lunedì 5 agosto 2019

Il colore dei sogni


IL COLORE DEI SOGNI
By Pier Angelo Piccolo
Published in AICW Anthology 2019










Sbirciando attraverso la finestra dalle tendine color sabbia, Leonardo ammirava la bellezza del panorama sottostante. Niente di eccezionale, certo, si trattava, solamente, di una semplice piazzetta, una delle tante del nostro bel paese, contornata da ville e palazzi, nemmeno tanto antichi, in una splendida giornata di sole. Poteva vedere i tavolini in ferro di due o tre piccoli bar, poi quelli, spaziosi, di un ristorante; un negozio di tabacchi ed una profumeria: tanta gente che camminava piano e qualche bambino che giocava nel far rimbalzare una pallina, subito rincorsa da un bastardino color petrolio, con pochi peli e la coda che sbatteva gioiosamente di qua e di là.
Eppure il tutto - sia resa gloria a Dio! - gli appariva, in quell’istante, come un qualcosa di favoloso.
Soffriva molto, poiché doveva starsene chiuso lì dentro, in una squallida anticamera posta al primo piano di quell’assurdo palazzone ad aspettare, ed aspettava già da molto, troppo tempo. Quanto gli sarebbe piaciuto potersi sedere comodamente, come gli altri al di fuori, nella luce del giorno, magari a giocare con i bambini col loro bizzarro cagnetto. Invece, era costretto ad attendere, senza potersi muovere, qualcosa che nemmeno riusciva ad immaginare; la sua ansia, il suo affanno, andavano crescendo ad ogni minuto.
Era stato convocato con urgenza, in quel triste luogo, tramite lettera di precetto: una di quelle agghiaccianti cartelle color ocra, che tutti temevano, le quali non contengono mai alcuna indicazione del mittente (tanto si sa chi è), né qualche dichiarazione esplicativa, che ti consenta di capire, almeno, perché diamine ti avessero chiamato. Se la ricevi, devi correre.
E il tempo, mentre stava lì a pensare, continuava a scandirsi con lentezza esasperante. Anche l’atmosfera diveniva sempre più greve. Aveva smesso, a quel punto, di guardare fuori: adesso desiderava solo che qualcuno aprisse, finalmente, quella porta maledetta, invitandolo ad entrare. Se non altro avrebbe saputo, almeno, qual’era la sorte che lo attendeva.
Il cielo iniziava, inesorabilmente, a farsi buio.
Con un tuffo al cuore, s’accorse che stava giungendo , da dietro la porta, qualcuno dai passi pesanti e decisi. Eh sì, si stava proprio avvicinando a lui, tra un po’ avrebbe aperto l’uscio e si sarebbe rivelato. Dal rumore che faceva camminando, Leonardo intuì che quella persona poteva essere, senza dubbio, un gigante spaventoso. E comprese anche, dato il tempo che lo sconosciuto stava impiegando, che la stanza dietro quel portone doveva essere senz’altro di una grandezza immensa.
I passi orribili, si fermarono proprio dietro la soglia, ne sentì provenire un respiro affannoso, proprio come il suo. Con uno scatto pauroso, come ferraglia che stride, si spalancò la porta. Apparve un uomo completamente calvo, alto più di un giocatore di basket e grosso come un bufalo: l’espressione mimica del suo volto era inesistente, i suoi occhi avevano il colore del ghiacciaio Perito Moreno, quello che si incontra andando all’estremo sud del mondo. Era proprio il luogo in cui, lo sventurato ragazzo, avrebbe desiderato trovarsi in quel momento. Con un cenno nervoso della mano, il bestione invitò Leonardo ad accomodarsi dentro, senza pronunciare alcuna parola. Egli vi entrò di corsa, non volendo nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto accadere se si fosse, imprudentemente, rifiutato di obbedire all’ordine impartitogli. L’aula che gli apparve davanti agli occhi era veramente sconfinata. Non si riusciva a intravedere il soffitto, troppo alto che, si intuiva, era affrescato da immagini rinascimentali, colorate a forti tinte e che riprendevano temi apocalittici e demoniaci.
Non sarebbe stato possibile calcolare l’ampiezza di quel salone, né la distanza tra muro e muro. Ad ogni passo, rimbombava una specie di cannonata. Col cuore in gola e sospinto dal gorilla, il povero Leonardo procedeva come un condannato. Fu condotto lungo uno squallido corridoio che gli ricordava quello delle antiche carceri, maltenuto, ammuffito, buio e molto freddo. Una morsa di nausea attanagliò il suo stomaco, la percepiva fino all’altezza del fegato. Finalmente, arrivò davanti ad una porta chiusa: probabilmente era quella la sua destinazione. Il gigante bussò con cortesia, da dentro una voce stridula, in risposta, urlò: “avanti”.
Il poveretto si trovò al cospetto di uno strano individuo di mezza età, con pochi capelli e molto unti, dalla faccia dura, come quella dei protagonisti dei film americani di gangster, o quelli dei terribili soldati nazisti, spaventosi e dall’aspetto profondamente ripugnante. Egli fece un cenno allo scimmione, che si allontanò.
Adagiato sulla sua grande scrivania, il burocrate continuò, imperterrito, a leggere e consultare delle carte. L’imputato notò che il tempo scorreva più lentamente e pesantemente di prima, mentre il suo aguzzino non accennava ad alzare gli occhi. Poi, però, alzò le spalle e si mise in moto.
Bene, bene, signor Leonardo, noi siamo qui per soddisfare la sua richiesta”, pronunciò, con tale accento che definire fastidioso sarebbe stato un eufemismo attenuante.
Leonardo non ne capì nulla. Era da tante ore che, chiuso in quel palazzo da cui sognava di evadere, si chiedeva perché l’avessero convocato. Pensò a tutte le sue azioni, a cosa potesse aver combinato senza essersene accorto. Cercò di ricordare se avesse avuto degli scheletri dentro l’armadio, se si fosse macchiato di qualcosa di orribile, come aver fatto del male a qualcuno o a qualcuna, ma la sua ricerca interna risultò sempre negativa.
Benissimo, occhèi – proseguì in un improbabile idioma anglofono l’orrendo funzionario – adesso, come vuole lei, la soddisferemo.”
Tirò fuori dal cassetto un foglio ed iniziò a leggerlo, declamando con forza:
Il giorno 20 di marzo dell’anno millenovecentonovantasei, il signor Bertoldini Leonardo, fu Mario ed Eufemia, si trovò ad esclamare, ad alta voce - verso le ore undici e trenta di quel mattino - questa frase:
mi piacerebbe proprio morire.”
Allora, Le risulta di aver detto questo?”
Leonardo non riuscì nemmeno a reagire, non si mosse. Pensò: ” ma mi hanno convocato per questo? che c’entra? e cosa vogliono? Che c’azzecca tutto ciò?”
Accovacciato in quella seggiolina di paglia, si sentiva piccolissimo, mentre percepiva l’alta figura del burocrate sopra di lui che, oltre a far paura, sembrava possedere dimensioni sovrumane. Si considerava una nullità, impotente, un povero nano insignificante al confronto di un rappresentante del potere, come Davide con Golia. L’impiegato continuò:
Bene signor Leonardo. Noi siamo qui per appagare la sua richiesta. Lo sa che Noi non lasciamo nulla di intentato, il nostro motto è: “chiedete e vi sarà dato”, aggiunse con un ghigno satanico.
Che significa? - Rispose il tapino con un filo di voce – l’ ho detta tanto per dire, quella frase, in quel momento ero disperato, dopo di allora, la mia vita è cambiata.”
A Noi poco importa, la Direzione ha acconsentito di esaudire la sua richiesta. La decisione è presa.” E mentre pronunciava queste parole, impresse un timbro, con violenza, sul foglio che aveva appena letto. Poi lo lanciò sopra una pila di altri fogli. Stava già per congedare il malcapitato, chiamando l’orango, quando Leonardo lo bloccò: “Un momento aspetti, può essere anche vero che io abbia pronunciato tali parole, in quel momento di sconforto, di tanti anni fa, ma poi, un po’ alla volta, il mio destino è cambiato.”
Il funzionario solerte, guardò verso il vecchio orologio che portava sopra il polsino della camicia, fece una smorfia come per dire che l’ora era tarda e che doveva andarsene, che aveva altro da fare, ma Leonardo proseguì: “adesso la mia vita è diventata un’altra cosa. Vede, signor funzionario, in quell’epoca ero proprio disperato. Il lavoro andava molto male ed io mi ero trovato pieno di debiti. Avevo chiesto aiuto a tutti, ma non era bastato. Le banche mi volevano rovinare e la mia azienda non valeva più nulla.
Mia moglie che amavo come un angelo, si era ammalata, era andata in depressione, piangeva sempre ed aveva deciso di andare a vivere in un’altra parte, lontana, lontana. Poi lei si spense all’improvviso ed io ne soffrii tantissimo. Non vedevo l’uscita dal tunnel in cui stavo agonizzando. Fu proprio alle ore undici e ventinove di quel giorno, che il postino mi recapitò una lettera inviatami dalla banca. In tale missiva, si sentenziava, freddamente e con parole scarse, che l’istituto di credito aveva deciso di togliermi tutto, anche la casa in cui vivevo. Ecco perché, un minuto dopo, pronunciai quella frase maledetta.”
Il funzionario si sforzava di ascoltarlo annoiato, ma si vedeva che era lontano anni luce da quei problemi e da quelle miserie: aziende in crisi, matrimoni falliti, malattie, banche usuraie, a lui che gliene fregava, con quel suo bel salario solido e fisso che gli passava la direzione?
Leonardo insistette nel suo disperato racconto: “Poi, però, le cose cambiarono. Un caro e fedele amico mi propose di associarmi con lui, visto che il mio lavoro lo sapevo fare bene. Questo mio amico era abile ( a differenza di me) a districarsi con le banche, la contabilità, la maledetta burocrazia, e aveva lasciato al sottoscritto il compito di creare, di elaborare e di produrre gli articoli che si sarebbero, poi, dovuti vendere. In poco tempo gli affari decollarono. Pagai i miei debiti, ricomprai la casa. Pur pensando, con tristezza, alla mia cara moglie che mi aveva lasciato, decisi di rifarmi una vita. Incontrai un’altra donna, giovane, che mi dette due figli, quei figli che prima non avevo avuto. Ora sto bene. Sto bene di salute, sto bene economicamente, sono felice con la mia famiglia e i miei piccolini li amo, Dio lo sa, più dei miei occhi. E’ per questo che voglio vivere almeno altri cento anni.”
Però, lei … ha chiesto espressamente …. ”
Ma ho chiesto tante altre cose, Santo Dio. Dopo quella volta che ho detto, stupidamente di voler morire, ho rivolto al cielo tante e tante altre invocazioni. Ho domandato anche, gentilmente, di vincere al superenalotto. E questo desiderio, allora, perché non lo esaudite con tanta solerzia?”
Col tempo, col tempo, Noi, facciamo tutto signor Leonardo. Una cosa alla volta. Ora, se vuole scusarmi ….”
Era sceso, in quella stanza, un gelo raccapricciante. Ma Leonardo non demordeva:
E come dovrei morire, se permette?”
Con noia, il funzionario riprese il foglio, che aveva già timbrato, dalla pila altissima e lo lesse:
La morte avverrà entro dieci giorni, in un incidente stradale. Una automobile la schiaccerà nella regione lombare, sulla schiena e sopra la testa, facendone fuoriuscire materia grigia. Penso intendano il cervello – sentenziò – è soddisfatto?”
L’uomo di potere andava crescendo di misura: pareva sempre più grande, potente ed autorevole, Leonardo era sempre più piccolo e chiuso in sé stesso.
Beh, ora devo proprio andare via” – disse l’aguzzino, lanciando uno sguardo verso il suo stupido e ridicolo orologio, indossato in quella maniera così goffa e cafona.
Per l’ennesima volta, il ragazzo lo bloccò:
Un attimo ancora, ferma, aspetta. Ai condannati a morte non è dato di esprimere l’ultimo desiderio?”
Ma insomma …” bofonchiò l’uomo potente.
Ho capito, lei non conta nulla. Lei non ha alcun potere. E’ un semplicissimo “funzionariello passacarte”, un qualsiasi impiegato statale di infima categoria, che deve solo fare ciò che gli ordina la direzione e tacere, non può proporre, né disporre. Ho pena per lei. Lei sta peggio di me, caro signor capufficio del cavolo”
Come si permette di parlare così?”- sbraitò prontamente l’uomo. Poi, però, divenne un po’ pensoso, si sentì come gli avessero rivelato di essere impotente. E questa era la sensazione che più odiava provare.
Il ragazzo continuò, apparentemente, con più dolcezza:
Io confidavo che lei potesse, almeno, esaudire un ultimo desiderio, l’estrema richiesta di una persona infima come me, ma, evidentemente non può farci nulla.”
Ma poi aggiunse a voce alta: “Lei, caro il mio dirigente del piffero, è solo uno dei tanti servi sciocchi del potere. E questo potere lei lo lecca con piacere.”
L’energumeno si alzò in piedi, diventando ancora più gigantesco, urlò: ”Sappia che io sono impiegato di categoria “AB2”, cioè sono quasi un quadro di prima classe, almeno in questo palazzo. Io, se voglio, posso anche prendere iniziative. E questa posso prenderla.”
Vuol dire che la esaudirà?”
Ci pensò un attimo, poi disse:
chiaro che sì, o morituro.”
L’impiegato, sentendosi di nuovo potente, prese una penna (sì, proprio una penna d’uccello vera, naturale) e, per dar maggior forza alla sua azione, ne conficcò la punta aguzza nel suo avambraccio. Col proprio sangue firmò:
Io, impiegato di prima classe (quasi) coi poteri conferitimi dalla Direzione, dispongo che il signor Leonardo Bertoldini, qui presente, esponga a me il suo misero, ultimo, estremo, desiderio. Sarà in mio potere esaudirlo.”
Siccome “l’ inchiostro rosso” stava per terminare, l’uomo dai capelli unti si conficcò nuovamente la piuma nelle membra, ad intingerla di altro sangue. E pose in calce, solennemente, pose la sua firma.
Leonardo rifletté ancora un momento, poi chiese, guardando il suo interlocutore dritto nelle pupille :
E’ anche indicato, nel foglio, di che colore sarà la macchina che spaccherà il mio cervello?”
Il funzionario, scocciato da tanta insistenza, ri-riprese in mano la sentenza, ci passò il naso sopra, fece una smorfia: “Qui non c’è scritto proprio nulla.”
Mi spiace di non poterlo sapere.”
E che differenza fa?”
Fa tanta differenza: visto che devo morire, ed in quel modo orribile, almeno ditemi di che colore sarà la macchina della mia morte. Non voglio conoscere quale sarà la marca di quella vettura, la sua nazionalità, il modello o la cilindrata, ma almeno la tinta sì. Dio mio, quella voglio proprio conoscerla.”
A Noi, alla Direzione, fa lo stesso.”
Siete ben strani, però, voi della Direzione: avete programmato tutto per questa operazione di morte, avete cavillato fin nei minimi particolari, ma non avete deciso il colore dell’auto. Potrei, per caso, sceglierlo io stesso? Ebbene, caro signore, sarà questo il mio ultimo desiderio. Deciso … proprio questo”
Stanco di perder tempo con quel matto, il burocrate di categoria “AB2” sentenziò, sbuffando: “Occhèi boiss, scegli tu ‘sto maledetto colore, poi andiamo via che s’è fatto tardi.”
Ma sei sicuro che la Direzione accetterà?” – chiese con un sorriso sarcastico.
Qui non c’entra la Direzione. Qui, in questo ufficio, comando io. Non vedi il mio nome scritto in oro fuori dalla porta? Sono un “AB2”, mica l’ultimo arrivato.”
Ah, sì, certo … “ – sorrise Il giovane picchiatello.
E proprio a questo punto, Leonardo Bertoldini, iniziò con enfasi e allegria, e a voce molto alta, a redigere la sua lista:
A me piacerebbe che l’auto fosse di color magenta, ma forse, ripensandoci, preferirei porpora o il rosato, detto anche ametista chiarissimo. Eppure, il mio colore preferito è sempre stato il pesca chiaro, ma non vorrei certo morire sotto un autoveicolo del mio colore preferito, no di sicuro: preferirei il salmone scuro, un po’ cremisi. E’ assai piacevole il verde acqua o il malachite, tipo il caraibi, ma un’automobile color ceruleo scuro sarebbe proprio una favola. Pensi che classe un’automobile blu baltico e pensi anche che io, signor impiegato di prima categoria, un’auto così l’ho sempre sognata. I miei sogni sono sempre colorati.”
Si, però – bisbigliò l’impiegato con un lieve filo di voce – dovrebbe sbrigarsi.”
Perché? I colori sono tanti, infiniti, il mio ultimo desiderio lo deciderò con calma. Davanti a noi c’è l’eternità.” E proseguì:
E l’indaco, il fucsia, il vinaccia chiaro, il rosa perlato, il ribes nero, lo zaffiro, il blu carta da zucchero, l’azzurro ghiaccio, il nebbia marina, il lavanda, il rosa corallo, il fiori di melo, il rubino scuro …”


Il funzionario grande, gigantesco, iniziò, poco a poco, una sua strana metamorfosi. Pensieroso e preoccupato, sembrò farsi sempre più piccolo: la sua tremenda arroganza e la sua stizzosa noia, si liquefecero in una smorfia di sconfitta e di impotenza. Il suo volto cattivo diventò bianco pallido, come la sabbia formata dalla barriera corallina: sembrava quasi diventato un “umano”, come ognuno di quelli che, tutti i giorni della sua vita, aveva costantemente perseguitato, in nome di quel maledetto potere, di quella infame burocrazia, obbedendo ai voleri di una malaugurata e disumana direzione.
Leonardo, invece, mentre snocciolava con calma l’infinita serie delle tinte, diventava un gigante. Chi era Golia e chi Davide, adesso? Anche la stanza sembrava farsi più piccola. Perfino il palazzo del potere, a ben vederlo, non era un granché: poco più di un vecchio casolare grigio topo, ormai diroccato mentre, in lontananza, sorgevano edifici modernissimi, bellissimi, coloratissimi, costruiti con immense vetrate, specchi, terrazze soleggiate, luci vive e giardini pensili.
Fuori, la nottata era passata.
Il dirigente, tristemente accovacciato alla veranda del primo piano, sbirciava attraverso le tendine color sabbia. Il tempo, per lui, passava pesantemente mentre, là vicino, un bel giovanotto, Leonardo Bertoldini, continuava a ritmare la sua poesia di colori. Il buio, nel cielo, aveva fatto posto ad un chiarore molto tinto: si trattava di una stupenda e chiarissima alba. Un fiammeggiare di violetto, rosso fuoco, rosso angelico, arancio scuro, vermiglione fino ad un blu oltremare e, poi, a seguire, verde chiaro e avocado, avevano aperto la strada ad un bel giallo canarino, proprio quello della luce del giorno.
Un po’ alla volta, i bimbi avevano ripreso a giocare con i palloni e coi loro piccoli animali; le sedie dei tavolini dei bar, pian piano, si erano nuovamente riempite. Ora erano già straripanti di gente gioiosa e vociante, che beveva e sorrideva alla vita, mentre l’aria che si respirava era divenuta assai gradevole e leggera. Riuniti in una banda variopinta, dei grossi gatti, dalle lunghe vibrisse, riposavano sulle panchine del comune, colorate in un bellissimo verde bandiera.
Intanto, lassù, nel cielo color turchino, un sole, poco più che tiepido, brillava in tutta la sua splendida armonia.





2 commenti:

  1. Mi è piaciuto molto, una scrittura corretta, fluida interessante

    RispondiElimina
  2. Cara Dani condivido il tuo pensiero. Buona domenica.

    RispondiElimina