupato nullatenente.
E così si adattò a fare. Ogni tanto, per sfogarsi, Egli si accompagnava con donne mature e in carne, le sue preferite, ma senza creare legami che avrebbero potuto risultare pericolosi per il suo lavoro.
A volte, qualcuna la pagava.
Tra le tante cose che sapeva fare bene, c’era la sua capacità di immergersi nel mare profondo: anche se nemmeno sua madre era a conoscenza che lui sapesse nuotare, era un espertissimo sommozzatore, un inimitabile subacqueo. E questo fu fondamentale per il suo lavoro, proprio per un fatto assai curioso, uno dei tanti misteri italiani che sara` scoperto solo dopo tanti e tanti anni.
Infatti, anche se nessuno lo sapeva, era avvenuta una cosa molto originale, nella meta`degli anni ’30, durante il periodo fascista: era affondata una nave e nessuno (almeno così si pensava) l’aveva più localizzata, da quei giorni, nel fondo marino.
Italo si doveva procurare, ogni volta e al bisogno, l’esplosivo proprio dal relitto di questa nave, affondata al largo di Salerno, durante la guerra d’Africa, che nessuno era mai riuscito a individuare (ad esclusione solo di “loro”) e che conteneva ancora, (oltre a tante armi e ordigni bellici), il tritolo destinato all’esercito italiano che, a quel tempo, si trovava in Somalia. Era stato informato di questa scoperta, dal suo mandante segreto, che gli aveva fornito, inoltre, le precise coordinate del relitto navale.
E così, quando ce n’era il bisogno, lui si calava al fondo, e ciò avveniva prima di ogni attentato, per rifornirsi di quanto gli serviva e, senza farsi mai vedere da anima viva, riusciva, con quella quantità, a fabbricare esso stesso, senza aiuti di altre persone, gli ordigni che avrebbe usato nei suoi attentati.
Quella nave, forse, era stata utilizzata anche da altre organizzazioni.
Quando si doveva recare a Salerno e iniziare l`immersione da quella spiaggia segreta da cui avrebbe raggiunto il bastimento scomparso, ci andava sempre in Vespa (quella che Lui cambiava sempre di colore), nel cui bagagliaio portava la tenda canadese ed un caldo sacco a pelo. Non avrebbe mai dovuto dormire in una pensione o in un albergo, né farsi vedere in giro da quelle parti. Campeggiava con la sua canadese dentro un boschetto, da cui si poteva ammirare la spiaggia che, però, era sempre deserta, d’estate e d’inverno, per la sua inaccessibilità, dovuta alla presenza di scogli alti e ripidi: la gente, infatti, preferiva le comode spiagge poco distanti, piene di chioschi per le bibite, ombrelloni, sdrai e bagnini per il salvataggio.
Le bombole per l’immersione, sempre pronte, le teneva nascoste dentro un vecchio bunker, o forse si trattava di una casa abusiva, dove non penetrava mai nessuno, a parte qualche trans che frequentava la zona, ma che si limitava a fare il suo mestiere senza curiosare troppo in giro.
Quella volta, però, capì, dopo aver decifrato il messaggio, che si sarebbe dovuto rifornire molto abbondantemente: se ciò che aveva percepito e che immaginava, fosse stato vero, l’esplosione avrebbe dovuto distruggere l` intero convoglio ferroviario, in quella stagione estiva sempre pieno di gente. L’idea già lo eccitava, tanto che, prima di immergersi nel fondo marino, era andato a cercare una prostituta per divertirsi. Aveva notato, sulla strada statale, tante belle ragazze giovani che passeggiavano sinuosamente e graziosamente, ma lui aveva subito adocchiato una signora sulla cinquantina, col sedere grosso e il seno esagerato. Chiedeva anche meno soldi delle altre, ma lo eccitava moltissimo.
Fece l’amore con la donna diverse volte e con molta passione, tanto che anche lei godette, cosa assai strana per chi fa l’amore per mestiere, le regalò un bel gruzzolo e se ne andò a dormire nella sua tenda nascosta nel bosco, perché l’immersione sarebbe dovuta avvenire di notte: a notte fonda, appunto, egli sapeva muoversi con perizia in quei superbi fondali, anche perché il relitto, ormai, lo conosceva come le sue tasche.
Gli era capitato, infatti, tempo prima, quando egli era andato a fare i suoi prelevamenti di giorno, di incontrare, senza essere visto, due tipi che si aggiravano, con le bombole alla schiena, alla volta del relitto. Fu allora che cominciò a sospettare che qualcun’ altro, oltre alla sua organizzazione segreta, sapesse di quella “miniera di tritolo”. Da quel momento smise di muoversi alla luce del sole.
L’opinione pubblica verrà a conoscenza, solo dopo molti, troppi anni da questi tristi eventi, che la nave era servita a dotare di tritolo varie organizzazioni criminali, senza che mai la polizia e le forze dell’ordine (o almeno la loro parte pulita), ne sapessero alcunché. Per decenni, infatti, gli inquirenti non riuscirono a capire come facessero, tante bande di terroristi, a far entrare l’esplosivo in Italia, si domandavano come facessero i criminali a passare per dogane e confini, senza che nessuno mai se ne fosse accorto e compiere attentati a iosa senza mai, e ripeto mai, essere scoperti. Per forza, l`arsenale ce l’avevano in casa, bello, comodo, potente, gratis e pronto.
Quella nave, affondata tanti anni prima, durante il periodo delle guerre fasciste, sarà il simbolo degli enigmi italiani durante i lunghissimi anni bui della Repubblica.
Il giorno successivo, dopo aver lavorato sott’acqua tutta la notte, Italo smontò la sua canadese, nascose le bombole fece un respiro guardando il sole caldo del mattino, diede un colpo al pedale della sua moto, carica all’inverosimile di esplosivo, diresse la vespa di nuovo verso il Nord e si avviò alla volta della città di Bologna.