lunedì 27 luglio 2020

Racconto







Nostalgia del futuro
di Pier Angelo Piccolo




Attraverso le spesse lenti del binocolo, appoggiato con la pancia a terra dall’alto del colle, Fulvio scrutava i grandi movimenti a fondo valle.
Ormai – disse, rivolgendosi con calma a Roberto, in piedi e lí vicino – gli ultimi tedeschi se ne sono andati, probabilmente non li vedremo piú, mai più. Che tornino nelle loro tane, noi possiamo ritornare al casolare e presto torneremo nelle nostre case.”
Tedeschi in fuga, le bestie terribili, orde selvagge, scappavano come maiali impazziti mentre, da lontano, stavano sopraggiungendo gli eserciti liberatori. Finalmente, la guerra era al termine del suo percorso di morte, sofferenze e sangue, quello innocente e quello colpevole.
Scendendo lungo il tratturo sulla collina, Il passo dei due giovani, nel raggiungere la loro brigata, era rilassato e i loro occhi erano pieni di futuro e lo vedevano e prevedevano tutto, radioso e felice, non come avvenne alla loro giovinezza.
Ma, d’improvviso, udirono un terribile fischio, uno sparo dietro di loro.
Un proiettile sfiorò la spalla di Roberto. Non fece in tempo ad imbracciare il fucile, che un soldato tedesco dietro di lui, comparve all’improvviso e li minacciò di morte.
Fermi, immobili” intimò sbucando dal bosco, egli parlava un italiano quasi corretto, dopo di lui arrivò un altro soldatino nazista, con la pistola in pugno.
I due ragazzi furono presi in modo orrendo e portati verso un autocarro nascosto, perfettamente, nella scura boscaglia.
Entrate qui dentro, banditi italiani e pregate per l’anima vostra. Siete arrivati. La vostra vita finisce adesso, ma prima dovrete soffrire.”
Fulvio e Roberto videro infrangersi, angosciosamente, i loro sogni, la loro vita, l’avvenire del mondo.
Un lungo brivido di morte percorse i loro giovani volti, quando, una volta entrati nel cassone del veicolo, si accorsero che questo era pieno di bare, orribili casse da morto in legno scuro. Due di queste erano scoperchiate e aperte per loro.
Entrate schifosi e vigliacchi traditori italiani, queste sono le vostre bare. Qui passerete l’eternità, dopo che vi avremo torturati e uccisi.”
Fulvio, con le mani legate dietro la schiena, fu invitato a sedersi dentro la sua triste cassa mortuaria, ma Roberto si ribellò e iniziò a divincolarsi, mentre Karl, il tedesco che parlottava italiano, stringeva il legame e lo bastonava col calcio del fucile. Otto, l’altro nazista che sembrava piu’ cattivo, se mai si può esser piú cattivi di un altro nazista, gli aprí la fronte col calcio della sua pistola e lo distese nella bara a lui destinata. Con orrore del ragazzo e davanti allo sguardo terrorizzato di Fulvio, venne chiusa la bara e sigillata immediatamente, mentre le urla del malcapitato avrebbero raggelato il sangue a chiunque.
Ridendo e cantando le loro orribili litanie, i soldatini misero in moto il camion e partirono verso nord, verso le loro fredde e barbare terre.
I due tedeschi guidavano veloce e bevevano birra. Le strade erano sgombre e pensavano o speravano che, in meno di mezza giornata, avrebbero raggiunto la coda del loro esercito in disfatta. Una armata di folli che, dopo aver messo a soqquadro la penisola italica e il mondo intero, tornavano sconfitti, cornuti e bastonati al loro paese distrutto dall’aviazione alleata.
Karl, alla guida dell’automezzo, freno’ di colpo quando vide un albero a terra che invadeva mezza carreggiata, Otto si verso’ la birra sui calzoni. Cerco’, a bassa velocità, di evitare il tronco, sterzando a sinistra.
Fu a quel punto che un proiettile infranse il vetro del cruscotto. I due si toccarono per vedere se fossero stati feriti. Si trovarono circondati da tre banditi col fazzoletto azzurro sulla bocca, un uomo altissimo e con il mitra puntato sui loro denti, gli intimo’ di uscire.
I tedeschi vennero fuori dall’abitacolo piú che terrorizzati.
Cosa trasportate dietro, nel cassonetto. Ci sono altri soldati?” Chiese l’uomo col fazzoletto azzurro al collo.
Dal terrore non seppero rispondere. Otto sentí, dentro i suoi pantaloni già sporchi di birra, anche i suoi escrementi liquidi.
Le urla di Fulvio richiamarono il capo brigata, mentre gli altri due legavano i tedeschi come salami.
Antonio - urlò Fulvio - Presto, liberate Roberto che sta per soffocare dentro la cassa.”
Antonio era il capo della brigata “Doman”, che in dialetto veneto furlano significa “Domani”, ma anche il cognome di Eugenio Doman, il lor ex comandante, torturato a morte dai tedeschi e dai repubblichini l’anno prima.
Dopo aver sistemato i soldati nazisti, gli altri due partigiani, Salvatore e Menego, andarono a liberare i loro due commilitoni di brigata. Fulvio fu liberato all’istante con un affilato coltello che recise le corde alle mani, ma l’apertura della cassa fu un tantino piu’ complicata.
I due ragazzi non poterono trattenersi dal ridere quando, una volta aperta la cassa videro il volto stravolto del loro amico, che già aveva i capelli bianchi e sangue a fiotti.
Roberto uscí dal suo sepolcro e andò a prendere a calci sugli stinchi i due tedeschi. Egli stesso prese Otto, quello che se l’era fatta addosso dalla paura e lo mise dentro la bara e, senza l’aiuto di nessuno, lo chiuse dentro, mentre quello urlava terrorizzato e vomitava.
Si impossessarono del camion e delle casse da morto.
Adesso si tornava al campo dei partigiani. Dopo cinquecento metri, però, fu lo stesso Roberto a fermare il camion e a liberare il tedesco chiuso nella cassa.
Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.” Ripeté a se stesso, citando le parole di un Signore nato 1945 anni prima. Ma soprattutto non volle che altri esseri umani provassero gli orrori e la paura che egli ebbe modo di provare prima.
Quando il camion giunse al campo base, tra le montagne friulane, gli altri uomini della brigata vennero ad aiutarli a sistemare i prigionieri e a chiedere cosa fosse successo.
Antonio aprí una delle bare che stavano nell’autocarro, destinate in Germania, per vedere cosa contenessero. Impallidí quando si accorse che quella bara, come tutte le altre, era piena di armi da fuoco, mitra, fucili, granate, bombe modernissime, proiettili.
Antonio si mise subito, allora, in contatto con i capi azionisti, ma seppe che avrebbero dovuto aspettare la decisione dei delegati riuniti in curia, dove stavano incontrando il Patriarca della citta’. La decisione che presero non piacque ad Antonio. Gli venne detto di aspettare l’arrivo di Giuseppe Montanari con la sua brigata di confine. Sarebbero stati loro a prendere in consegna le armi trovate nella cassa da morto.
Ad Antonio non piaceva Giuseppe. Sapeva che la brigata comunista che comandava, aveva rapporti con i partigiani che stavano al di là dell’ Italia.
Conosceva i loro metodi e le nefandezze che combinavano e non solo contro i militari dell’esercito nemico. Soprattutto, era venuto a sapere che Giuseppe prendeva ordini non dalla Resistenza italiana, per quanto anche socialcomunista, ma direttamente dalla dirigenza sovietica. Forse da Stalin in persona.
Ma a lui che importava? Quelle armi non avrebbero potuto tenerle loro, una manciata di partigiani disorganizzati e poco assistiti dal comando. Avrebbe aspettato che fossero venuti a prenderle e a portarsi via quelle casse da morto.
Intanto, c’era da pensare a cosa fare dei due prigionieri tedeschi e organizzare il prossimo rifornimento di viveri.
Di solito era Salvatore, il piú giovane, a fare la staffetta con il paese e procurarsi le vivande che molte famiglie e contadini mettevano a disposizioni di quei partigiani, tanto diversi da altri gruppi di Resistenza, avezzi a prendersi da soli il cibo dalle povere famiglie contadine e senza ringraziare.
Salvatore veniva dal Sud della penisola. Si era trovato in terra di Friuli quando l’esercito si era sbandato per colpa del Re d’Italia che, montato in macchina, era scappato al meridione, abbandonando il popolo italiani ai casi suoi e alle angherie dell’esercito dei nazisti.
Non sapeva come stessero i suoi, il giovane, ma era informato che i tedeschi se ne erano andati presto dalla sua cittá.
Nel campo base, tra le montagne franose di Osoppo e lungo il fiume Tagliamento, La brigata Doman operava in maniera intelligente e mai crudele, la popolazione aveva molta fiducia di loro e del capo, Antonio, un vero intellettuale e politico raffinato, orgoglio della intelligenza italiana. Uno che avrebbe fatto la differenza nella classe politica dell’Italia risorta, se mai fosse risorta.
Roberto, non ancora ripresosi dalla mezza sepoltura, passava le giornate a parlare coi due giovanissimi tedeschi, vedendo come, sorprendentemente, ascoltavano le sue belle parole di cristiano liberale e illuminato, i suoi insegnamenti e si rendevan conto, ogni istante di piu’, di quanto orribile e insulsa fosse stata l’educazione fino ad allora impartitagli dai gerarchi nazisti.
Capirono che basta poco per iniettare odio, ma ci vogliono menti e anime come quelle di Roberto o di Antonio per insegnare l’Amore e la Libertá.
Menego e Fulvio, forti boscaioli, erano quelli che raccoglievano altri partigiani tra le persone disperse. Furono loro a reclutare Paolo e Marco, due ragazzi ebrei scampati alla strage della loro famiglia e un loro zio, che i due chiamavano cosí, ma che, dalla grande Cultura che professava, Antonio sospettava fosse stato un importante rabbino.
Qualche giorno dopo, Menego era tornato dal bosco a fare legna, quando incontrò i due giovani ragazzi spaventati e l’uomo. Gli chiesero aiuto e gli dissero di essere scappati da un treno nazista fermatosi alla stazione di un paesino lí vicino per far acqua, che si stava dirigendo, carico di tutti i loro amici e i loro parenti di religione ebraica, verso il confine austriaco. Con loro stava un giovane russo, che ancora nessuno aveva capito come fosse arrivato lí.
Menego li condusse con sé al campo dei partigiani, sicuro che spie, almeno, non avrebbero potuto essere.
Bella e strana la brigata “Doman”, che Antonio definiva “la Nostalgia del futuro”, fatta di guerrieri che tutto avrebbero voluto, fuorché la guerra, ma tanto i migliori combattenti sono quelli che anelano alla pace.
La sera passava tranquilla al casolare, bastava un uomo di guardia che, tanto ormai, pochi rischi si sarebbero corsi.
Eravamo già ad Aprile e il 1945, anno stupendo, avrebbe sicuramente portato la Pace.
Seduti fuori, anche se non faceva tanto caldo, nell’aria piena di speranza, gli uomini si raccontavano le loro storie e si discuteva degli anni che sarebbero arrivati.
Juri, il ragazzo russo, raccontò la sua storia a tutti. Egli non aveva nessuno che lo aspettasse in Russia e i suoi erano stati uccisi da Stalin durante uno dei tanti repulisti staliniani.
Aveva deciso di scappare dall’Armata rossa, dove prestava servizio insieme ai partigiani titini, mentre la sua armata era andata a dar man forte al confine italiano. Poi appena riusci’, scappo’ in italia attraverso i monti e si era venuto a trovare in quelle lande.
Li’ aveva incontrato gli altri due e si erano messi insieme a cercare un rifugio.
I due ragazzi ebrei con lui, erano Giacomo e un tipo molto strano, Andrea, che parlava pochissimo e dimostrava una timidezza esasperata lo zio. I tre disperati sembravano terrorizzati da tutti e raccontarono come furono caricati, in quel treno, dai soldati. Dissero, tutti loro, di non ricordare nemmeno da quanto tempo vagassero per i monti.
Si Parlava di Cultura e di Arte e Antonio teneva vere e proprie lezioni universitarie ai suoi uomini. Anche i due tedeschi ne erano catturati.
Quando parlò il grande rabbino, con i racconti che fece e che lasciarono tutti a bocca aperta, si capí che, in quel casolare, c’era un grande concentato di conoscenza e saggezza.
La notte si andò a dormire tranquilli. Solo Salvatore, affascinato da Andrea, volle stare vicino a parlare. Gli sembrava di averlo sempre visto. Subiva il suo fascino e non ne capiva il perché.
Fuori frinivano le cicale e le stelle brillavano particolartmente. Dopo due ore che i due parlavano, Giacomoche sembrava dormisse, si rivolse ad Andrea, sussurrando:
Diglielo pure.” E si voltò a dormire.
Cosa avrebbe dovuto dirgli?
Come risposta, Andrea diede un bacio in bocca a Salvatore. A lui piacque moltissimo. Poi sentí in Andrea un certo rigonfiamento al petto.
Sono una ragazza - gli disse senza togliere la lingua dalla bocca – baciami, mia mamma mi ha vestita da uomo per non farmi violentare dai tedeschi.”
Cosí, mentre fuori il mondo si faceva la seconda guerra mondiale e i partigiani nel casolare dormivano russando sottovoce, i due ragazzi facevano l’amore, la cosa piú bella del mondo.
Al mattino presto, Fulvio, che era di guardia, svegliò i suoi amici.
Rombavano in lontananza i mezzi dei partigiani rossi, che cantavano “L’internazionale”, venuti a prendersi le armi.
Tutti vennero fuori a guardare.
Uscí saltando dal Camion il capo, Giuseppe Montanari, alto e forte, due spalle enormi, sembrava il Maresciallo Tito. Antonio lo salutò e lo accompagnò al camion con le armi nelle bare, sperando che se ne sarebbe andato al piú presto. I compagni erano tutti alti, forti, armatissimi e guardarono con scherno la strana brigata “Doman” di cui tutti avevano sentito parlare.
Ciao Antonio – gli disse guardandolo con sfida – allora? So che i libri che scrivi piacciono a tutti. Tra poco la guerra sará finita e ne venderai tanti, sarai ricco.”
Lo sarei giá – ribatté Antonio – se non avessero cominciato a bruciarmeli”
Eh i nazisti” Disse Giuseppe.
Anche i comunisti” Rispose, togliendogli il sorriso dalla bocca.
In realtà, gli scritti di Antonio denigravano ogni forma di totalitarismo. Non piacevano né ai fascisti, né a molti comunisti.
Era riuscito a farli pubblicare e a passare ogni confine. In America erano arrivati, i suoi scritti e i suoi saggi fantastici, terra della Libertà. Anche se molte cose, Il grande Antonio contestava, pure di quella meravigliosa e ricca società. Ma gli americani lo conoscevano benissimo e lo avrebbero voluto con loro e da molte parti si parlava di un premio Nobel per lui.
Anche nel futuro governo italiano lo avrebbero voluto tutti, forse anche molti comunisti. Ma non Giuseppe Montanari.
Signor Comandante guardi. Compagno Giuseppe abbiamo trovato costoro.” chiamò ad alta voce uno degli uomini.
Che c’é?”
Questi della “Doman” hanno con loro due tedeschi catturati e non ci dicono niente. Oltretutto a piede libero.”
Roberto disse che li stava “rieducando”.
Giuseppe mise mano alla pistola e poi, stranamente, si fermò.
Lascia che se li tengano loro.”
Mandò due uomini a impossessarsi del camion con le bare con le armi; tutti gli altri grossi automezzi, in un densissimo fumo di marmitte, si prepararono ad uscire dal campo partigiano “Doman”.
Ma da una camionetta, quella che stava in ultima fila, uscí il telegrafista. Tutto tacque, fu un silenzio inquietante.
Si diresse all’inizio della fila di camion e parlò con Giuseppe.
Giuseppe fece subito dei cenni nervosi al suo vice.
Si notò che gli altri partigiani rossi, strafottenti, erano diventati pallidi.
Qualcuno chiese: “Sicuro?” che subito venne zittito dagli altri.
Giuseppe si avvicinò ad Antonio e gli disse con molta determinazione:
Queste armi dobbiamo portarle ad una destinazione segreta.”
E a noi che ci frega?” Rispose Antonio.
Voi non dovete saper dove siamo diretti, questo é l”ordine. Dovete girarvi tutti e non vedere nemmeno da che parte andiamo.”
Antonio rise e ordinò a tutti gli uomini e alla donna di cui ignorava il sesso, di girarsi e di non guardare assolutamente dove fossero diretti i camion.
In cuor suo, non sperava altro che se ne andassero e di non vederli mai piú.
Buona giornata a tutti.” Urlò il sosia del Maresciallo Tito. Ma c’era silenzio e i compagni non cantavano l’inno Internazionale o bandiera rossa. I partigiani azzurri rimasti a terra non sentirono che il rombo dei motori che se ne stavano andando. Poi si udí, per pochi secondi, la sventagliata di un mitra.
Ma solo per pochi secondi, poi ci fu il buio e il sonno eterno per tutti, cristiani ed ebrei, uomini e ragazza, tedeschi, italiani, russi. Buio e nessun paradiso di nessun tipo. Restò solo l’inferno della terra. Fulvio ancora si muoveva, anche Otto. Furono graziati con due soli colpi di pistola.






Al comandante Dorchester, maggiore della Quarta Armata dell’U.S.A. Army, nativo del New Jersey, apparvero strani quei corpi a terra senza vita, che si trovò davanti, quando stava risalendo, coi suoi uomini, l’Italia e, arrivato al Friuli, estremo Nord, avrebbe pensato di aver finito di vedere orrori.
Secondo il Tenente Stanley, un bel ragazzo del Montana, c’era qualcosa che non convinceva in quell’eccidio. Era un medico e ispezionò quei corpi immediatamente. Con lui il caporale John Harvey, quasi medico e Salvatore Amoroso, un dentista italo americano, venuto volontariamente a liberare il suo paese.
Dissero al Maggiore che erano morti tutti nello stesso momento e uccisi da colpi partiti dalla strada, molti di loro erano ebrei,affermò, dopo aver controllato il prepuzio circonciso. Poi una donna. Un russo, con documenti dell’Armata Rossa e due tedeschi che non erano prigionieri. Qualcuno degli ebrei aveva tatuato dei numeri sull’avambraccio.
Ma la cosa che colpí molti ragazzi americani scesi a guardare la scena, era l’aver riconosciuto tra i massacrati, il grande Antonio Migliacci, uno scrittore famoso in America. Capirono che era il capo partigiano, per cui stabilirono che quella era proprio una vera brigata della Resistenza e, dai fazzoletti azzurri, si capiva che erano democratici e azionisti.
Il Maggiore Paul Dorchester, arguí che non i partigiani azzurri non potevano essere stati vittime dei nazisti. Per le armi che li avevano uccisi e perché non si notarono segni di resistenza, quando intorno era pieno di fucili.
Diede ordine di raccogliere le salme e di caricarle in camion, le avrebbero deposte al primo Comune di paese che avessero incontrato.
Dopo aver pregato per tutti loro.
La guerra era quasi finita. Gli uomini combattenti avrebbero dovuti tornare in America.
La loro morte resterá un mistero, un mistero per sempre.
L’Italia e il Mondo Civile avrebbe fatto a meno di un uomo importante e grande, Israele che nasceva, avrebbe fatto a meno di un meraviglioso rabbino. La fragile democrazia italiana, non avrebbe avuto quella decina di uomini e donne che, per difenderla, non si sarebbero fermati davanti a nulla.











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