sabato 28 settembre 2019

Il Grande Castello ( 10°Capitolo )


Capitolo decimo
Del buon governo




Questo capitolo e’ intitolato al grande poeta Mario Stefani, veneziano Radicale e libero pensatore.
Fiero di essergli stato amico.
I precetti per una buona amministrazione politica, dettati dall’esimio prof. Mario Stefani




Se Venezia non avesse il ponte
L’Europa sarebbe un’isola”
Mario Stefani












Angelo e Ugo, vagliando le ipotesi sull’ assassinio del bambino, appartatisi in un’altra stanza, si trovarono a meditare, da soli e lontano dagli ospiti, se quello che avevano commesso contro il malcapitato Gionni fosse stato un grande errore poi, i due si perdono in una divagazione assai dotta sui massimi sistemi.
Più che una discussione, si trattava di un monologo impostato da Angelo, mentre l’amico Ugo sembrava lieto di ascoltare le sue riflessioni: pareva, anzi, che volesse registrare, in un certo modo, le sue parole. Ugo era stranamente divertito e per nulla sorpreso da quegli stranissimi avvenimenti. Sembrava non lo toccassero e piu’ succedevano cose terribili, piu’ lui era contento come se ci dovesse guadagnare qualcosa.


Caro Ugo mi piace ricordare con te, adesso che stiamo per andarcene da questa vita, le belle parole di un grande poeta, ma anche stratega politico, statista, filosofo.


Egli, un tempo, ebbe a dire che, il sindaco di una città, di ogni città, dovrebbe essere la donna di casa, La semplice moglie, la mamma di una famigliola come ce ne sono molte, con pressanti problemi economici, che lei risolve con tenacia ogni mese, da tempo immemorabile ed in ogni giorno dell’anno. Una signora che riesca a far quadrare il bilancio famigliare nonostante la crisi, il basso stipendio del marito e le tante spese necessarie, la scuola dei figli, le bollette di casa - ed in ciò il professor Stefani aveva sacrosanta ragione – sarà, anche, in grado di gestire con la stessa fermezza il Comune della sua città, il suo Municipio, che assomiglia ad una grande casa, questa è la realtà … altro che quei professoroni di prestigiose Università, i baroni e cattedratici economici (che, poi, economici lo sono stati assai poco e assai male.)”
Ugo seguiva con interesse l’argomento, avrebbe voluto intervenire, ribadire l’esempio della “cuoca di Lenin” che sintetizzava questo concetto gia’ conosciuto nella Storia, ma l’altro, ch’ era come un fiume in piena e ingrossato, proseguì:
Il Ministro del lavoro lo potrebbe fare con profitto, sempre secondo Stefani, solo e soltanto chi ha provato sulla sua pelle cosa sia la disoccupazione, la mancanza di un reddito che ti permetta mantenere la tua famiglia. Potrebbe esserlo uno dei tantissimi che hanno lavorato una vita per una impresa che poi, non di certo per colpa dei lavoratori, chiude per fallimento o perché il padrone de localizza (cioè parte per l’estero col primo treno) o semplicemente perché lo stesso padrone non ha più voglia o interesse in quella azienda.”
Certo – lo interruppe Ugo – come è successo a tutti i miei parenti.”
Angelo proseguì senza soluzione di continuità:
Ministro dell’Industria e del Commercio sarà colui che ha gestito una impresa che poi, per via della crisi o perché ha pagato tutte le tasse a differenza degli altri (quindi non potendo reggere la concorrenza dei disonesti), ha visto fallire il suo progetto, dopo aver dato l’anima ed il corpo alla sua iniziativa, colui che ha visto morire le sue speranze di crescita, solo per colpa di una burocrazia inetta e di un governo formato da certe persone, che non hanno mai lavorato veramente e non sanno il significato del verbo faticare“.
Ugo annuiva sempre più convinto.
E il Ministro della Sanità - riprese Angelo, sempre citando le idee rivoluzionarie del grande Stefani - lo farà colui che ha sperimentato il funzionamento degli ospedali: come quello che ha subìto un errore clinico e ha dovuto rioperarsi con un altro dottore in un altro ospedale, magari in un altro paese.”
Ugo stava buono e zitto.
Il Ministro della Giustizia lo potrà fare soltanto chi ha provato il carcere. Come Enzo,il grande Enzo nostro, che ha subito l’onta delle sbarre pur essendo completamente e palesemente innocente (ma non per il signor “Vostro Onore”, che ha le sue idee già ben radicate e che non si smentisce neanche davanti all’evidenza). Purtroppo Enzo, in quel carcere, è morto.
E anche i signori giudici, al conseguimento della loro laurea e alla vincita del concorso, prima di svolgere l’ altissimo e prestigioso incarico di magistrato, dovrebbero provare un mesetto di galera anonimamente.
Senza che nessuno conosca le loro identità, tanto per capire come funziona quella gattabuia in cui loro, nel corso della carriera, rinchiuderanno tanti e tanti malcapitati: staranno ben attenti a non creare troppi “fornareti di Venezia” e a lasciare, d’altro canto, in libertà troppi mostri e criminali.”
Tutti conoscevano la storia del “fornareto de Venexia”, giustiziato innocente sulla piazza san Marco, nell’epoca della Repubblica Serenissima, al posto di un Nobiluomo, vero colpevole del delitto ed Ugo ripensò a quanta gente avesse passato anni ed anni in carcere pur essendo innocente.
Certo, non c’era la pena di morte nella nostra Italia ma, come aveva anzidetto Angelo, Enzo era morto per la prigionia, proprio in Italia. E lui era stato solo uno dei tanti “fornareti”.
E poi le banche, Ugo caro, le banche … secondo Stefani andrebbero tutte chiuse, da quando hanno smesso il loro compito di:
1) custodire i soldi dei clienti.
2) prestare quegli stessi soldi alle aziende o alle famiglie che ne hanno bisogno, per far crescere l’economia.
Altri punti non ce ne sono. Il punto 3) recita: seguire bene le istruzioni dei punti 1) e 2).
Adesso le banche prendono a prestito i soldi dallo Stato, o dalla banca europea, al tasso dell’uno percento. Poi comprano i titoli dello stesso stato, facendogli un favore, al tasso del cinque per cento. In questo modo, alla mattina, i banchieri, possono fare a meno di alzarsi dal letto. Di certo non vanno a rompersi le scatole nel prestar soldi alle aziende, che possono tutte crepare come infatti stanno facendo, o alle famiglie che, chissà perché, si stanno sfaldando.
Ed infatti, tra le prime leggi che proporrebbe Stefani, la primissima è quella di chiudere le sedi e le filiali, mettendoci al loro posto teatri, cinema, pratici negozi o case di piacere. Forse è per questo che avevano già tentato, quattro volte, di farlo fuori.”
Ci fu silenzio, sospiri, poi un attimo di riflessione (forse paura).
Sai Angelo – disse Ugo – se questa è veramente la nostra ultima notte, capisco molto bene e solo ora, il tempo che abbiamo passato. Forse tante e tante sono state le occasioni della vita che abbiamo sprecato.
Dicono che, quando due vecchi parlano tra di loro, non emergono quasi mai rimorsi, ma sempre e inesorabilmente rimpianti.”
Eh sì, povero Mario, chi l’avrebbe detto che una persona così geniale, avrebbe fatto quel passo, si sarebbe tolto la vita impiccandosi nella sua stanzetta? E ciò, solo perché era stanco del Mondo che non lo comprendeva, che non gli perdonava di essere omosessuale.
Un giorno, mi aveva raccontato delle azioni orribili commesse dai fanatici estremisti nei paesi arabi. Tutti i paesi arabi, anche quelli amici dell’occidente. Mi narrava delle donne lapidate, dopo essere state infilate in un sacco di iuta e mezze seppellite, solo per aver avuto rapporti sessuali senza essersi, prima, maritate.
Del giovane omosessuale condannato a morte, che già è una cosa brutta, ma solo dopo aver patito una settimana di torture disumane. E i giudici di dio, sicuri del loro mandato, non dimostravano la minima pietà, anzi, si pensa che provassero, come tutti i torturatori, un grande piacere. Eppure, affermava Stefani, per capire quella gente tanto bigotta e crudele, bastava andare agli anni cinquanta, nel nostro stesso paese. Anche allora le fedifraghe venivano punite e così gli omosessuali. Molte volte, anche nel nostro paese, si compivano violenze contro di loro, al pari di ciò che fanno i talebani.
Molte altre, ci si limitava a riempire queste persone di disprezzo e svilimento, cacciandoli in una vita di umiliazioni e di inferno.
Angelo, cambiando completamente argomento, affermò: “Forse so chi ha ucciso veramente il bambino. Sì, ho capito che abbiamo sbagliato completamente il bersaglio. Fammi ascoltare l’ultimo racconto, anche se non servirà tanto alla soluzione del giallo, e poi ti svelerò, o capirai da solo, la mia opinione.
Ugo restò perplesso e incuriosito.
Al termine del loro incontro riservato, Angelo ed Ugo tornarono nello stanzone del caminetto, dove nel frattempo gli ospiti s’erano rilassati, eccome. Tatiana e Serena si erano tolte alcuni vestiti, perché l’atmosfera era sempre più calda. vedere vicine le loro pelli così diverse, che quasi si completavano l’una con l’altra, era cosa meravigliosa. Chissà che cosa avranno fatto, in quel mentre, gli ospiti? Cosa sarà successo in quello stanzone, mentre loro stavano chiacchierando sui massimi sistemi? Pensarono i due vecchi, (che, poi, tanto vecchi non erano, in fin dei conti), con un certo imbarazzo.
In effetti si era bevuto molto, e come dargli torto, se il vino veneto che produceva quel castello era buonissimo e profumato? Essi notarono che anche alcuni maschi erano leggermente svestiti, ed l’ afrore nell’aria era intenso e sensuale.
D’altronde, quella era, con molta probabilità, l’ultima notte della loro vita. Anche se quei ragazzotti più o meno giovani e quelle bellissime fanciulle avessero commesso qualche “atto impuro”, ascoltando il richiamo della libidine, probabilmente non avrebbero commesso un grave peccato, e poi, chi di loro due anziani e saggi, avrebbe potuto fare del moralismo, proprio durante la fine del mondo? Infatti nessuno dei due diede importanza al fatto che, in quel salone, vicino al fuoco, era avvenuta un’orgia vera e propria. Nessuno ha visto nulla. Tanto meglio.
Però ad Ugo, il fatto che si fosse consumata una grande profusione sessuale, piacque molto, ed Angelo lo vide diventare molto allegro. Non ne capirà il motivo per un po’
Ma lo comprendera’. Solo e soltanto alla fine.
Nel frattempo, qualcuno era andato in cucina allo scopo di rimpiazzare le pietanze che mancavano nel buffet. Ora il tavolo con il panno bianco che contornava lo stanzone, era di nuovo strapieno.
C’erano le pappardelle fresche al sugo di lepre, il pasticcio di carciofi, quello di melanzane alla parmigiana e quello di pesce e tantissime verdure cotte, ottime da gustare con la porchetta speziata e un po’ di senape e gli immancabili salami, sia freschi che stagionati.
Angelo si rivolse a tutti: “Scusateci se ci siamo trattenuti, ma era una questione di affari personali, anche se immagino che non vi siate annoiati nel frattempo.”
I ragazzi arrossirono, ad esclusione del monaco.
Poi si dedicò al monaco (il quale aveva partecipato ardentemente all’orgia … pensando: “tanto, domani saremo tutti morti”) e dichiarò a voce alta non senza ironia:
Prego, signor pastore, ministro del culto, ci racconti e ci illumini. Sono certo che la sua narrazione sarà molto interessante per tutti noi.”
Padre Luigi andò a raccontar loro qualcosa che li avrebbe fati trasalire

giovedì 26 settembre 2019

Il Grande Castello ( 9°Capitolo)


Capitolo nono
INNOCENZA
Il racconto di Gionni
e riflessioni sulla giustizia sommaria







Non avrei mai pensato, vi giuro, di finire in un carcere italiano. In tutti i miei numerosissimi e fecondi viaggi intorno al mondo ho visto, ho capito e ho fatto tante di quelle cose … ho anche rischiato, più volte, di morire. Ma ritrovarsi in una orribile prigione di rigore, e soltanto perché la foto incollata ai documenti non mi assomigliava, almeno a parere del gendarme, è cosa da matti.
E’ proprio la fine del Mondo (nessuno rise alla impropria battuta).
Della mia vita non ho molto da dire, sono ancora assai giovane, però ho compiuto diversi viaggi, anche lontani: non mi mancano i soldi, un po’ perché me li hanno lasciati i miei genitori che son morti quando ero piccolo, un po’ perché ho cominciato presto a guadagnare ancora, essendo io, a detta dei più, un vero mago dell’elettronica, dei computer, delle nuove tecnologie.
Vi dirò che …


A quel punto del racconto, i rumori provenienti dall’alto, che tanto avevano inquietato i presenti, specialmente durante la narrazione di Pedro, si intensificarono. Passi spediti e decisi si avvicinarono. Si sentì chiaramente che una persona stava scendendo e calpestando lentamente i gradini di legno della grande scalinata. Qualcuno, in quel mentre, si era fermato proprio fuori dalla porta e la stava per aprire. La lingua di Gionni si era bloccata. Gli altri, ad eccezione di Angelo che pareva calmissimo, erano come paralizzati ed apparivano veramente pallidi in volto.
E qui entra in scena - con forza - un uomo alto, dalla lunga barba bianca, saio e sandali consunti. Dalla parte degli ospiti si sentì levare un urlo. Non era il fantasma descritto dal banchettaro Pedro, quello, infatti, sarebbe dovuto essere di una giovane donna. Esistevano, dunque, altri fantasmi nel castello di san Salvatore?
Vi presento il mio carissimo amico, un Benedettino, padre Luigi. Voi chiamatelo pure il monaco saggio.”
Disse Angelo rivolto agli ospiti terrificati, mentre preparava, al nuovo arrivato, una sedia per farlo accomodare. “Avrà fame, egli è a digiuno , volontario, da oltre dieci giorni.”
Perché non ce ne ha parlato prima? - chiese Gionni con molta agitazione - a momenti mi veniva un infarto.”
Questo religioso, questo asceta, qualche giorno fa, mi ha implorato di rinchiuderlo in una cella e sprangare la porta per ritirarsi a pregare, digiunare ed espiare, nell’attesa della fine del Mondo. Soltanto io custodivo le chiavi della cella, una stanzetta situata proprio sopra di noi (ecco il motivo per cui si sentivano i rumori dei passi). Qualche ora fa, come mi era stato indicato da tempo, sono andato ad aprirgli la porta, perché sapevo che egli ci avrebbe indicato, con la sua venuta o meno, che era giunta l’ora della nostra morte. Se lui è già qui, cari amici, vuol dire che la fine è vicina.”
Tutti tacquero.




Non di certo rincuorato da questa ultima affermazione, Gionni si fermò per qualche istante. Poi lo pregarono di andare avanti, che tanto non c’era niente da fare, lo sapevano tutti già benissimo, da prima, che quella nottata avrebbe potuto rappresentare l’ultima notte della loro vita, perciò egli proseguì il suo racconto.
Vi dirò che questa storia della fine del Mondo non l’ho bevuta molto … perché proprio adesso si dovrebbe concludere tutto? Il Sole brilla da Cinque miliardi di anni ed è stato calcolato che brillerà per altrettanti cinque miliardi di anni, continuando a donarci luce e vita. Siamo solo a metà. E’ vero che in questi giorni siamo tempestati da catastrofi terribili, ma quando mai non è stato così?
Ne ho viste, di disgrazie, durante il mio giro attorno al pianeta!
Ricordo un disastroso terremoto in una cittadina vicino a Rio, in Brasile. Per poco non rimasi schiacciato dalla frana che cadde dalla colline delle bidonville.
Mi trovavo in Thailandia durante quell’inverno in cui, ad un terremoto sconquassante, seguì un maremoto di proporzioni bibliche. Dall’alto di una collina contai a migliaia i cadaveri portati dal mare. E c’ero anche quando scoppiarono le lotte religiose tra le due tribù principali, nell’Africa equatoriale. Ricordo, altresì, lo scoppio di una tubatura del petrolio, proprio nel mentre in cui una folla di disgraziati stava cercando di procurarsi, illegalmente, l’oro nero da alcune falle nella conduttura. Ebbi, anch’io, conoscenza ed esperienza dei riti satanici.
Non ho mai avuto una famiglia e, quelli che mi hanno allevato, li ricordo come mostri di molestie e peggio ancora. Perciò, tutto il mio denaro l’ho speso nel girovagare qua e là, senza una mèta. Diceva giusto Pedro, quando ci raccontava che tantissimi italiani si incontrano in ogni parte del mondo a gozzovigliare (dove il cibo costa poco) e ad andare a caccia di prede, anche giovani.


Il modo un po’ antipatico di parlare del ragazzo con poca barba, suscitò subito i sospetti di Angelo che, guardando Ugo, s’accorse di come anche quest’ultimo scrutasse attentamente il narratore, anche se non gli sembrava, il suo amico, spaventato più di tanto. E avvenne, tra i due uomini, un severo scambio di intesa.


D’altronde ognuno ha diritto di cacciare. Se chi è cacciato, poi, ci guadagna qualcosa, allora siamo tutti contenti.
Cosa andavi a fare proprio lì in quei posti?” Lo interruppe Angelo in malo modo.
Che vuoi dire?”
Voglio dire che le località che hai appena nominate, sono note specialmente per il turismo sessuale da parte di europei ricchi e senza scrupoli.”
Che c’è di male?”
C’è di male, caro il mio sbarbatello, che le “prede” di cui parli con tanto sarcasmo e tanta freddezza, spesso sono fanciulli in tenera età.”
A volte sono ragazze già cresciute” rispose.
A volte?” Gli chiese Angelo, inorridito.
A volte” ripeté Gionni, poi si rese conto di aver detto una sciocchezza.
Dicendo a volte, intendeva dire che, nelle altre circostanze, anche lui si era approfittato di ragazzini.
Angelo glielo fece notare e lui rispose: “Ma non è vero. Non è affatto vero.” Poi, continuando, imbambolato, a dire frasi sconnesse, pronunciò un’altra sciocchezza.
Una sciocchezza assurda................................................. che gli costerà, poi, la vita.
Voi siete tesi e nervosi perché, in questo momento state pensando al ragazzo che avete nascosto di sotto.”
Ah sì? – gli ribatté il capo – tu come fai a saperlo? Qui nessuno, tranne me e Ugo sa che, di sotto, c’è un bambino morto.”
Un bambino?” Si chiesero all’unisono pieni di angoscia, come se ce ne fosse stato ulteriore e nuovo bisogno.
Sì. E costui ne è l’assassino.”


I presenti inorridirono, questa ultima rivelazione sembrò la goccia che fa traboccare il vaso della sopportazione, in animi già tesi ed esasperati. Serena si sentì male e gli altri restarono ammutoliti, ci furono delle urla. Angelo, imitato dagli altri, saltò addosso al giovane viaggiatore.


Gionni balbettò qualcosa, visibilmente terrorizzato.
Adesso la pagherai per quello che hai fatto l’altro giorno e per tutte le sozzerie che hai fatto in questi anni.”
Gli Gridò il capo dentro alle orecchie.
Lasciatemi, non potete farmi del male.” Ma venne preso e spinto verso l’uscita, praticamente tutti gli ospiti lo pestavano, ad esclusione del monaco, che faceva ogni cosa in suo potere per calmarli e per difendere il ragazzo, mentre Ugo guardava divertito. Troppo divertito
Anch’io ho un bambino piccolo che è sparito e non lo troverò mai più. La devi pagare anche per lui - disse Serena e lo punì colpendolo con la sua dura e appuntita scarpa – prendi, adesso sei tu la preda. Cosa si prova ad essere una preda? Una volpe ad una battuta di caccia?”
Fuori, fuori gettatelo fuori da qui” urlavano tutti.
Angelo andò ad aprire una delle porte stagne. Il giovane viaggiatore venne buttato a forza nella prima porta che si richiuse automaticamente. Con lui era entrato anche Roberto, che, non appena si aprì la seconda porta, lo lanciò fuori con un gesto secco, nel buio della notte: Roberto, prima di tornare dentro, guardò gli occhi dell’uomo, disteso nella neve, e notò che stavano lacrimando come quelli di un bambino.
Le porte si richiusero per sempre.
Per lui sarà una morte certa. Avete sbagliato” asserì il monaco.
Angelo fece spallucce: “Se lo meritava.”
Sì, però, non gli abbiamo dato neanche una giacca, un cappello di lana, un mantello per coprirsi.”
Tanto, lì fuori, c’è la notte nucleare, morirebbe in ogni caso.”
Così come moriremo noi” aggiunse il religioso. Poi, padre Luigi proseguì: “Ma come fate ad essere così sicuri che sia stato lui ad uccidere il bambino? Che diritto avete di giudicare? Tra di noi chi è senza peccato?”
Gli altri pensarono (perché gli tornarono subito in mente con violenza), alle proprie colpe e ai propri delitti, quelli commessi senza scrupoli e senza ottenerne punizione, ma la sete di giustiziare qualcuno “qualcun’ altro”, si sa, è una sete insaziabile.
E poi l’ ha ammessa da solo la sua colpa – confermò Angelo – parlando del bambino quando nessuno ne sapeva nulla.”
Ah – disse con stizza padre Luigi, il monaco appena entrato – non hai sentito cosa diceva mentre lo spingevate fuori dal castello? Ha confermato di averlo sentito dire da te, proprio da te mentre si stava lavando le mani e voi due, tu e Ugo, stavate discutendo.”
Ugo ci pensò un po’ su, ridacchiò, poi corse a prendere il piatto che era stato preparato in cucina: vitello in salsa tonnata e radicchio di Treviso, rosso, tardivo. Serviti con pane abbrustolito.
Così, come se niente fosse accaduto prima.
Dai, monaco, adesso racconta tu, così ti calmi.”
Padre Luigi, altissimo nella sua dignità e con lo sguardo severo che intimoriva, guardò verso gli ospiti, come per ammonirli delle loro azioni, come a dire che, stavolta Angelo aveva sbagliato, nonostante la sua acutezza di sempre.
Ma prima di far parlare il monaco, Angelo si trattenne in disparte con Ugo, in un’altra stanza per un po’ di tempo. “Cosa dici, caro amico? Avremmo commesso uno sbaglio?”
Ugo ci pensò su un poco, poi disse: “Dovremmo basare le nostre azioni sulla saggezza ed il buon senso, un po’ come faceva l’onorevole Stefani, nostro caro amico.”
A queste parole , Angelo, grande ammiratore del signor Stefani, grande eccellenza di questa grande Italia, iniziò a decantare le pillole di saggezza del filosofo politico. Altro che pillole, quelli erano veri e propri macigni di conoscenza e di intelligenza politica, cosa rara di questi tempi.







mercoledì 25 settembre 2019

Ti spoglio

Ti spoglio di quest'abito
con la dolcezza  della donna che sei...
Ti spoglio dei gioielli
con la sobrietà della regina che hai...
Ti spoglio di me
sono il fuoco che brucia tra i rami che ami...
Ti spoglio dei ricordi
tra il canto che intona la pioggia che cerchi...
Ti spoglio di ogni sguardo
che vestì la tua pelle, nudità dell'anima che doni...
Ti spoglio di ogni beffarda offesa
del dardo che ti colpì, non sanguini più, ora che vivi! 


Brunetta Sacchet 🌹

martedì 24 settembre 2019

Se solo i tuoi occhi ora!

Un magico mondo dove i nostri " peccati"
sono necessari come l'ossigeno,
indispensabili come l'acqua,
gustosi come il buon cibo!
Le tue labbra mi lasciano
il mare,
i tuoi occhi il cielo,
il tuo ventre paradiso senza fine.
La tua anima  come Michelangelo scolpisce
il mio cuore di marmo...
Lo rende vivo pulsante...
Magica creatura che mi dona vita,
vita vera!


A.T.

lunedì 23 settembre 2019

Il Grande Castello ( 8°Capitolo )


E’ molto strana, a volte, la vita, e lo è in modo speciale quando è del tutto bugiarda.
E la mia vita falsa lo è stata, credo, da quando sono nato, nella mia Perugia. Inattendibili sono stati i miei genitori, e l’ho capito quando mi trovavo in trasmissione, davanti a milioni e milioni di spettatori, ma l’avrei dovuto immaginare ben prima di allora.
Quello che dirò della mia esistenza riguarda solo la mia presenza al programma televisivo il Grande Fratello, il resto è nullità. E’come se, oltre alla partecipazione a quella trasmissione io, Kevin, non fossi mai esistito.
Da tempo immemorabile avevo tentato, con ogni mezzo legale, di entrare a far parte di quella casa magica, anche se falsa. della periferia romana.
Ci provai e ci riprovai per molte volte. Ne seguii in diretta ogni edizione col massimo rispetto e la massima attenzione. Anzi, andavo spesso alla ricerca di ogni altra edizione mondiale del Big Brother, anche se non capivo le altre lingue, perciò provavo a immaginare e ad inventarmi cosa dicessero i protagonisti. Nello schermo del mio cellulare, seguivo ventiquattro ore su ventiquattro l’evento, quando lo trasmettevano in Italia.
Quando non riuscii a superare i primi, difficilissimi provini, qualcuno mi propose altri sistemi per andare avanti. Io avrei fatto carte false per partecipare a quel magnifico gioco e perciò inviai domanda anche all’estero, ma non ci fu niente da fare. Dovetti accettare, perciò, quello che accettavano tutti: spesi moltissimo denaro per pagare una figura professionale famosissima di questi tempi, cioe’ per il mio Tutor.
Il Tutor, persona magica, è colui che ti può guidare tra le mille difficoltà che, inevitabilmente, si incontrano nel lungo viaggio tra il mondo della realtà e quello, incantato, della tivù: è più arduo di un viaggio interspaziale e costa moltissimo
(“sai” - ti dice lui - “bisogna oliare molti meccanismi, oppure “se l’acqua è poca la papera non galleggia”)
e perciò io pagai, ma lo feci con gioia e grande speranza (mi aiutarono, prestandomi soldi, i miei genitori).
Ed arrivò, dopo tanti sacrifici, il giorno più bello della mia vita.
Era una mattina di lunedì, quando, ormai meno me lo aspettavo: fu allorché mi avvisarono di essere stato, finalmente, accettato per partecipare a quel meraviglioso programma.
Si aprì, per me, un mondo che prima nemmeno sospettavo potesse esistere al di fuori della mia fantasia.
E come in una fiaba, in quel giorno incantato vennero a prelevarmi con un’ auto bianca e lunga sette metri, cosi che tutti i miei vicini di casa, vedendomi entrarci con regalità, stramazzarono di invidia; poi mi trasbordarono in un luogo gremito da decine e decine di ragazzini e bambine urlanti, che io nemmeno conoscevo, ma che avrei dovuto salutare come se fossero stati miei amici fraterni. “Ciao Max, ciao Lorena”, gridavo qua e là – così mi avevano detto di fare gli autori della trasmissione – e tutti mi salutavano, mi toccavano le mani e io piangevo. Per l’occasione mi avevano fornito una cipolla che io avevo inserito nel taschino della giacca. Flash e telecamere, tutte su di me che, francamente, non avevo combinato alcunché nella mia vita, né in bene né in male, ma il delirio della folla pareva quello che, di solito, si riserva ai salvatori della Patria, a chi inventa nuove medicine, a chi salva tante vite, a chi dona la sua vita per gli altri, a chi vince un premio Nobel per la fisica o per la letteratura mentre io, invece … continuavo a salutare sconosciuti : “Ehi Cinzia, ci sei anche tu? Grazie di essere venuta.”
Eh sì, la vita per me, in quei giorni magnifici, fu grandiosa. Essa mi riservò le emozioni più seducenti . Anche quando fingevano di punirmi e mi chiudevano in una squallida stanza chiamata “tugurio” (mi chiusero in quel posto ben sette volte) non appena le telecamere si erano allontanate, tornavano a prendermi e mi portavano in un salottino pieno di cibo e passatempi, così io continuavo a far scorrere la giornata davanti ai giochi elettronici.
Intanto, dagli studi televisivi, inviavano agli spettatori a casa immagini di repertorio, come se io fossi lì a soffrire in un carcere: in realtà ripetevano sempre la stessa scena registrata, in cui mi lamentavo, soffrivo, urlavo e piangevo: non avrei mai pensato, nella mia vita, di diventare così fortunato. Nei collegamenti con lo studio, raccontavo della mia vita e venivo intervistato dalle più importanti star televisive, giornalistiche e intellettuali . Mi chiedevo sempre, guardandomi allo specchio: “Ma sono proprio io questo ragazzo?”
Dopo alcune settimane il gioco, con mia somma tristezza, arrivò al suo traguardo. Io mi piazzai al secondo posto, vinse il mio collega transessuale, che ottenne il massimo dei voti dal pubblico che votava al telefono da casa. In realtà non era un transessuale, ma una bellissima e vera donna, cui avevano imposto questa bugia da raccontare agli italiani (l’ennesima). Le avevano sistemato, alla bell’e meglio, un ridicolo rigonfiamento di silicone al pube, che un giorno lei mi mostrò in segreto, facendomi scoprire, nello stesso momento, una vulva favolosa. Dopo di ciò pensai di essermi innamorato di lei, ma questa evenienza non era prevista dal copione. Non se ne fece nulla.
Il fattaccio, invece, successe a telecamere spente. L’edizione del Grande Fratello era finita, tutti se n’erano andati: i macchinisti, gli operatori, il cameraman, il falso pubblico, gli autori che si stringevano la mano tra di loro, auto congratulandosi in attesa di conoscere i dati di ascolto, nonché la bella, bionda e attempata presentatrice, maniaca sessuale e nevrotica. Io, in quel momento, ero rientrato nella cameretta per prendere le mie cose, quando mi aveva preso una dolorosissima colica alla pancia, improvvisamente.
Si dice che, quei dolori, siano la sindrome per l’ allontanamento, temuto e mai voluto, da un luogo di cui ti eri innamorato, della tua agognata terra promessa.
Inconsciamente, non avrei mai sopportato di partire da quella casa.
E, per una serie di fortuiti motivi, da quel luogo non mi allontanai più. Mi accorsi, di essere rimasto chiuso dentro, solo in tarda serata. Andai a dormire pensando che, l’indomani, si sarebbero accorti di me. Ma nessuno mi cercò, nemmeno i miei genitori, ed io non riuscii ad evadere da quel luogo ormai abbandonato da tutti, ma chiuso ermeticamente. Per fortuna le provviste abbondavano, specie in scatolette e pasta, mentre l’acqua continuava a sgorgare dai rubinetti. Si accorsero di me, con grande imbarazzo e divertimento, solo all’apertura dell’edizione successiva, molti mesi dopo.
Fu uno scoop televisivo. Gli autori desiderarono farmi partecipare anche a quella edizione, naturalmente io accettai con tutto il mio cuore, anche se un po’ ero incazzato per la dimenticanza. Fu lì che i miei genitori, quelli che non avevano neanche tentato di rintracciarmi ed erano separati da molti anni, decisero di rimettersi insieme, naturalmente per finta e allo scopo, con finalità economiche, di far piangere milioni e milioni di italiani.
Capii, però, di essere un ragazzo sfortunato, disagiato. Mi prese la depressione. Portai a termine la seconda edizione con sempre minor convinzione: orami non mi divertivo più.
Quando guardavo le coppie di sposi che tenevano i loro bambini per mano, mi veniva da pensare ai miei crudeli genitori: adesso, riflettendoci, capisco cosa provo per loro: odio, disprezzo, amarezza e rimpianti.
A volte immagino che mi sarebbe piaciuto ammazzarli tutti e due. Comincio a capire quelli che mettono le bombe.


Il capo lo guardò pensieroso. Pensò che la causa principale degli omicidi, uxoricidi, infanticidi e tutto il resto dei … cidi, fosse da imputare a quella terribile malattia, la depressione, che ormai contagia tutti e che è chiamata “il male misterioso”. Si scoprirà, in seguito, che la causa di tutti quegli inspiegabili assassinii contro i propri familiari e contro chi prima si era amato con il cuore, era dovuta proprio ad un farmaco che veniva prescritto dai medici a quelli che soffrivano di depressione. Anche se, all’inizio, pareva che quel rimedio servisse a curare, almeno i sintomi, della malattia, in realtà trasformava chi la prendeva, in un vero e proprio omicida. Lo scoprirono alcuni scienziati, mettendo in rapporto depressione e omicidi.


Pedro guardava il povero Kevin con tristezza, egli sarebbe potuto essere suo figlio:
Ma i tuoi genitori non hanno mai tentato di capirti seriamente?”
Il ragazzo rispose di no con un cenno della testa.
In realtà, i suoi genitori un po’ ci avevano provato a comprendere quel ragazzo tanto diverso da loro, dai loro tempi, dalla loro mentalità, ma era stato, come diceva il grande Pierpaolo Pasolini in una sua metafora:
Al pari di quell’entomologo, che studia il suo insetto e tenta di conoscerlo, con freddezza e quasi schifo, disgusto.”
Grande Pasolini, parole terribili.
Il giovane Kevin continuò.
Uscendo dalla casa, conobbi molte personalità e partecipai a spettacoli di chiacchiere (Talk show), di gossip (notizie rosa) e a vari quiz a premi, il cui ricavato era sempre a scopo benefico. Non vinsi mai nulla in quei telequiz, perché sapevo poco di cultura generale e non potei, quindi, fare beneficenza.
Mi intervistarono su molti giornali, anche testate molto famose, nonostante non avessi niente da affermare, da rivelare, né qualcosa che potesse interessare gli altri.
Fu in quei giorni che conobbi un attore americano più depresso di me. Da più di trentacinque anni, l’artista interpretava il ruolo del cattivo in una soap opera quotidiana, nonostante il suo carattere fosse stato allegro e buonissimo. Era bellissimo e attraente, le sue mascelle erano quadrate, che ricordavano un po’ Clark Kent, Superman. Aveva cominciato come per gioco, in quel tempo lontano, e non l’avevano più lasciato uscire a sviluppare e vivere respirando la sua esistenza reale.
Era rimasto intrappolato, come me, in un lavoro bello, sì, ma che non lo lasciava altre uscite. Passava il suo tempo negli studios di Los Angeles, dove tutti i santi giorni, compreso Natale, recitava con gli altri attori una parte che non era la sua. Erano trascorse diecimila cinquecento sei puntate.
Dopo molta prigionia, gli autori avevano deciso di mandarlo in Italia per una breve vacanza, un po’ per cercare di fargli passare il cattivo umore che lo avviliva da molti anni, ma anche per fargli recitare uno spot pubblicitario, proprio assieme a me. Si trattava, in quel caso, della pubblicità di una famosissima bibita, da abbinare, secondo i registi che offrivano i consigli per gli acquisti, all’abbonamento ad una nota compagnia telefonica.
Si svolgeva così: io avrei dovuto fingere, in quello spot, di telefonare, felice, affermando che ogni chiamata costa meno di un tronchetto di liquirizia, mentre il mio collega americano beveva di gusto la bibita frizzante e ghiacciata. Poi, tutti e due assieme, dovevamo abbracciarci, darci il cinque, menare un finto pugno come rudi cow boy e, poi, ridere fino a scompisciarci. Non so se le vendite fossero aumentate dopo la nostra interpretazione, ma io ci guadagnai qualcosa.
Seppi che, la sera stessa, dopo che ci eravamo salutati, prima di salire a bordo dell’aereo che lo avrebbe dovuto riportare negli States, stanco di quelle falsità, stanco di quella trappola, stanco di quella esistenza falsa, si era tolto la vita.
Avvenne, il suicidio, a Milano in una lussuosissima stanza d’albergo. Furono costretti a farlo morire anche nella soap opera, cioè a far morire il personaggio che il mio povero amico aveva interpretato, e quella morte fu, di sicuro, la più reale.
Da quel giorno mi rifiutai non solo di lavorarci, ma anche di guardarla, questa stramaledetta televisione. Noi facciamo solo divertire gli altri e gli altri si divertono e godono con le nostre disgrazie.
Anche la tua storia è molto triste, Kevin” osservò Roberto.
Già – continuò Ugo - chi lo direbbe che tutti i lustrini che si vedono in tivù, tutte le luci e i sorrisi sulla bocca degli attori, possano essere tanto falsi?”
In realtà Ugo lo sapeva benissimo e in lui c’era una vena di ipocrisia, ma lo disse lo stesso. Si appartò, poi, assieme ad Angelo per fare il punto della situazione.
Che dici, Angelo? Ti pare che quel tipo possa essere tanto pericoloso da riuscire ad ammazzare qualcuno?”
Peggio, Ugo, peggio. Per me questo è pericolosissimo e perciò dobbiamo seguirlo attentamente. Bisogna vagliare ogni ipotesi. Cerchiamo di valutare bene le sue parole e, soprattutto, il suo pessimo stato d’animo. In quello stato di crisi, un individuo potrebbe commettere qualsiasi sciocchezza.
Kevin, sia per quanto aveva raccontato, sia per il suo modo un po’ stravagante di muoversi, di guardare gli altri, come se fosse preda di qualche sostanza tossica, venne considerato dai due investigatori improvvisati, ma non troppo ingenui, come il maggior sospettato.
Angelo, bisogna capirlo, era dotato di un grande acume, oltre a conoscere bene il castello, la vita e la psicologia degli uomini, aveva un sesto senso che lo guidava direttamente a comprendere la realtà. Più che parlare con Ugo delle sue indagini, preferiva tenersele tutte in mente, ed elaborarle silenziosamente e ciò lo conduceva sempre alla soluzione. Anche se, dobbiamo dirlo, il caso che stava seguendo stavolta, si prospettava molto, ma molto controverso.
Per attenuare un po’ la fatica degli organi digerenti, Ugo servì, alla temperatura ideale, un buon sgroppino al limone in una caraffa e lo versò nei calici. Un liquore digestivo e dolcissimo che rese gli ospiti più allegri.
Tu, Gionni, che cosa ci racconti di bello?”
Il giovane, dalla poca e rossastra barba, finì di sorseggiare la gustosa bevanda, si soffiò il naso ed iniziò la sua narrazione, mentre i rumori misteriosi si facevano sempre più cupi e più vicini.



venerdì 20 settembre 2019

Il mio tempo






Non perderò mai tempo per chiedere alla vita cosa ho fatto
di buono per meritare te...
Il mio tempo è così poco e prezioso!
Il mio tempo va usato per far vivere  il tuo sorriso più bello.
Solo così posso ripagare la vita

A.T.

giovedì 19 settembre 2019

E' stato



È stato eccelso amarsi nel buio della quercia...
Sentire il tuo godimento, mentre lo stelo irrompeva tra le umide gocce dei petali del bocciolo.
È stato sublime baciarti la bocca e sentirti urlare a un dio l'intenso piacere...
È stato tenero asciugarti le lacrime  con un intenso abbraccio, gocce d'amore sincero, che non turbano il pensiero ma gli donano serenità.


Giuseppe Malfattore

mercoledì 18 settembre 2019

Sogno di farfalla

La chioma
illuminata dall'ultimo raggio di luna,
ammiro la tua
avvenente presenza
cercare il principe nel castello.

Sei bella,
seducente, oggi più che mai.

Voli con la fantasia
e delicata come una
farfalla notturna nel tempo che fu,
mentre il tuo cuore è rapito dalla meraviglia.

Sei una bambina
che ha vissuto, e
una donna che vuol
mostrarmi la fanciulla che
alberga nell'animo celato.

Sei un fiore che
chiede solo d'esser raccolto.

Arditamente bacio e
accarezzo i tuoi
petali, e come novella rosa ti perdi
nella mia ombra,
 parendo minuta e
indifesa, ma non  immagini
quanta gioia mi dai...

Ti ferisco con le mie stesse spine che
hanno lacerato le mie carni. Insorgi,
ora appari
innamorata e ferita,
ma t'amo, e non e non voglio che voli
via anche se,
sfidandoti ti mostro
il cielo, Sei un gran dono  non preteso,
sei l'amore, quello
tanto sognato.

                      Giuseppe Malfattore


martedì 17 settembre 2019

Il Grande Castello ( 7° Capitolo)


Il venditore di saggezza
il racconto di Pedro
o la nuova “belle epoque”








Nelle miti giornate di Primavera, quando il sole tiepidamente scalda il cuore, ma senza bruciare la pelle, il cielo solitamente si colora d’un azzurro intenso, molto terso e luminoso, e regalando al viandante una luce intensa, brillante, meravigliosa.
I turisti, in quel periodo, accorrono a milioni. Negli anni buoni del turismo e della pacchia, cioè fino a poco tempo fa, vendere chincaglierie ai visitatori di Firenze era l’affare che rendeva, ai suoi commercianti, i più bei utili e facili guadagni e le altre città del Mondo non reggevano al confronto.
Bastava solo aprirsi un proprio negozietto, e succedeva quel che avviene quando si getta il grano ai colombi in piazza: tutti si precipitavano, spingendosi e scalciando, per acquistare qualche stupidissimo, pacchiano e inutile manufatto, souvenir o cianfrusaglia.
Eh sì, erano assai ricchi i mercanti di Firenze di allora, a cominciare dal padrone dell’albergo in piazza della Signoria, fino all’ultimo piccolissimo venditore di ricordini a san Lorenzo. Ognuno, nel suo grande o nel suo piccolo, era soddisfatto di come andavano le cose. Pareva fin troppo facile e bello.
Poi giunse la crisi. Una recessione terribile, orrenda, che fece morire (commercialmente, ma anche realmente), numerosi miei amici, mentre molti altri importanti negozi luminosi, storici, dai grandi nomi, dovettero abbassare le saracinesche, per sempre.
Fu allora che io, Pedro Aragon, originario per metà della Spagna centrale e metà dell’Italia meridionale, due lauree, una in Economia e l’altra in Psicologia, dapprima ricco e famoso commerciante, consigliere del Sindaco, mediatore culturale, scrittore di romanzi storici, mi ritrovai, dopo mille vicissitudini, a gestire un piccolo negozietto di vendita, proprio nel bel centro della città. L’azienda precedente, che aveva dato lavoro a una ventina di persone, io la dovetti chiudere quando le spese iniziarono a superare gli incassi.
Per una impresa costretta a chiedere soldi alle banche soltanto per poter pagare le tasse, vuol dire che è arrivata la sua ora. O vuol dire che, forse, qualcosa non funziona nello Stato, specie quando, le aziende che falliscono, perché non riescono a onorare i balzelli loro imposti, cominciano a diventare, giorno dopo giorno, troppo numerose.
Quel nuovo lavoro che intrapresi, devo dire, fu oltremodo divertente.
In mezzo alla strada vendevo certi articoli ( libri antichi, velieri fatti a mano, quadri d’autore , collane esotiche), che mi permettevano di guadagnare bene, anche concludendo solo due o tre vendite al giorno ai clienti di passaggio. Il resto della giornata (perché lì stavo per molte e molte ore), lo passavo a chiacchierare con tutti quelli che venivano a trovarmi.
Conoscendo la mia disponibilità ad ascoltare gli altri e a dare buoni consigli (che, però, non ero in grado di darmi da solo), molti accorrevano sotto quella piccola tenda, piena di cose che seducevano, proponendomi i loro problemi, i loro drammi, i loro ragionamenti, le loro paure o i iloro incubi peggiori.
Tantissimi erano i personaggi importanti, cosa di cui Firenze non ha avuto mai carenza, che passavano di là. Il sindaco stesso, non mancava mai di salutarmi e, se ero impegnato con un cliente, aspettava pazientemente.
Il primario dell’ospedale civile, mio vecchio e buon amico dai tempi degli studi, si fermava a salutarmi e andavamo sempre a bere il caffè assieme. Non riuscii mai ad offrirlo io. Un giorno passò di lì addirittura il presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi con la sua scorta, mi salutò cordialmente e mi interrogò su un suo dubbio: cioè chiedendomi se era il caso di dimettersi dal governo e lasciare il posto ad un altro politico, magari ad un giovane rampante.
Io gli risposi che la vita è troppo bella e troppo corta per essere sprecata.
Con nostalgia, visto che ormai non c’è più, ricordo le visite frequenti dell mio caro e vecchio amico Aldo, in quel tempo assessore al Comune, esempio di grande genialità e talento artistico, importante esponente di un partito che allora era considerato, con disprezzo ed esagerazione, il partito dei ladri.
Quel mio amico, tormentato da ogni tipo di faccendieri che gli chiedevano in continuazione favori politici e che lui, dall’alto incarico che ricopriva, avrebbe potuto concedere, si inventò un geniale sistema per soddisfarli.
Egli era stato, in gioventù, un discreto pittore ed aveva collezionato qualche decina di dipinti su tela che devo dire, in verità, qualcosa di interessante contenevano, anche se non si può dire che potessero essere dei veri e propri capolavori.
Poi aveva smesso visto che il successo pittorico tardava a venire: in poche parole, non ne aveva piazzato neanche uno, perciò smise di dipingere e si diede alla politica.
Il sistema da lui congegnato era questo: a chi gli chiedeva favori, autorizzazioni speciali, appalti, egli offriva di “comperare” uno dei suoi quadri: avrebbe, così, ottenuto una bella somma di denaro tramite un atto legale e dimostrabile, cioè la cessione del quadro. Nessuno avrebbe mai osato pensare che, quella somma di denaro, potesse definirsi : “tangente.”
Le sue vendite, col tempo, aumentarono considerevolmente e Aldo ottenne, così, due piccioni con una fava: poté continuare, nel tempo, a intascare tangenti senza che nessuno mai avesse nemmeno l’ardire di sospettarlo, tanto meno la guardia di finanza cui, ad ogni controllo, poteva esibire fatture di vendita delle sue opere d’arte. Per secondo vide le quotazioni dei suoi quadri salire alle stelle, visto che, nel Mondo dell’arte, un’ opera è misurata anche dal valore di mercato e un artista è considerato non tanto per le sue qualità, ma per quanti dipinti, e a che prezzi, riesce a piazzare. E siccome vendeva più di ogni altro artista in Italia, per molto tempo fu considerato uno dei massimi maestri del nostro paese dalle varie accademie internazionali.
Sì, caro Aldo, sei stato proprio un esempio di genialità e di spirito artistico italiano che tutto il Mondo ci invidia.
Nelle lunghe giornate passate in quella bancarella, iniziai a pensare ad un libro, come questo, che poi scrissi. Ma dopo un po’, capii anch’io che la vita era troppo corta, e lasciai perdere tutto, per mettermi a fare altre cose.
Certo è che il Mondo, adesso, non è come prima della crisi: allora in giro per il globo ci si andava solo per vivere lussuosamente, li ricordo bene, come fosse solo ieri, quei tempi magnifici …


Eh, sì, come erano belli quegli anni! Correvano, se non ricordo male, gli anni ottanta e novanta dello scorso secolo anzi, scusate, dello scorso millennio. Pensate che, quando arrivavi in un bel posto di villeggiatura, in una grande capitale europea o mondiale, in una spiaggia esotica, eri sicuro di incontrare, in quella lussuosa vacanza, potevi scommetterci, un tuo collega fiorentino. A volte si trattava, magari, dell’immancabile impiegato o del conducente di un taxi, o il tizio che gestiva un micro banchetto che vendeva frutta e bibite al mercato, specie ai turisti, e possedeva, perciò, più grano di un Signor notaio.
Iniziai a viaggiare da solo ed ero ancora un bambino, avevo poco più di quattordici anni, cioè quando i miei mi regalarono un motorino di 50 cc. Era giallo canarino, con cromature scintillanti, produceva rumori extraterrestri, perché era un “due tempi” a scoppio e si chiamava moto Beta.
Certo, avevo già cominciato a girare con la bicicletta tanto tempo prima, ma con un motore sotto il sedere diventai inarrestabile. La cosa che mi divertiva di più (ed era la più conveniente) era di andare a “trovare” i parenti in giro per il Mondo, e ne avevo tanti. Presso di loro mangiavo, dormivo, mi divertivo, e i miei zii, i miei cugini, e gli altri che visitavo, mi offrivano vitto, alloggio e tante coccole gratis. Col tempo cambiai varie motociclette - tra cui la magnifica Honda CB750, tutta rossa - tanto che, ancora oggi, non ricordo quante ne possedetti. Ricordo una mitica Guzzi 850T e di quando attraversai l’Europa. Tra Austria, Svizzera, Germania, Svezia arrivai in Norvegia e in una fantastica strada tra i fiordi, proseguii fino al circolo polare artico.
Ma, quello, fu il mio viaggio di nozze. Con Stella. Io e la mia povera moglie, che Dio l’abbia in gloria, perché ora è un angelo, possiamo dire di aver visto, più di una volta, tutti gli splendori, le bellezze e le bruttezze, le stravaganze e le schifezze del Mondo. Le città d’arte, le montagne più inaccessibili, i mari più blu e le isole più remote, i popoli più strani e, certamente, le sette meraviglie del pianeta.


Mentre Pedro sta parlando, un rumore fortissimo, il tonfo di qualcosa che cade a terra, giunge da sopra il soffitto della stanza. Pedro si arresta, pensa un po’ su, stupito, poi continua, facendo finta di nulla, a narrare la sua curiosa vicenda personale.


A proposito di isole remote … ricordo quel viaggio che io e mia moglie, allora eravamo proprio ricchissimi, progettammo e, poi, realizzammo a Patonga, l’isola più lontana del Pacifico, quella in cui il Capodanno arriva un anno dopo, tanto sconosciuta che fu scoperta solo qualche tempo fa, mediante le nuove tecnologie moderne, l’invenzione e la messa a punto dei satelliti orbitali e un po’di fortuna. Ne parlò anche Piero Angela in un suo servizio televisivo e, per l’occasione, ci spedì il figlio a raccontarcela.
Il semplice viaggio, ormai, era diventato noioso e banale per noi “turisti evoluti”, viziati e, a volte, annoiati. C’era sempre il rischio di incontrare il tuo vicino di casa, era d’obbligo, perciò, inventarsi sempre qualcosa di nuovo, di originale che avrebbe dovuto stupire gli altri, amici o no che fossero. La preparammo molto, quella spedizione decidendo, insieme, che avremmo dovuto scoprire un luogo per ritrovare noi stessi ed il nostro rapporto matrimoniale, che stava andando, inesorabilmente, a rotoli.
Quella volta, l’aeroplano viaggiò due giorni senza fermarsi. Non ero mai stato tanto tempo in volo: ci portarono da mangiare quindici volte e gustammo almeno ventisei aperitivi, tra cui diversi martini. All’arrivo, pensai di dover scendere sulla Luna.
In quella trasvolata, avevamo attraversato direttamente l’emisfero boreale, il meridiano di Greenwich, l’equatore, il tropico del Capricorno e la linea di cambiamento data, senza che mai quell’enorme apparecchio volante avesse dimostrato intenzione di fermarsi. Atterrammo in Nuova Zelanda, praticamente dalla parte opposta dell’Italia se si scavasse un buco nel pianeta. Ma quello non era altro che il campo base. Un altro aereo molto più piccolo, nel pomeriggio, ci portò nell’isola di Rarotonga. Ci fermammo in quel luogo per la notte. Dormimmo in un piccolo alberghetto con l’aria condizionata e il frigo bar. Il giorno dopo, un altro mezzo piccolissimo, che volava solo per me, mia moglie ed il comandante, ci condusse all’ultima base civilizzata, l’isoletta di Tuku-Hiva, la cui pista di atterraggio era lunga, la misurammo, come il cortile di casa nostra.
Solo che il nostro cortile finiva in un fossato, mentre quella pista finiva in una scogliera: sotto c’era il baratro ed un mare infinito. Fu da lì che, dopo due giorni di attesa, mangiando ananas e sorseggiando qualche bevanda dolcissima, arrivò a prenderci un bastimento che faceva la spola con l’altra isola una volta alla settimana. Ci imbarcammo nella piccola motonave che trasportava animali vivi e banane, alla volta di Manioki.
Manioki è l’ultima isola del pianeta, da quel punto di terra emersa inizia il resto dell’Universo. Comincia un azzurro oceano illimitato.
E, proprio da questa isola, abitata da pochissimi e strani individui, partiva una imbarcazione con propulsione a remi: cioè la forza di due indigeni - le cui caratteristiche somatiche ingannerebbero ogni studioso di scienze etniche antropologiche - i quali, in sole dodici ore di voga, ci avrebbero portato alla nostra mèta finale, all’obbiettivo del nostro lunghissimo viaggio: la stupenda, minuscola e preziosa isola di Patonga.
I due autoctoni, che non parlavano la nostra lingua, né altre lingue conosciute dell’emisfero occidentale, ci fecero gentilmente sbarcare su quel minuscolo fazzoletto di sabbia bianca in mezzo all’Oceano, ci osservarono con uno strano sguardo, ci salutarono e, ridacchiando, ci lasciarono tutti soli (sarebbero tornati soltanto due giorni dopo a riprenderci), pronunciando soltanto due parole inquietanti: “Taliani, ciao amici taliani”. Lo dissero mentre chinavano il capo e continuavano a ridacchiare. Chissà, forse ci volevano prendere in giro o quello era il loro modo di essere cortesi? Con noi tenemmo solo un piccolo sacchetto in materiale biodegradabile (in quell’isola non era ammessa la plastica), con dentro il minimo di cibo e, in più, acqua per sopravvivere. Per due lunghi giorni, non avremmo dovuto più vedere le sembianze di un altro essere umano.
Ma l’imponderabile accade sempre quando meno te lo aspetti. Il giorno dopo, infatti, che già eravamo presi dal fascino di quel posto incredibile e le nostre meditazioni era giunte a livelli impensabili prima, accadde qualcosa di strano. Stavamo riposando le nostre membra, quasi addormentati dopo aver praticato un meraviglioso Tantra, io e mia moglie, che ci aveva regalato piaceri sessuali e gioie difficili da spiegare ai comuni mortali. Il godimento che può regalare, ad un essere umano, questa pratica erotico- religiosa, è qualcosa di sconvolgente e di appagante in tutti i sensi.
Per arrivare all’apice del benessere fisico e spirituale, però, occorrono molte cose: un grande affiatamento tra i due partner, cosa che io e mia moglie stavamo perdendo nella caotica società moderna. Fu proprio quel motivo che ci aveva spinti a rifugiarci in un’isola sperduta in mezzo all’oceano, perché da soli, io e lei, in mezzo all’infinito, avremmo potuto ristabilire il nostro equilibrio cosmico, nonché il nostro rapporto amoroso sessuale e ritrovare la pace con noi stessi. E ciò che provammo in quelle posizioni, in quei sospiri, non riuscirò mai a renderlo esplicito con le mie semplici e banali parole.
Ci tenevamo ancora abbracciati, molto stretti sotto la capanna di foglie di palma, unica costruzione dell’isola ed unico materiale ammesso in quell’ultimo lembo di terra incontaminata, quando un sinistro ed agghiacciante mugolio arrivò da dietro di noi. In quel mentre il sole si oscurò. Io e mia moglie ci guardammo. Lei pensò:
Può essere solo la rabbia del dio Nettuno, questo orribile latrato”.
Pensammo ad uno tsunami, considerando che le nostre vite dovessero finire là.
Si sbagliava, ci sbagliavamo entrambi: ruotammo la testa di cento ottanta gradi e vedemmo stagliarsi davanti a noi l’immensa siluette della nave “Costa Strafavolosa”, ultimissima nata tra le grandi motonavi da crociera, centoquattordicimila cinquecento tonnellate di stazza, lunga trecento e diciotto metri, alta più della torre campanaria, diciassette ponti e cinquemila i passeggeri.
D’un tratto tornammo alla realtà dei tempi moderni. L’enorme mostro marino (e pensare che l’abbiamo costruito noi italiani, nei nostri cantieri di Marghera e Monfalcone), attraccò a venti metri dalla riva, una spiaggia bianca che non ne misurava molti di più, vomitò circa tremila persone urlanti e sbraitanti che si tuffarono nelle limpide acque sottostanti. I duemila rimasti a bordo salutavano rumorosamente quelli che erano in mare e, intanto, mangiavano snack e bevevano coca, lanciando di sotto le cartine e le lattine che li contenevano.
Lo spasso pacchiano durò poche ore poi, sempre latrando e mugolando , l’enorme nave ripartì, lasciando dietro di sé un silenzio irreale ed un pantano galleggiante, formato dai resti di cibo, orina, melma, escrementi, plastica, nylon, contenitori di succhi di frutta, carte, preservativi usati, marciume.
Ne fummo stravolti e, più di noi, ne fu stravolto l’ecosistema.


Quando tornarono gli indigeni in canoa a riprenderci, dopo aver visto il disastro, urlarono sbigottiti ed arrabbiati, rigorosamente nella loro lingua:
Taliani!!!! Ma che cassio avete combinato?”
Questi erano i bei tempi.
Poi divenni stanco di lavorare e viaggiare, abbandonato da mia moglie e dalla sua anima, depresso, la crisi economica che strangolava, cominciai ad invecchiare. Mi prese una orribile depressione. Non riuscivo ad andare con altre donne e, in un momento in cui incontrai una ragazza che ci stava, non feci nulla. Avevo provato a prendere una medicina che risolve tutti i guai, ma con me aveva un ben strano effetto: siccome il danno era solo psicosomatico, mi produceva tutti gli effetti collaterali che c’erano scritti sul foglietto illustrativo, il cosiddetto “bugiardino”, cioè mal di testa, secchezza delle labbra, dolori ai reni, la vista che si annebbiava e altre trenta sofferenze inenarrabili, unico effetto che non sortiva era quello di far alzare il mio …
A Pedro non servì terminare la frase perché tutti avevano compreso.


E poi cari amici, è solo questione di testa. Non servono le medicine a curare la psiche.
Allora, dopo molto tormento, decisi di dedicarmi alla ricerca storica ed alla lettura. Abbandonai tutto, anche il banco che mi dava un reddito e mi ritirai.
In una grande biblioteca nel centro storico della mia città, iniziarono i miei studi e la mia apnea letteraria. Produssi molti scritti e pubblicai un volume. Ma non smisi di studiare.
Fu ad un certo momento, che venni a conoscenza della leggenda che riguardava questo castello. Un gruppo di persone, nel pomeriggio di qualche giorno fa, mi presentò alcuni strani ed enigmatici scritti, dicendo che avevano letto il mio libro, e perciò li volevano affidare alla mia conoscenza. La prima cosa che notai, è che, quei signori, portavano tutti gli occhiali da sole, cosa ch’io giudicai eccentrica, specie se si sta all’interno di una vecchia e oscura biblioteca.
Di che leggenda si tratta?” Gli chiese Angelo.
Quella del fantasma.” Rispose
Ma qui non esiste alcun fantasma.”
Sì, mi sono informato fin troppo bene, ho studiato quegli antichi documenti che mi sono stati forniti, e che sono stati rinvenuti in maniera misteriosa e vi racconterò tutto di lui (anzi, di lei, perché del fantasma di una donna si tratta).”
Il racconto proseguì, anche se Angelo, a quel punto, dava segni visibili ed evidenti di nervosismo.
Correva l’anno 1797, le truppe vittoriose del Generale francese Napoleone Bonaparte, deciso ad esportare la rivoluzione francese nel mondo come noi, adesso, esportiamo la Democrazia, correvano in lungo e in largo la penisola italica, conquistando, occupando, depredando e, nel contempo, arruolando nelle loro fila tanti giovani ragazzi che vivevano in questi posti. La gloriosa e millenaria Repubblica Serenissima di Venezia, era caduta proprio in quei giorni e proprio grazie al Bonaparte, suo acerrimo nemico, che considerava Venezia e le sue istituzioni un retaggio del passato.
Fu in questo contesto, che si svolse la tristissima vicenda della contessina Ignazia, figlia di Palmira e Aristofane, la quale, essendo imparentata coi conti proprietari del castello, lo stava abitando assieme alla sua famiglia.


I rumori provenienti da sopra, che tanto hanno disturbato per tutto il racconto, all’inizio di questa parte della narrazione, sembrarono accentuarsi. La sensazione era che qualcuno camminasse nervosamente in soffitta, e sarebbe stata una camminata realmente strana e convulsa. Pedro, dimostrandosi un ottimo oratore, continuò a narrare senza battere ciglio, per non spaventare i presenti e non perdere il filo del discorso.


Tali conti, erano un po’ amici della defunta Repubblica del leone alato e un pochino, però, le erano rivali. I dogi veneziani erano soliti imperare su tutto e a lasciare poco spazio e poco potere ai nobili delle zone circostanti, tutto sommato, però, avevano convissuto bene. Ma, con l’arrivo dei francesi, la vita degli aristocratici divenne un vero e proprio incubo. Quando giunse al castello una delegazione di soldati napoleonici a prenderne possesso, Il conte non poté contrapporre alcuna resistenza, come d’altronde nessuna resistenza contrappose Venezia al Bonaparte, troppo forte, di una potenza inaudita. L’odio verso i francesi era grande, ma la giovane Ignazia, che poco si intendeva di guerre e di politica, si innamorò e perse la testa per un giovane ufficiale napoleonico che, subito, condivise con lei il bellissimo, meraviglioso sentimento.
Era difficile nascondere quell’amore con un soldato del reggimento che occupava, militarmente, il castello. Questa situazione durò poco tempo, ma la contessina fece in tempo a rimanere incinta. La relazione non sconfinferava molto né ai familiari di Ignazia, né ai comandanti francesi. Il giovanotto fu presto rispedito nella sua casa oltralpe, a Marsiglia e Ignazia, che aveva manifestato e minacciato più volte la volontà di scappare, venne rinchiusa nella rocca, proprio quella lì in alto che possiamo ammirare dal finestrone (il ragazzo la indicò col dito agli ospiti) . Siccome nessuno sapeva della sua dolce (e tragica) attesa, non le venne dato alcun aiuto e, quando fu il momento di partorire lo fece da sola. Ma il parto andò male: nel momento in cui intervenne la servente (che le stava portando qualcosa da mangiare e la trovò agonizzante), era già troppo tardi. La cameriera vide che, mentre il piccolino non pareva respirare e non dava segni di vita, la donna era, anche lei, quasi giunta alla fine delle sue sofferenze. Questa le morì tra le braccia, maledicendo, con rabbia, tutta la sua famiglia e tutte le coppie di sposi che avrebbero potuto essere felici, assieme, in quel castello, affinché non trovassero mai pace né felicità.


A questo punto del racconto venne interrotto bruscamente da Angelo, il quale dimostrava di non farcela più ad ascoltarlo, e che smentì questa leggenda definendola assurda e priva di ogni fondamento.


Non ho mai sentito una storia del genere. Che razza di documenti hai consultato?” Disse Angelo, aggiungendo altri improperi contro Pedro, che non batté ciglio e continuò la sua narrazione dei fatti, tranquillamente.
Di più non sappiamo, però la vita delle famiglie, da allora, divenne più difficile a san Salvatore e molte unioni di coppie che abitavano questo castello, rischiarono di sfaldarsi. La presenza di un fantasma, probabilmente lo spirito della disperata Ignazia, si è più volte rivelata nelle stanze di questo maniero , subito dopo tali apparizioni seguivano lutti, divorzi o il manifestarsi di una follia misteriosa, che andava a condannare almeno uno dei due coniugi, dapprima felici. Si tratta di un male sconosciuto che molti chiamano depressione.
Angelo non sopportò più questo modo di raccontare le bugie: “ Voglio sentir parlare delle vostre vite, delle vostre storie, non me ne frega niente delle fantomatiche e incredibili leggende.” Poi si diresse, molto triste e adirato, verso la cucina.
Dopo un po’ ne uscì Ugo e offrì ai presenti del salame di casata, soppressa con o senza aglio, a preferenza degli ospiti, carciofini in olio di oliva e del pane tostato. Guardò verso la dispensa per sincerarsi se ci fosse rimasto ancora del vino bianco o se fosse d’uopo andare a rifornirsene in cantina. Vi trovo’ anche della carne di cinghiale speziata.
Angelo, mogio, tornò tra il gruppo riunito, e comodamente sdraiato sui bei divani di pelle, e sentenziò con voce possente:
Kevin, adesso tocca a te, cerca di parlare solo della tua vita e non raccontarci fregnacce.”
Kevin, timidamente, iniziò il suo resoconto.