Conformismo letterario
Alle
prime ore del mattino, cosa ben strana, Graziosi aveva convocato
tutti i suoi collaboratori, anche quelli che, in precedenza, aveva
licenziato.
“Cari
fioi – iniziò il direttore, mentre tutti si guardavano stupiti e
nervosi – quello che uscirà domani, ventitrè aprile del
milleottocentoquattordici, sarà l’ultimo numero del Giornale
Dipartimentale Adriatico. Il suo numero…”
“Il
trentaquattro…”, proseguirono in coro giornalisti e stampatori.
“Giusto,
trentaquattro”: Dopo una pausa imbarazzata, incalzò:
“Ma
non è detto che noi dovremo chiudere…”
“Se
continua a lavorar?” domandò il giovane Gorghetto, l’unico che
non era mai stato assunto, ma che bazzicava sempre, con volontà
incrollabile, l’ambiente del giornale.
“Forse…forse”
rispose, quasi parlando tra sé, il capo che, in realtà, non sapeva
che pesci pigliare.
Con
quel numero, infatti, si sarebbe chiusa la storia della testata, così
come si chiudeva, in quei giorni, il periodo della dominazione
francese a Venezia cui succederà, proseguendo per molti anni, la
dominazione austriaca.
Ciò
che Graziosi impresse sulla prima pagina di quel numero 34 dimostra
la sua abilità nel cercare di dire qualcosa senza, in effetti, dire
un bel nulla. Così, tanto per prendere un po’ di tempo:
“…Il
ritardo di dettaglio sui strepitosi avvenimenti del giorno, sarà ben
presto compensato con quell’accuratezza di cui ci faremo pregio in
ogni tempo…”
Strepitosi
avvenimenti. Ed aveva ben ragione: mai come in quei giorni la Storia,
quella vera, importante, aveva accelerato con tanto clamore.
Egli
non solo non voleva commentare i fatti ma, per sicurezza, non li
voleva neppure riportare. Così continuò:
“…Nell’invocar
però la loro tolleranza, possiamo assicurarli che avremo
dall’esattezza nostra raccolto ad un tratto quanto di più
importante occupar deve un luminoso posto nell’odierna storia, che
trasmetterà alla posterità incredibili eventi.”
Il
giornale procedeva parlando di argomenti più sereni: statistica,
storia naturale, varietà.
Ben
presto, col caldo tepore della primavera (si era quasi a maggio), ci
si accorse che, scampato il pericolo, la vita sarebbe proseguita con
maggior tranquillità, grande ordine. Forse anche troppo.
Mercoledì
27 aprile uscì da quella stamperia e firmato dallo stesso editore,
un altro giornale che, però, portava il numero trentacinque, quasi
volesse indicare una continuità nell’edizione (mentre il resto del
mondo cambiava).
Il
formato ed i caratteri rimanevano gli stessi, diverso era il titolo,
si trattava, ora, del
“Giornale di Venezia”
E
portava ben visibile al centro, sotto la testata, lo stemma
dell’aquila bifronte, simbolo dell’impero austriaco.
E
così Graziosi ed i suoi non cambiarono mestiere. Il loro
atteggiamento nei confronti dell’autorità costituita era sempre
stato ossequioso, quello dei buoni sudditi che sempre avevano
interpretato la volontà del loro sovrano…utili al dittatore
francese, adesso lo sarebbero stati per l’imperatore d’Austria il
quale non si sognò di epurarli…anzi: da quel giorno la testata
diventò un quotidiano e si dovette aggiungere un inserto di quattro
pagine per contenere tutte le notizie che giungevano generosamente.
Nel
resto dell’Italia tutti gli altri giornali dipartimentali avevano
chiuso definitivamente.
E
Pompeo?
Respirando
l’aria tiepida di quei giorni, Pompeo sognava di evadere.
Non
aveva mai sopportato l’arroganza dei francesi ed aveva sempre
sperato, in cuor suo, l’arrivo di un qualsiasi altro esercito
straniero che fosse venuto a liberare.
Ma
gli furono sufficienti pochi giorni per capire che i nuovi arrivati
erano anche peggiori.
Scrisse
nel suo diario:
“Dal 21 novembre, giorno
in cui iniziò
il blocco della città, al
20 aprile
, sono nati 1.476 bambini.
I morti, nello stesso
periodo, sono 4.170.”
Poi
se ne andò in piazza ad assistere all’arrivo trionfale del
generale austriaco che sbarcò dal burchiello con la sua uniforme
bianca candida, acclamato dalla folla festante.
In
tutte le chiese della città, ad ore alterne, iniziando alle nove del
mattino e per tutto il giorno, si svolsero funzioni religiose di
ringraziamento, “Te Deum”, processioni.
Faceva
una certa impressione sentir suonare le campane a festa, alzare lo
sguardo e vedere un cielo azzurro e terso, che prometteva molto di
buono.
Graziosi,
bontà sua, gli aveva dato l’incarico di occuparsi delle novità
letterarie e per il giovane ciò rappresentò un vero traguardo.
Non
gli ci volle molto a capire che, anche in quel campo, aveva trionfato
la “fedeltà” verso il potente di turno.
Infatti
il “Corriere delle Dame”, un foglio letterario diretto dalla
signora Carolina Lattanzi, che si era distinto dagli altri periodici
per il suo appoggio smodato alla causa napoleonica, cambiò
repentinamente le sue simpatie politiche.
Per
l’occasione la Lattanzi, raffinata ed instancabile intellettuale,
era arrivata al punto di indire subito dopo l’arrivo degli
austriaci, un concorso a premi per il più bel sonetto di satira
contro Napoleone.
E
pensare che lei stessa, nell’anno 1810, aveva lodato, con una
appassionata poesia composta personalmente, la nascita del figlio di
Napoleone, il “Re di Roma”.
Qualcuno
aveva così commentato, a questo proposito:
“Affrontare i potenti
costa qualcosa,
calpestare i caduti non
costa nulla.”
Qualche
giorno dopo lo stesso giornale femminile tesserà le lodi
dell’imperatore austriaco Francesco I°, divenuto per moltissimi un
ladro ed un tiranno, definendolo un “novello Tito”.
Coi
gomiti poggiati sul muretto di marmo al ponte di san Felice, Pompeo
se ne restava muto ad osservare le sozzure che, galleggiando
sull’acqua putrida, passavano sotto l’arcata: era lo sporco della
città che, dai canali interni e dalla laguna, se ne andava verso il
mare.
Tra
pantegane morte e gatti gonfi, galleggiava lentamente anche un
cadavere umano. Passò proprio sotto il ponte e sotto i piedi di
Pompeo: aveva la pelle rossa e la pancia strapiena d’acqua.
Non
ci diede importanza perché era un fatto abbastanza comune per quei
giorni.
Ma
si sporse un po’ di più e riconobbe in quel volto, che iniziava ad
essere divorato dai pesci, dei lineamenti che gli erano tragicamente
familiari.
“Ma
quello è Petronio – urlò – dunque esiste un Dio.”
Una
mano calda e carica di energia si posò sulla sua spalla.
“Don
Antonio…”
“Ciao,
amico mio, son tanto brutti i tuoi pensieri?”
“Padre,
sapesse…”
“Hai
visto…Petronio?” disse, indicando con un dito il cadavere che,
pian piano, galleggiando come un tappo di sughero, se ne stava
andando verso il mare, così come l’anima se ne stava andando verso
il suo destino.
“L’hanno
ammazzato.”
“Ma
come fa, padre, ad esserne così sicuro?”
“Non
hai notato quella ferita al fianco? Era di certo di un coltello da
macellaio…povero disgraziato.”
“Povero
disgraziato? Ma, padre, quello era un delinquente, un torturatore, un
massacratore…”
“Non
prendertela con lui, non è colpa sua…”
“E
di chi, allora?”
“Forse
del demonio che lo possedeva”
Intanto
il corpo si allontanava, passando sotto un altro ponte.
“Corriamo
di là – disse il religioso – voglio che tu guardi bene il suo
volto.”
I
due raggiunsero l’altro ponte sul canale proprio mentre la salma
passava di sotto.
“Vedi
i suoi lineamenti, figliolo mio, ti sembrano quelli di un uomo
cattivo?”
“Certo,
adesso no , ma mentre commetteva i suoi delitti…”
“Chiaro…mentre
commetteva i suoi delitti era posseduto, adesso non più. Noi
sbagliamo a prendercela con le persone, a punirle e ad ammazzarle.
Non sono loro a commettere i peccati, ma il demone che li possiede.
Basterebbe liberarli dal demone.”
“Certo
che lei ne ha liberati tanti, dai demoni.”
“Sì,
ma con i potenti è sempre difficile.”
“Intende
dire il generale Seras, Napoleone?”
“Sì,
ma anche Francesco d’Austria e tutti gli altri potenti.”
Il
ragazzo ascoltava a bocca aperta. Il monaco continuò:
“Vedi,
Pompeo, Napoleone aveva creduto nei valori della fratellanza e della
libertà, gli stessi valori che ci ha insegnato Cristo con la sua
parola. Ci credevano tutti, avevano fatto una rivoluzione, ma poi…”
“Ma
poi?”
“Poi
i sentimenti diabolici quali l’egoismo, l’invidia, la smania di
grandezza hanno trasformato tutto. I sentimenti diabolici superano
sempre, nell’essere umano, l’amore fraterno.”
“Eh
già…”
“Chi
avrebbe dovuto portare per il Mondo le idee di tolleranza e di pace
ha portato le armi della sopraffazione e dell’arroganza e il
disastro è completo. Non sono gli uomini che dobbiamo punire, sono i
demoni che li posseggono e che influenzano le loro menti che dobbiamo
sconfiggere.”
Pompeo
ascoltava in silenzio.
“La
verità ce l’ha insegnata il vangelo. Gesù è venuto
esclusivamente a liberarci da Satana.”
La
salma di Petronio era già in mare aperto, a sfamare i pesci più
grandi.
“Prima
di prendere qualsiasi decisione sulla tua vita, caro Pompeo, vieni a
trovarmi al monastero, ho qualcosa da farti vedere.”
“Ci
verrò domani” aggiunse il ragazzo.
Don
Antonio se ne andò, camminando con corpo leggero come se la forza di
gravità, per lui, non esistesse.
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