venerdì 31 luglio 2020

Ci sono

Ci sono persone che ti piacciono perché le stimi,
altre perché sono intelligenti,
altre perché sono belle.
Ci sono quelle di cui apprezzi l'ironia,
la spontaneità,
il coraggio.
Ci sono quelle che ti stupiscono con un gesto,
quelle su cui puoi contare sempre,
quelle che ti insegnano qualcosa.
Ci sono persone che ti piacciono per come si muovono,
per il tono della voce,
perché sanno raccontare le cose.
Ci sono quelle che ti conquistano con la determinazione,
con la bontà,
con il talento.
Ci sono esseri umani che ti illuminano,
che hanno il tuo stesso sangue.
Ci sono gli amici che scegli,
quelli che ti deludono e perdoni,
quelli grazie ai quali cambi,
quelli per cui non cambi mai.
Ci sono persone che senti.
E non necessariamente sono queste cose,
forse ne sono alcune, a volte nessuna.
Magari non sono perfette,
non sono  infallibili e sbagliano tutto.
Eppure sono le persone che senti.
Quelle che sembra che qualcuno vi abbia sintonizzato
sulla stessa frequenza radio
in un tempo in cui la radio non esisteva ancora.

S. Bottaro

lunedì 27 luglio 2020

Racconto







Nostalgia del futuro
di Pier Angelo Piccolo




Attraverso le spesse lenti del binocolo, appoggiato con la pancia a terra dall’alto del colle, Fulvio scrutava i grandi movimenti a fondo valle.
Ormai – disse, rivolgendosi con calma a Roberto, in piedi e lí vicino – gli ultimi tedeschi se ne sono andati, probabilmente non li vedremo piú, mai più. Che tornino nelle loro tane, noi possiamo ritornare al casolare e presto torneremo nelle nostre case.”
Tedeschi in fuga, le bestie terribili, orde selvagge, scappavano come maiali impazziti mentre, da lontano, stavano sopraggiungendo gli eserciti liberatori. Finalmente, la guerra era al termine del suo percorso di morte, sofferenze e sangue, quello innocente e quello colpevole.
Scendendo lungo il tratturo sulla collina, Il passo dei due giovani, nel raggiungere la loro brigata, era rilassato e i loro occhi erano pieni di futuro e lo vedevano e prevedevano tutto, radioso e felice, non come avvenne alla loro giovinezza.
Ma, d’improvviso, udirono un terribile fischio, uno sparo dietro di loro.
Un proiettile sfiorò la spalla di Roberto. Non fece in tempo ad imbracciare il fucile, che un soldato tedesco dietro di lui, comparve all’improvviso e li minacciò di morte.
Fermi, immobili” intimò sbucando dal bosco, egli parlava un italiano quasi corretto, dopo di lui arrivò un altro soldatino nazista, con la pistola in pugno.
I due ragazzi furono presi in modo orrendo e portati verso un autocarro nascosto, perfettamente, nella scura boscaglia.
Entrate qui dentro, banditi italiani e pregate per l’anima vostra. Siete arrivati. La vostra vita finisce adesso, ma prima dovrete soffrire.”
Fulvio e Roberto videro infrangersi, angosciosamente, i loro sogni, la loro vita, l’avvenire del mondo.
Un lungo brivido di morte percorse i loro giovani volti, quando, una volta entrati nel cassone del veicolo, si accorsero che questo era pieno di bare, orribili casse da morto in legno scuro. Due di queste erano scoperchiate e aperte per loro.
Entrate schifosi e vigliacchi traditori italiani, queste sono le vostre bare. Qui passerete l’eternità, dopo che vi avremo torturati e uccisi.”
Fulvio, con le mani legate dietro la schiena, fu invitato a sedersi dentro la sua triste cassa mortuaria, ma Roberto si ribellò e iniziò a divincolarsi, mentre Karl, il tedesco che parlottava italiano, stringeva il legame e lo bastonava col calcio del fucile. Otto, l’altro nazista che sembrava piu’ cattivo, se mai si può esser piú cattivi di un altro nazista, gli aprí la fronte col calcio della sua pistola e lo distese nella bara a lui destinata. Con orrore del ragazzo e davanti allo sguardo terrorizzato di Fulvio, venne chiusa la bara e sigillata immediatamente, mentre le urla del malcapitato avrebbero raggelato il sangue a chiunque.
Ridendo e cantando le loro orribili litanie, i soldatini misero in moto il camion e partirono verso nord, verso le loro fredde e barbare terre.
I due tedeschi guidavano veloce e bevevano birra. Le strade erano sgombre e pensavano o speravano che, in meno di mezza giornata, avrebbero raggiunto la coda del loro esercito in disfatta. Una armata di folli che, dopo aver messo a soqquadro la penisola italica e il mondo intero, tornavano sconfitti, cornuti e bastonati al loro paese distrutto dall’aviazione alleata.
Karl, alla guida dell’automezzo, freno’ di colpo quando vide un albero a terra che invadeva mezza carreggiata, Otto si verso’ la birra sui calzoni. Cerco’, a bassa velocità, di evitare il tronco, sterzando a sinistra.
Fu a quel punto che un proiettile infranse il vetro del cruscotto. I due si toccarono per vedere se fossero stati feriti. Si trovarono circondati da tre banditi col fazzoletto azzurro sulla bocca, un uomo altissimo e con il mitra puntato sui loro denti, gli intimo’ di uscire.
I tedeschi vennero fuori dall’abitacolo piú che terrorizzati.
Cosa trasportate dietro, nel cassonetto. Ci sono altri soldati?” Chiese l’uomo col fazzoletto azzurro al collo.
Dal terrore non seppero rispondere. Otto sentí, dentro i suoi pantaloni già sporchi di birra, anche i suoi escrementi liquidi.
Le urla di Fulvio richiamarono il capo brigata, mentre gli altri due legavano i tedeschi come salami.
Antonio - urlò Fulvio - Presto, liberate Roberto che sta per soffocare dentro la cassa.”
Antonio era il capo della brigata “Doman”, che in dialetto veneto furlano significa “Domani”, ma anche il cognome di Eugenio Doman, il lor ex comandante, torturato a morte dai tedeschi e dai repubblichini l’anno prima.
Dopo aver sistemato i soldati nazisti, gli altri due partigiani, Salvatore e Menego, andarono a liberare i loro due commilitoni di brigata. Fulvio fu liberato all’istante con un affilato coltello che recise le corde alle mani, ma l’apertura della cassa fu un tantino piu’ complicata.
I due ragazzi non poterono trattenersi dal ridere quando, una volta aperta la cassa videro il volto stravolto del loro amico, che già aveva i capelli bianchi e sangue a fiotti.
Roberto uscí dal suo sepolcro e andò a prendere a calci sugli stinchi i due tedeschi. Egli stesso prese Otto, quello che se l’era fatta addosso dalla paura e lo mise dentro la bara e, senza l’aiuto di nessuno, lo chiuse dentro, mentre quello urlava terrorizzato e vomitava.
Si impossessarono del camion e delle casse da morto.
Adesso si tornava al campo dei partigiani. Dopo cinquecento metri, però, fu lo stesso Roberto a fermare il camion e a liberare il tedesco chiuso nella cassa.
Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.” Ripeté a se stesso, citando le parole di un Signore nato 1945 anni prima. Ma soprattutto non volle che altri esseri umani provassero gli orrori e la paura che egli ebbe modo di provare prima.
Quando il camion giunse al campo base, tra le montagne friulane, gli altri uomini della brigata vennero ad aiutarli a sistemare i prigionieri e a chiedere cosa fosse successo.
Antonio aprí una delle bare che stavano nell’autocarro, destinate in Germania, per vedere cosa contenessero. Impallidí quando si accorse che quella bara, come tutte le altre, era piena di armi da fuoco, mitra, fucili, granate, bombe modernissime, proiettili.
Antonio si mise subito, allora, in contatto con i capi azionisti, ma seppe che avrebbero dovuto aspettare la decisione dei delegati riuniti in curia, dove stavano incontrando il Patriarca della citta’. La decisione che presero non piacque ad Antonio. Gli venne detto di aspettare l’arrivo di Giuseppe Montanari con la sua brigata di confine. Sarebbero stati loro a prendere in consegna le armi trovate nella cassa da morto.
Ad Antonio non piaceva Giuseppe. Sapeva che la brigata comunista che comandava, aveva rapporti con i partigiani che stavano al di là dell’ Italia.
Conosceva i loro metodi e le nefandezze che combinavano e non solo contro i militari dell’esercito nemico. Soprattutto, era venuto a sapere che Giuseppe prendeva ordini non dalla Resistenza italiana, per quanto anche socialcomunista, ma direttamente dalla dirigenza sovietica. Forse da Stalin in persona.
Ma a lui che importava? Quelle armi non avrebbero potuto tenerle loro, una manciata di partigiani disorganizzati e poco assistiti dal comando. Avrebbe aspettato che fossero venuti a prenderle e a portarsi via quelle casse da morto.
Intanto, c’era da pensare a cosa fare dei due prigionieri tedeschi e organizzare il prossimo rifornimento di viveri.
Di solito era Salvatore, il piú giovane, a fare la staffetta con il paese e procurarsi le vivande che molte famiglie e contadini mettevano a disposizioni di quei partigiani, tanto diversi da altri gruppi di Resistenza, avezzi a prendersi da soli il cibo dalle povere famiglie contadine e senza ringraziare.
Salvatore veniva dal Sud della penisola. Si era trovato in terra di Friuli quando l’esercito si era sbandato per colpa del Re d’Italia che, montato in macchina, era scappato al meridione, abbandonando il popolo italiani ai casi suoi e alle angherie dell’esercito dei nazisti.
Non sapeva come stessero i suoi, il giovane, ma era informato che i tedeschi se ne erano andati presto dalla sua cittá.
Nel campo base, tra le montagne franose di Osoppo e lungo il fiume Tagliamento, La brigata Doman operava in maniera intelligente e mai crudele, la popolazione aveva molta fiducia di loro e del capo, Antonio, un vero intellettuale e politico raffinato, orgoglio della intelligenza italiana. Uno che avrebbe fatto la differenza nella classe politica dell’Italia risorta, se mai fosse risorta.
Roberto, non ancora ripresosi dalla mezza sepoltura, passava le giornate a parlare coi due giovanissimi tedeschi, vedendo come, sorprendentemente, ascoltavano le sue belle parole di cristiano liberale e illuminato, i suoi insegnamenti e si rendevan conto, ogni istante di piu’, di quanto orribile e insulsa fosse stata l’educazione fino ad allora impartitagli dai gerarchi nazisti.
Capirono che basta poco per iniettare odio, ma ci vogliono menti e anime come quelle di Roberto o di Antonio per insegnare l’Amore e la Libertá.
Menego e Fulvio, forti boscaioli, erano quelli che raccoglievano altri partigiani tra le persone disperse. Furono loro a reclutare Paolo e Marco, due ragazzi ebrei scampati alla strage della loro famiglia e un loro zio, che i due chiamavano cosí, ma che, dalla grande Cultura che professava, Antonio sospettava fosse stato un importante rabbino.
Qualche giorno dopo, Menego era tornato dal bosco a fare legna, quando incontrò i due giovani ragazzi spaventati e l’uomo. Gli chiesero aiuto e gli dissero di essere scappati da un treno nazista fermatosi alla stazione di un paesino lí vicino per far acqua, che si stava dirigendo, carico di tutti i loro amici e i loro parenti di religione ebraica, verso il confine austriaco. Con loro stava un giovane russo, che ancora nessuno aveva capito come fosse arrivato lí.
Menego li condusse con sé al campo dei partigiani, sicuro che spie, almeno, non avrebbero potuto essere.
Bella e strana la brigata “Doman”, che Antonio definiva “la Nostalgia del futuro”, fatta di guerrieri che tutto avrebbero voluto, fuorché la guerra, ma tanto i migliori combattenti sono quelli che anelano alla pace.
La sera passava tranquilla al casolare, bastava un uomo di guardia che, tanto ormai, pochi rischi si sarebbero corsi.
Eravamo già ad Aprile e il 1945, anno stupendo, avrebbe sicuramente portato la Pace.
Seduti fuori, anche se non faceva tanto caldo, nell’aria piena di speranza, gli uomini si raccontavano le loro storie e si discuteva degli anni che sarebbero arrivati.
Juri, il ragazzo russo, raccontò la sua storia a tutti. Egli non aveva nessuno che lo aspettasse in Russia e i suoi erano stati uccisi da Stalin durante uno dei tanti repulisti staliniani.
Aveva deciso di scappare dall’Armata rossa, dove prestava servizio insieme ai partigiani titini, mentre la sua armata era andata a dar man forte al confine italiano. Poi appena riusci’, scappo’ in italia attraverso i monti e si era venuto a trovare in quelle lande.
Li’ aveva incontrato gli altri due e si erano messi insieme a cercare un rifugio.
I due ragazzi ebrei con lui, erano Giacomo e un tipo molto strano, Andrea, che parlava pochissimo e dimostrava una timidezza esasperata lo zio. I tre disperati sembravano terrorizzati da tutti e raccontarono come furono caricati, in quel treno, dai soldati. Dissero, tutti loro, di non ricordare nemmeno da quanto tempo vagassero per i monti.
Si Parlava di Cultura e di Arte e Antonio teneva vere e proprie lezioni universitarie ai suoi uomini. Anche i due tedeschi ne erano catturati.
Quando parlò il grande rabbino, con i racconti che fece e che lasciarono tutti a bocca aperta, si capí che, in quel casolare, c’era un grande concentato di conoscenza e saggezza.
La notte si andò a dormire tranquilli. Solo Salvatore, affascinato da Andrea, volle stare vicino a parlare. Gli sembrava di averlo sempre visto. Subiva il suo fascino e non ne capiva il perché.
Fuori frinivano le cicale e le stelle brillavano particolartmente. Dopo due ore che i due parlavano, Giacomoche sembrava dormisse, si rivolse ad Andrea, sussurrando:
Diglielo pure.” E si voltò a dormire.
Cosa avrebbe dovuto dirgli?
Come risposta, Andrea diede un bacio in bocca a Salvatore. A lui piacque moltissimo. Poi sentí in Andrea un certo rigonfiamento al petto.
Sono una ragazza - gli disse senza togliere la lingua dalla bocca – baciami, mia mamma mi ha vestita da uomo per non farmi violentare dai tedeschi.”
Cosí, mentre fuori il mondo si faceva la seconda guerra mondiale e i partigiani nel casolare dormivano russando sottovoce, i due ragazzi facevano l’amore, la cosa piú bella del mondo.
Al mattino presto, Fulvio, che era di guardia, svegliò i suoi amici.
Rombavano in lontananza i mezzi dei partigiani rossi, che cantavano “L’internazionale”, venuti a prendersi le armi.
Tutti vennero fuori a guardare.
Uscí saltando dal Camion il capo, Giuseppe Montanari, alto e forte, due spalle enormi, sembrava il Maresciallo Tito. Antonio lo salutò e lo accompagnò al camion con le armi nelle bare, sperando che se ne sarebbe andato al piú presto. I compagni erano tutti alti, forti, armatissimi e guardarono con scherno la strana brigata “Doman” di cui tutti avevano sentito parlare.
Ciao Antonio – gli disse guardandolo con sfida – allora? So che i libri che scrivi piacciono a tutti. Tra poco la guerra sará finita e ne venderai tanti, sarai ricco.”
Lo sarei giá – ribatté Antonio – se non avessero cominciato a bruciarmeli”
Eh i nazisti” Disse Giuseppe.
Anche i comunisti” Rispose, togliendogli il sorriso dalla bocca.
In realtà, gli scritti di Antonio denigravano ogni forma di totalitarismo. Non piacevano né ai fascisti, né a molti comunisti.
Era riuscito a farli pubblicare e a passare ogni confine. In America erano arrivati, i suoi scritti e i suoi saggi fantastici, terra della Libertà. Anche se molte cose, Il grande Antonio contestava, pure di quella meravigliosa e ricca società. Ma gli americani lo conoscevano benissimo e lo avrebbero voluto con loro e da molte parti si parlava di un premio Nobel per lui.
Anche nel futuro governo italiano lo avrebbero voluto tutti, forse anche molti comunisti. Ma non Giuseppe Montanari.
Signor Comandante guardi. Compagno Giuseppe abbiamo trovato costoro.” chiamò ad alta voce uno degli uomini.
Che c’é?”
Questi della “Doman” hanno con loro due tedeschi catturati e non ci dicono niente. Oltretutto a piede libero.”
Roberto disse che li stava “rieducando”.
Giuseppe mise mano alla pistola e poi, stranamente, si fermò.
Lascia che se li tengano loro.”
Mandò due uomini a impossessarsi del camion con le bare con le armi; tutti gli altri grossi automezzi, in un densissimo fumo di marmitte, si prepararono ad uscire dal campo partigiano “Doman”.
Ma da una camionetta, quella che stava in ultima fila, uscí il telegrafista. Tutto tacque, fu un silenzio inquietante.
Si diresse all’inizio della fila di camion e parlò con Giuseppe.
Giuseppe fece subito dei cenni nervosi al suo vice.
Si notò che gli altri partigiani rossi, strafottenti, erano diventati pallidi.
Qualcuno chiese: “Sicuro?” che subito venne zittito dagli altri.
Giuseppe si avvicinò ad Antonio e gli disse con molta determinazione:
Queste armi dobbiamo portarle ad una destinazione segreta.”
E a noi che ci frega?” Rispose Antonio.
Voi non dovete saper dove siamo diretti, questo é l”ordine. Dovete girarvi tutti e non vedere nemmeno da che parte andiamo.”
Antonio rise e ordinò a tutti gli uomini e alla donna di cui ignorava il sesso, di girarsi e di non guardare assolutamente dove fossero diretti i camion.
In cuor suo, non sperava altro che se ne andassero e di non vederli mai piú.
Buona giornata a tutti.” Urlò il sosia del Maresciallo Tito. Ma c’era silenzio e i compagni non cantavano l’inno Internazionale o bandiera rossa. I partigiani azzurri rimasti a terra non sentirono che il rombo dei motori che se ne stavano andando. Poi si udí, per pochi secondi, la sventagliata di un mitra.
Ma solo per pochi secondi, poi ci fu il buio e il sonno eterno per tutti, cristiani ed ebrei, uomini e ragazza, tedeschi, italiani, russi. Buio e nessun paradiso di nessun tipo. Restò solo l’inferno della terra. Fulvio ancora si muoveva, anche Otto. Furono graziati con due soli colpi di pistola.






Al comandante Dorchester, maggiore della Quarta Armata dell’U.S.A. Army, nativo del New Jersey, apparvero strani quei corpi a terra senza vita, che si trovò davanti, quando stava risalendo, coi suoi uomini, l’Italia e, arrivato al Friuli, estremo Nord, avrebbe pensato di aver finito di vedere orrori.
Secondo il Tenente Stanley, un bel ragazzo del Montana, c’era qualcosa che non convinceva in quell’eccidio. Era un medico e ispezionò quei corpi immediatamente. Con lui il caporale John Harvey, quasi medico e Salvatore Amoroso, un dentista italo americano, venuto volontariamente a liberare il suo paese.
Dissero al Maggiore che erano morti tutti nello stesso momento e uccisi da colpi partiti dalla strada, molti di loro erano ebrei,affermò, dopo aver controllato il prepuzio circonciso. Poi una donna. Un russo, con documenti dell’Armata Rossa e due tedeschi che non erano prigionieri. Qualcuno degli ebrei aveva tatuato dei numeri sull’avambraccio.
Ma la cosa che colpí molti ragazzi americani scesi a guardare la scena, era l’aver riconosciuto tra i massacrati, il grande Antonio Migliacci, uno scrittore famoso in America. Capirono che era il capo partigiano, per cui stabilirono che quella era proprio una vera brigata della Resistenza e, dai fazzoletti azzurri, si capiva che erano democratici e azionisti.
Il Maggiore Paul Dorchester, arguí che non i partigiani azzurri non potevano essere stati vittime dei nazisti. Per le armi che li avevano uccisi e perché non si notarono segni di resistenza, quando intorno era pieno di fucili.
Diede ordine di raccogliere le salme e di caricarle in camion, le avrebbero deposte al primo Comune di paese che avessero incontrato.
Dopo aver pregato per tutti loro.
La guerra era quasi finita. Gli uomini combattenti avrebbero dovuti tornare in America.
La loro morte resterá un mistero, un mistero per sempre.
L’Italia e il Mondo Civile avrebbe fatto a meno di un uomo importante e grande, Israele che nasceva, avrebbe fatto a meno di un meraviglioso rabbino. La fragile democrazia italiana, non avrebbe avuto quella decina di uomini e donne che, per difenderla, non si sarebbero fermati davanti a nulla.











domenica 19 luglio 2020

L'INTERO UNIVERSO






Quando si lotta contro il presente,
si lotta contro l'intero universo.








Deepak Chopra

Del vento mi piace

... che agita e mescola il sole e la luna
e gli odori interni di tutti i fiori
solleva le gonne,
scompiglia gli alberi,
spettina le certezze,
asciuga le ferite.

Fabrizio Caramagna

sabato 18 luglio 2020

Qualcuno

Qualcuno ha messo del filo spinato tra i fiori...
Qualcuno ha messo confini alla libertà di sbocciare...
Aiutami cielo
ad essere brezza,
quella dolce e fresca,
che mentre accarezza
innalza,
infiniti semi d'amore.


Brunetta Sacchet

Il sapore dei pensieri

I pensieri hanno il sapore di chi li crea...
Anna By.

Vibrazioni di te


Sento vibrare la tua voce in tutti i rumori del mondo

giovedì 16 luglio 2020

Che io sia

Che io sia la tua estate,
quando l'estate sarà lontana.
E la tua musica,
quando l'allodola e il pettirosso taceranno.



E. Dickinson

venerdì 10 luglio 2020

Dieci volte







Dieci volte al giorno devi superare te stesso:
ciò procura una buona stanchezza
ed è papavero per l'anima.







Friedrich Nietzsche

domenica 5 luglio 2020

" Venezia in catene" Capitolo XVIII




Che fare?


Seduto sopra gli scogli bianchi che fronteggiano il mare e che spesso ne hanno sminuito la furia, Pompeo se ne stava a guardare, respirando piano, alcuni pescatori felici di esser potuti tornare al loro lavoro, intenti a disincagliare le loro reti e a bestemmiare - anche se avevano appena cantato messa - e a canzonarsi allegramente tra di loro.
Era il venticinque di aprile del milleottocento e quattordici, la Primavera era entrata anche nel suo cuore.
Pensava e ripensava ai dèmoni di don Antonio ed alla sua bella filosofia...
Pensò che la vita di quel sant’ uomo era, probabilmente, semplice e piacevole, senza i problemi che turbavano chi vive la vita quotidiana.
Ma forse anche i santi, si disse, avranno passato le loro belle disgrazie.
Eppure quel volto così sereno e pacifico, come lo può essere solo il volto di chi ha già visto Dio e delle cose di questo Mondo poco gli importa, lo turbava sempre di più.
Nel contempo ammirava il mare azzurro e un po' increspato - per via del vento di Bora che era tornato e che, però, rendeva tutto trasparente e vicino - e rimuginava i suoi pensieri e rinnovava le sue speranze.
Di là dal mare, gli aveva detto un giorno Graziosi, c'è un mondo vasto e da scoprire. Molti poveri, in Europa, avevano già fatto il grande passo anche se di loro, poi, non s'era saputo più nulla.
Le Americhe erano là ad aspettare, coi loro tesori e i loro misteri.
Camminò da solo lungo la spiaggia di sabbia finissima; i resti delle conchiglie, in migliaia di anni, l'avevano formata così e sarebbe diventata completamente diversa, pensò, tra altre migliaia di anni. Nel frattempo, chissà quanti altri esseri mortali come lui avrebbero riso o sofferto nella loro brevissima esistenza, quanta fame e miseria avrebbero dovuto sopportare o quanta gloria e ricchezza avrebbero ottenuto... chissà quanto amore avrebbero provato.
Attraversò il faro e ritornò sulle rive della laguna; vide passare, alla voga del sandoleto, un amico che non incontrava da tempo, Carlo Scarpa, mentre stava navigando apparentemente senza mèta, così come sempre aveva fatto nella sua vita.
Carlo, ti va de là?”
Dove devi andare, Pompeo?”
A san Giorgio, da padre Antonio.”
Ci vado anch’io. Adoro quell’isola.
E’ un luogo fantastico, pieno di serenità, sembra quasi che appartenga ad un altro mondo.”
Forse ti dovevi andar da qualche altra parte?”
Ma dai, monta su e no preocuparte, te porto mi.”

Sulla riva dell’ isola don Antonio, in piedi, pareva lo stesse già aspettando.
"Allora, Pompeo, cosa mi racconti?"
"Non so, forse parto..."
"Lasci Venezia, il tuo mondo?"
"Mah, ancora non so..."
"Il tuo cuore batte per la ragazza ebrea, vero?"
Pompeo diventò paonazzo.
"Sì, padre. Ma la sua famiglia non lo permetterebbe mai, la sua comunità, anche se mi rispetta e apprezza, vieta di sposare uno che non è ebreo."
"Eppure per lei daresti la vita, no?"
"Lei che vede tutto, anche il futuro, cosa pensa che sarà di me, del mio sogno con Myriam, di queste nostre vite tanto fragili che basta un po’ di acqua cheta a spazzar via?"
"So che anche i nuovi governanti aggiogheranno Venezia per molti anni, e per dire questo non occorre di certo la dote della preveggenza, immagino che questo popolo tenterà sempre più eroicamente di ribellarsi – un po’ ridendo e un po’ piangendo come ha sempre fatto - e molti daranno la vita per la libertà. Seguiranno certamente ancora lutti e miserie.”
Il religioso si prese Pompeo sotto braccio e attraversò la soglia del tempio dedicato a san Giorgio.
La grande vetrata colorata, incendiata dal sole, illuminava l’interno della chiesa e, in special modo, un quadro che raffigurava la morte di Cristo: sembrava quasi, e forse era vero, che tutta la costruzione fosse stata fatta proprio a quello scopo.
I due si sedettero su una delle tante panchine di legno. Don Antonio disse al giovane di guardare verso l’alto, proprio da lassù dove stava arrivando la luce.
Sia tu che tuo fratello avete il dono di vedere attraverso il tempo.”
Pompeo restò sorpreso, come faceva il monaco a saperlo?
Allora guarda – continuò – questa sarà la più grande visione che tu mai abbia avuto e questo è il posto giusto per averla.”
Nella grande vetrata apparvero immediatamente corpi dolenti come nelle più tetre rappresentazioni del Giudizio Universale.
Pompeo capì che il futuro sarebbe divenuto sempre più terribile, ma ancora non riusciva a capire quanto: rivoluzioni, catastrofi, stragi, olocausti, carestie, terremoti sulla Terra, così come aveva profetizzato san Marco nel suo Vangelo.
Vide per due volte il Mondo venire sconvolto da guerre terribili e interi popoli umiliati, torturati, offesi, massacrati.
E la progenie di Myriam, il suo popolo eletto, avrebbe sofferto più di tutti.
La progenie di Myriam: i figli di lei potrebbero essere, forse, anche i suoi figli, il sangue del suo sangue che soffrirà e urlerà alla mercè di mostri orribili, fanatici, nemici dell’umanità. Quello, dunque, sarebbe stato il futuro? Non quello radioso che aveva preconizzato con la sua bella? Quello degli uomini che volavano e della scienza che ci avrebbe reso felici?
Vide gas che toglievano il fiato impedendo di respirare, uomini chiusi dentro cortili circondati da ferri con spine…come quelle che Cristo portava sulla fronte…e sangue, tanto, tanto, tanto sangue.
Non poté più sopportare quel supplizio e fuggì dalla chiesa. Decise che non avrebbe più avuto visioni: tanto il futuro sarà quel che sarà. Don Antonio gli fu vicino.
Stettero vicini in silenzio, il silenzio che si udiva a san Giorgio e nella laguna quando le barche ancora non facevano rumore.

Pompeo salutò il monaco, fermò un'altra barca di passaggio e si fece portare a riva.
Dall'isola, don Antonio lo guardava allontanarsi, verso lo splendido spettacolo della piazza san Marco e vide quella imbarcazione, che dondolava nel bacino, divenire sempre più piccola. Pensò, intensamente:
"Che Iddio ti benedica."

Di ciò che fece Pompeo, dopo quel giorno, purtroppo non ci è dato di sapere.
Sappiamo che, qualche tempo dopo, un editore veneziano pubblicherà il suo diario, unica fonte di notizie circa l'assedio, oltre, ovviamente, al Giornale Dipartimentale.
Sappiamo bene cosa avvenne di Venezia, ma non cosa fu di quel giovane.
Forse emigrò nelle americhe, magari in Argentina, dove stavano giungendo già allora molti uomini dalla penisola italica.
Forse si fece monaco e restò a pregare e a meditare nella pace degli orti di san Giorgio, assieme al suo amico Antonio, fino alla fine dei suoi giorni.
Oppure continuò a vivere a Venezia, sposò una donna, magari la sua amata Myriam, quella con gli occhi neri e le labbra color fuoco, con lei fece figli, fu felice.
Probabilmente il suo sangue continua a scorrere tra chi, a volte usando stivaloni di gomma per l'acqua alta, vive ancora in una città unica al mondo, alla quale ogni giorno gente da tutto il Mondo viene a rendere omaggio.

Non lo sappiamo: di Pompeo ci resta solo la copia sgualcita di un diario.
Senza di quel libretto non avremmo mai saputo nemmeno della sua esistenza…

Intanto, dalla barca sulla quale dondolava nel bacino di San Marco, Pompeo notò che il cielo non era mai stato così limpido da queste parti.

venerdì 3 luglio 2020

Indosserò

E poi, indosserò  le stagioni del prato,
ai piedi  avrò scarpe
con suole di foglie e, ancora camminerò.
Giunta nel bosco, sarà lo scialle del vento a donarmi riparo,
con ignude mani abbraccerò il respiro del luogo.
Il mattino caldo dell'estate
dipingerà le parole che non dissi e, anche tu le udirai.
Sarò resina che profuma al calar del sole.
Sarò lì, tra l'ombra dei miei pensieri.
Luce soffusa, innocua, poesia.
Si spanderà tra il mare,
dove navigheranno leggere le barchette di carta,
quelle che feci nell'alba,
una primavera,
con te.
Sapevi dare forma alle cose,
e io guardandoti imparai...
i nostri schizzi d'amore
le fecero partire.
Nell'abbondanza,
della tua radice,
con la dolcezza del frutto
inseguirono la corrente,
quella del cuore,
tramonto dopo tramonto,
l'essenza dell'anima,
si pose silenziosa tra la vela.
Nel lido del sole,
ti rividi e il tempo come sempre ebbe ragione!


Brunetta Sacchet








giovedì 2 luglio 2020

" Venezia in catene " Capitolo XVII°



Conformismo letterario


Alle prime ore del mattino, cosa ben strana, Graziosi aveva convocato tutti i suoi collaboratori, anche quelli che, in precedenza, aveva licenziato.
Cari fioi – iniziò il direttore, mentre tutti si guardavano stupiti e nervosi – quello che uscirà domani, ventitrè aprile del milleottocentoquattordici, sarà l’ultimo numero del Giornale Dipartimentale Adriatico. Il suo numero…”
Il trentaquattro…”, proseguirono in coro giornalisti e stampatori.
Giusto, trentaquattro”: Dopo una pausa imbarazzata, incalzò:
Ma non è detto che noi dovremo chiudere…”
Se continua a lavorar?” domandò il giovane Gorghetto, l’unico che non era mai stato assunto, ma che bazzicava sempre, con volontà incrollabile, l’ambiente del giornale.
Forse…forse” rispose, quasi parlando tra sé, il capo che, in realtà, non sapeva che pesci pigliare.

Con quel numero, infatti, si sarebbe chiusa la storia della testata, così come si chiudeva, in quei giorni, il periodo della dominazione francese a Venezia cui succederà, proseguendo per molti anni, la dominazione austriaca.
Ciò che Graziosi impresse sulla prima pagina di quel numero 34 dimostra la sua abilità nel cercare di dire qualcosa senza, in effetti, dire un bel nulla. Così, tanto per prendere un po’ di tempo:

“…Il ritardo di dettaglio sui strepitosi avvenimenti del giorno, sarà ben presto compensato con quell’accuratezza di cui ci faremo pregio in ogni tempo…”

Strepitosi avvenimenti. Ed aveva ben ragione: mai come in quei giorni la Storia, quella vera, importante, aveva accelerato con tanto clamore.
Egli non solo non voleva commentare i fatti ma, per sicurezza, non li voleva neppure riportare. Così continuò:

“…Nell’invocar però la loro tolleranza, possiamo assicurarli che avremo dall’esattezza nostra raccolto ad un tratto quanto di più importante occupar deve un luminoso posto nell’odierna storia, che trasmetterà alla posterità incredibili eventi.”

Il giornale procedeva parlando di argomenti più sereni: statistica, storia naturale, varietà.
Ben presto, col caldo tepore della primavera (si era quasi a maggio), ci si accorse che, scampato il pericolo, la vita sarebbe proseguita con maggior tranquillità, grande ordine. Forse anche troppo.

Mercoledì 27 aprile uscì da quella stamperia e firmato dallo stesso editore, un altro giornale che, però, portava il numero trentacinque, quasi volesse indicare una continuità nell’edizione (mentre il resto del mondo cambiava).
Il formato ed i caratteri rimanevano gli stessi, diverso era il titolo, si trattava, ora, del

Giornale di Venezia

E portava ben visibile al centro, sotto la testata, lo stemma dell’aquila bifronte, simbolo dell’impero austriaco.
E così Graziosi ed i suoi non cambiarono mestiere. Il loro atteggiamento nei confronti dell’autorità costituita era sempre stato ossequioso, quello dei buoni sudditi che sempre avevano interpretato la volontà del loro sovrano…utili al dittatore francese, adesso lo sarebbero stati per l’imperatore d’Austria il quale non si sognò di epurarli…anzi: da quel giorno la testata diventò un quotidiano e si dovette aggiungere un inserto di quattro pagine per contenere tutte le notizie che giungevano generosamente.
Nel resto dell’Italia tutti gli altri giornali dipartimentali avevano chiuso definitivamente.

E Pompeo?
Respirando l’aria tiepida di quei giorni, Pompeo sognava di evadere.
Non aveva mai sopportato l’arroganza dei francesi ed aveva sempre sperato, in cuor suo, l’arrivo di un qualsiasi altro esercito straniero che fosse venuto a liberare.
Ma gli furono sufficienti pochi giorni per capire che i nuovi arrivati erano anche peggiori.

Scrisse nel suo diario:

Dal 21 novembre, giorno in cui iniziò
il blocco della città, al 20 aprile
, sono nati 1.476 bambini.
I morti, nello stesso periodo, sono 4.170.”

Poi se ne andò in piazza ad assistere all’arrivo trionfale del generale austriaco che sbarcò dal burchiello con la sua uniforme bianca candida, acclamato dalla folla festante.
In tutte le chiese della città, ad ore alterne, iniziando alle nove del mattino e per tutto il giorno, si svolsero funzioni religiose di ringraziamento, “Te Deum”, processioni.
Faceva una certa impressione sentir suonare le campane a festa, alzare lo sguardo e vedere un cielo azzurro e terso, che prometteva molto di buono.
Graziosi, bontà sua, gli aveva dato l’incarico di occuparsi delle novità letterarie e per il giovane ciò rappresentò un vero traguardo.
Non gli ci volle molto a capire che, anche in quel campo, aveva trionfato la “fedeltà” verso il potente di turno.
Infatti il “Corriere delle Dame”, un foglio letterario diretto dalla signora Carolina Lattanzi, che si era distinto dagli altri periodici per il suo appoggio smodato alla causa napoleonica, cambiò repentinamente le sue simpatie politiche.
Per l’occasione la Lattanzi, raffinata ed instancabile intellettuale, era arrivata al punto di indire subito dopo l’arrivo degli austriaci, un concorso a premi per il più bel sonetto di satira contro Napoleone.
E pensare che lei stessa, nell’anno 1810, aveva lodato, con una appassionata poesia composta personalmente, la nascita del figlio di Napoleone, il “Re di Roma”.

Qualcuno aveva così commentato, a questo proposito:

Affrontare i potenti costa qualcosa,
calpestare i caduti non costa nulla.”

Qualche giorno dopo lo stesso giornale femminile tesserà le lodi dell’imperatore austriaco Francesco I°, divenuto per moltissimi un ladro ed un tiranno, definendolo un “novello Tito”.

Coi gomiti poggiati sul muretto di marmo al ponte di san Felice, Pompeo se ne restava muto ad osservare le sozzure che, galleggiando sull’acqua putrida, passavano sotto l’arcata: era lo sporco della città che, dai canali interni e dalla laguna, se ne andava verso il mare.
Tra pantegane morte e gatti gonfi, galleggiava lentamente anche un cadavere umano. Passò proprio sotto il ponte e sotto i piedi di Pompeo: aveva la pelle rossa e la pancia strapiena d’acqua.
Non ci diede importanza perché era un fatto abbastanza comune per quei giorni.
Ma si sporse un po’ di più e riconobbe in quel volto, che iniziava ad essere divorato dai pesci, dei lineamenti che gli erano tragicamente familiari.
Ma quello è Petronio – urlò – dunque esiste un Dio.”
Una mano calda e carica di energia si posò sulla sua spalla.
Don Antonio…”
Ciao, amico mio, son tanto brutti i tuoi pensieri?”
Padre, sapesse…”
Hai visto…Petronio?” disse, indicando con un dito il cadavere che, pian piano, galleggiando come un tappo di sughero, se ne stava andando verso il mare, così come l’anima se ne stava andando verso il suo destino.
L’hanno ammazzato.”
Ma come fa, padre, ad esserne così sicuro?”
Non hai notato quella ferita al fianco? Era di certo di un coltello da macellaio…povero disgraziato.”
Povero disgraziato? Ma, padre, quello era un delinquente, un torturatore, un massacratore…”
Non prendertela con lui, non è colpa sua…”
E di chi, allora?”
Forse del demonio che lo possedeva”
Intanto il corpo si allontanava, passando sotto un altro ponte.
Corriamo di là – disse il religioso – voglio che tu guardi bene il suo volto.”
I due raggiunsero l’altro ponte sul canale proprio mentre la salma passava di sotto.
Vedi i suoi lineamenti, figliolo mio, ti sembrano quelli di un uomo cattivo?”
Certo, adesso no , ma mentre commetteva i suoi delitti…”
Chiaro…mentre commetteva i suoi delitti era posseduto, adesso non più. Noi sbagliamo a prendercela con le persone, a punirle e ad ammazzarle. Non sono loro a commettere i peccati, ma il demone che li possiede. Basterebbe liberarli dal demone.”
Certo che lei ne ha liberati tanti, dai demoni.”
Sì, ma con i potenti è sempre difficile.”
Intende dire il generale Seras, Napoleone?”
Sì, ma anche Francesco d’Austria e tutti gli altri potenti.”
Il ragazzo ascoltava a bocca aperta. Il monaco continuò:
Vedi, Pompeo, Napoleone aveva creduto nei valori della fratellanza e della libertà, gli stessi valori che ci ha insegnato Cristo con la sua parola. Ci credevano tutti, avevano fatto una rivoluzione, ma poi…”
Ma poi?”
Poi i sentimenti diabolici quali l’egoismo, l’invidia, la smania di grandezza hanno trasformato tutto. I sentimenti diabolici superano sempre, nell’essere umano, l’amore fraterno.”
Eh già…”
Chi avrebbe dovuto portare per il Mondo le idee di tolleranza e di pace ha portato le armi della sopraffazione e dell’arroganza e il disastro è completo. Non sono gli uomini che dobbiamo punire, sono i demoni che li posseggono e che influenzano le loro menti che dobbiamo sconfiggere.”
Pompeo ascoltava in silenzio.
La verità ce l’ha insegnata il vangelo. Gesù è venuto esclusivamente a liberarci da Satana.”
La salma di Petronio era già in mare aperto, a sfamare i pesci più grandi.

Prima di prendere qualsiasi decisione sulla tua vita, caro Pompeo, vieni a trovarmi al monastero, ho qualcosa da farti vedere.”
Ci verrò domani” aggiunse il ragazzo.

Don Antonio se ne andò, camminando con corpo leggero come se la forza di gravità, per lui, non esistesse.

mercoledì 1 luglio 2020

AMICIZIA

Ci sono persone che chiami amiche e altre che lo sono sul serio.
La differenza non risiede nel vederle più spesso o da quanto tempo le frequenti.
Amica è potersi fidare.
Amica è voler bene e non tradirsi mai...


Liliana D'Arpe

Scrivimi

Mi piacerebbe trovare sentieri
che portano fino a dove finisce il tempo,
strade per arrivare ad ascoltare
il fermarsi del cuore
nel rimirar il tempo,
vie fino a giungere  dove volano solo farfalle,
sogni e tratturi di piacere.
Vieni?

Rino Spigarolo