IL GRANDE CASTELLO
Pier
– Angelo Piccolo
PROLOGO
Che fare?
Angelo sentì battere, giù al
portone del castello, due, tre colpi possenti che lo fecero
sobbalzare. Si affacciò alla grande finestra a vetrate e volse lo
sguardo in basso, nel vasto cortile immerso in una spessa coltre di
neve.
“Ugo
…?”
“Ciao
compare, non te l’aspettavi questa visita?”
In
effetti, pensò che era proprio da un tempo infinito che non
incontrava quel suo vecchio, caro, amico, tanto che, alla sua vista,
venne assalito da forti e stordenti ricordi. Date le strane
circostanze in cui si stava vivendo, Angelo era ormai pronto a
qualsiasi evenienza, non si sarebbe sorpreso nel vedersi arrivare in
casa nemmeno il re degli Unni in persona, perciò quella bella
improvvisata diventò, nel suo cuore, una gioia da godere. Ugo
rappresentava per lui, conoscendo il tipo, la migliore compagnia
possibile.
“Entra
dentro, più svelto che puoi” lo esortò l’ospite, spalancando
tutte le entrate che formavano il complicato sistema di protezione
del castello.
“Hai
ragione compare , il freddo è pungente e, fuori, la condizione non è
di certo delle migliori.”
Il
volto di Angelo, duro e pieno di rughe, si fece, a queste parole,
ancora più serio e pensieroso.
“Non
so cosa stia accadendo, sembra che le persone, in strada, siano tutte
impazzite, ho visto cose incredibili.” Continuò Ugo.
Angelo
mandò giù a fatica la saliva: “Che sarà di noi.”
Poi
si riaffacciò alla finestra sospirando.
Una
neve leggera, in quella gelida notte, era ricominciata a cadere, con
un silenzio irreale, magico e incantato.
E’ ARRIVATA LA BUFERA
Sopra le verdeggianti
alture che abbracciano la Marca gioiosa e le fan da corona, lungo la
strada che conduce verso le grandi e innevate montagne del Nord, un
castello – dall’aria nobile e maestosa- domina serenamente la
vallata del Piave, fiume sacro alla Patria.
Quando
si attraversa il lungo ponte che scavalca il suo letto, all’altezza
della Priula e si imbocca lo stradone ornato di cipressi, il maniero
vi apparirà, dopo appena pochi istanti, splendente come un miraggio
sulle colline.
Quelle
montagnole dolci - piccoli avvallamenti che paiono dune di sabbia,
ma ben ricoperte di erba profumata e fiori variopinti, vigneti ed
uliveti sparsi qua e là, dove tutto odora di buono e di pulito -
trapelano valori morali e religiosi, gioia di vivere e di lavorare,
passione per il buon cibo bagnato da ottimo prosecco, rettitudine
morale e solidità economica, amore per la famiglia e per la patria,
produttività e sicurezza millenarie. O, almeno, così si andava
ritenendo, fino a quei fatidici e tremendi giorni.
Giorni?
… in realtà era da un tempo assai più lungo, forse mesi o anni,
che la brutta storia andava avanti: una situazione che stava
diventando via via sempre più triste, dove tante belle famiglie si
sfaldavano, enormi ricchezze, consolidate nei secoli, svanivano nel
nulla, amicizie robuste si dissolvevano in pochi attimi per ragioni
da niente o sciocchezze trascurabili e la salute, specie quella
psichica, fuggiva dai corpi e dalle menti. Purtroppo ciò accadeva
anche in quelle che sembravano essere le più sane, energiche ed
illuminate. L’avevano definito col termine “crisi” questo
andazzo mal augurante, ma il vocabolo non era sufficiente a rendere
comprensibile quel che stava realmente sopraggiungendo. Di crisi che
avevano afflitto l’umanità, ce n’erano state assai, nel corso
dei secoli, ed anche molto gravi e dolorose per ogni popolo del
pianeta. Gli innumerevoli conflitti e le ostilità che avevano
straziato il Mondo intero, si erano portate dietro anche la
recessione e la miseria ma, appena finita la guerra, quelle piaghe si
erano trasformate presto in una grande opportunità: sviluppo
economico, culturale, sociale che avevano fatto godere tanta pace e
benessere a coloro, fortunati, che erano sopravissuti.
La
recessione di quei giorni, purtroppo, raccontava una storia diversa.
Non era soltanto di un problema economico, anche se gravissimo, che
si trattava: era l’essere umano stesso che si stava deteriorando,
nella mente e nello spirito. Si trattava di un crollo terribile, una
frana disastrosa. E qualcuno, addirittura, come succede in questi
casi, aveva profetizzato l’apocalisse.
Vari
e numerosi eventi si erano verificati, in quel tempo, facendo capire
all’umanità che era in atto qualcosa di irreversibile e
inevitabile: “stiamo diventando tutti pazzi, nevrotici, rozzi,
stiamo regredendo all’età della pietra e della clava” si diceva
spesso in giro, ma … altro che clava, magari! qui le armi che si
adoperavano si facevano sempre più perfette e sofisticate. Un
figlioletto ancora adolescente, un bocia come si dice dalle nostre
parti, aveva sterminato la sua famiglia in un posto qui vicino, un
tranquillo paesetto di campagna … papà, mamma e fratellini, tutti
morti. Il giorno dopo, un padre aveva massacrato la propria figlia,
soltanto perché lei aveva deciso di sposare un tale che non gli
andava troppo a genio. E poi, vi ricordate di quel pazzo che proprio
qualche giorno prima aveva condotto un camion enorme in senso
contrario, solo per il gusto sadico di investire tutti quelli che
stavano passando? Sì, proprio nell’autostrada che passa qui di
sotto. Da allora, i bisonti della strada in contromano divennero una
moda, e ogni tanto qualcuno ci provava ancora. E questi orrori
stavano accadendo in tutte le parti del Mondo, senza eccezione di
popoli, di cultura o di mentalità: troppi tristi eventi si
riproponevano quotidianamente come uno stillicidio, verificandosi
nei piccoli paesini come nelle enormi metropoli, nelle cittadine
sobrie e pulite, negli ameni borghi di provincia, in ogni più
recondita parte del globo terrestre. Fatti strani e sconvolgenti, che
si ripetevano assai spesso nelle apparentemente calme famigliole.
Episodi che, in un tempo remoto, avvenivano solamente ogni cento anni
e che passavano alla storia ispirando scrittori e registi, allora si
susseguivano continuamente , ed in tutti i santi giorni dell’anno.
Questi fatti avevano convinto moltissime persone che si trattava di
qualcosa di nuovo, irreale ed inquietante: essi non erano altro che i
prodromi di un cambiamento, pensavano in coro, di una fine che si
stava sinistramente annunciando, forse della mutazione del nostro
pianeta. E tutti aspettavano, passivamente, che accadesse qualcosa …
In
quel magnifico castello sulle colline trevigiane viveva, come
guardiano custode, Angelo, detto “il capo”, un signore sulla
sessantina, ben conscio della realtà del tempo e che si stava
preparando a qualsiasi evento tragico ed angoscioso potesse
succedere, con la forza, immane, che gli donava il suo sincero
credere in Dio. Fosse anche la profetizzata fine del Mondo.
L’inverno aveva ormai
portato la neve, eppure il clima era stato, fino a poco prima,
oltremodo piacevole. L’aria era parsa tanto nitida che si potevano
ammirare, guardando verso Nord, le grandi vette incantate mentre giù,
verso il Sole, si poteva godere, cosa solitamente assai rara per
via dell’inquinamento, la vista della dolce pianura che terminava
nella laguna di Venezia e nel mare Adriatico … e così perdurarono
le condizioni atmosferiche, per gran parte di dicembre.
Ma
qualcuno aveva previsto, e ne era stato allarmato proprio dagli
ultimi eventi, che quell’inverno appena iniziato avrebbe portato
con sé qualcosa di tremendo, di catastrofico: la fine dei tempi, di
ogni tempo. L’ immane tragedia finale era stata preannunciata
ormai da tanto, e tutte le piccole disgrazie quotidiane sembravano
non esserne altro che l’anticipazione.
Le
condizioni meteorologiche, durante l’ultimo lustro e in ogni
regione del Mondo, erano diventate imprevedibili anche per chi, di
previsioni, se ne intendeva: ogni pioggia, anche la più debole,
aveva creato disastri ed alluvioni e fratello Sole ci aveva soffocati
con temperature bollenti, afa atroce nelle città e immani incendi
boschivi. Le calamità ed i cataclismi poi, fin dall’anno
precedente, si erano susseguiti come non mai nella storia umana,
almeno quella conosciuta. L’anno in corso era iniziato con eventi
atmosferici a dir poco stravaganti: Nell’emisfero boreale il sole
sembrava essersi invertito e, anziché un freddo gennaio, si era
verificata una specie di calda e umida estate, con stranissimi
temporali e invasioni di zanzare giganti e cavallette bibliche. Ogni
mese, poi, aveva avuto una sua particolarità, portando con sé ogni
sorta di sofferenze e supplizi vari: febbraio era stato caldo e
secco, nonché portatore di siccità, marzo carico di tempeste di
neve e venti ghiacciati. Aprile era iniziato benissimo, per poi
portare uragani e alluvioni anche in luoghi che mai, a memoria
d’uomo, tali eventi avevano provato.
Nel frattempo, oltre a tali
problemi climatici, erano accaduti, per di più, fatti politici e di
cronaca mondiale abbastanza ragguardevoli.
Un nuovo e atroce attentato
negli Stati Uniti, che aveva mietuto decine di morti, specie bambini,
non era stato che l’epilogo di altri vari casi drammatici. Forse
era stato soltanto il gesto di un pazzo, il solito squinternato con
fucili di grosso calibro, forse la vendetta del fantomatico Bin, che
tutti pensavano morto e sepolto in mare, ma il cui corpo,
probabilmente ancora in vita, (non è giunta ancora la conferma delle
autorità e dei servizi segreti), era riemerso al largo dell’isola
del Giglio, splendido lembo di natura italiana, durante le fasi di
recupero di una mastodontica nave che, altro fatto straordinario ed
ancora un enigma insoluto, era fuoriuscita, in maniera inverosimile,
dalla sua rotta, ed il cui giovane e borioso capitano aveva perso, da
quella volta e forse anche prima, il lume della ragione. Ma, in
questi ultimi mesi, sappiamo, e ci siamo abituati all’idea, di come
navi, treni, aerei, automezzi pesanti, biciclette e metropolitane
siano ormai completamente fuori da ogni controllo dell’umana
intelligenza e delle severe leggi della fisica.
Siamo
stati testimoni di tanti disastri, di eccidi e macellazioni di
innumerevoli poveri disgraziati, avvenute in quei paesi in cui il
popolo si stava ribellando contro regimi tirannici decennali e
all’apparenza indistruttibili. Come quello del terribile Ahmedin
Farah, il quale aveva minacciato più volte l’umanità con i suoi
farneticanti proclami e con le sue tremende e oscure armi di
distruzione totale. Un despota che stava terrorizzando il mondo
intero ed il suo poverissimo, affamato e analfabeta popolo, zeppo,
oltretutto, di petrolio, diamanti e di altre ricchezze celate.
L’oppressore fanatico odiava ebrei e crociati (cioè i cristiani),
e si era associato ai padroni della Terra, quelli sconosciuti che
imponevano l’economia globale stampandosi, loro, i soldi di tutti,
e lo facevano al posto dei governanti eletti legalmente dai vari
popoli. Assoldando terroristi internazionali e disponendo
comodamente di un suo esercito dotato di recenti armi iper
tecnologiche, aveva giurato che avrebbe sfasciato non il Mondo, bensì
l’economia internazionale, condannando alla fame tutte le
popolazioni, così come aveva condannato alla carestia il suo popolo.
E di complici, tra la grande finanza mondiale, ne aveva trovati a
iosa. Si sa che le borse internazionali “tirano” molto di più
quando i popoli tirano la cinghia. In quell’epoca, le banche
avevano smesso di fare le banche ed avevano preso il posto dei
governi senza che nessuno le avesse elette democraticamente, come si
fa coi governanti.
Intanto
era arrivato Maggio, il mese di Maria, madre di Gesù. Non erano
pochi in luoghi in cui varie statue della Madonna, sparse qua e là
in vari borghi, nei crocevia di campagna, nelle grandi cattedrali,
avevano iniziato, veramente, a piangere. La commissione vaticana,
mobilitata per stabilire la verità dei miracoli, era andata in tilt.
Il Papa stesso, aveva iniziato ad essere stanco di fare quel mestiere
e stava pensando, primo tra i papi della storia, di andarsene ancora
prima di morire. E la Vergine di Nazareth, ne aveva tantissimi di
motivi per piangere.
Andando
verso l’estate la situazione era peggiorata su tutti i fronti. Il
clima non era migliorato: basta che ci ricordiamo le spiagge e le
coste innevate a Giugno e a Luglio e, poi, la strage ittica, cioè la
vasta moria di pesci, che galleggiavano immobili nei grandi laghi del
nord.
Poi
si erano avvertite forti scosse di terremoto dove mai erano avvenute,
col loro seguito di maremoti allucinanti ed anche eruzioni
vulcaniche. E nessuno pensò più a ricostruire sulle macerie.
I
cicloni di settembre parevano rincorrersi, come per gioco, lungo
tutto il globo, da un continente all’altro. A ottobre e novembre
tornò il caldo afoso e le spiagge si riempirono, nuovamente, di
gente ormai senza bussola.
Ed
è perciò che nessuno si stupì quando, proprio verso la fine di
dicembre, vicino alla data fatidica, il cielo cominciò a
rannuvolarsi in maniera sproporzionata, fino ad oscurare il sole.
Dopo due giorni era ancora buio.
Ma
Angelo cominciò a capire - quando s’accorse che ogni collegamento
telefonico, radiofonico, televisivo e di connessione internet erano
totalmente scomparsi - che le previsioni terribili, si proprio“quelle
previsioni”, si stavano avverando.
E l’indomani, terzo giorno
di oscurità, il 21 di dicembre, solstizio d’inverno, sarebbe
successo qualcosa, un qualcosa di spaventoso … ch’egli neppure
osava immaginare.
Ugo,
vecchio amico di Angelo e suo coetaneo, era andato a raggiungere
l’amico nel castello, non solo per fargli compagnia, ma per cercare
di salvarsi la vita. I suoi figli erano ormai grandi e la moglie era
andata da poco a visitare i parenti al suo paese, lontano. Egli
sperava che lei tornasse per Natale, ma i terribili accadimenti di
quel periodo l’avevano trattenuta. In quegli istanti, della sua
amata moglie non aveva più avuto notizie. Chissà se l’avrebbe
mai più rivista. I due uomini sapevano bene che, quel castello,
rappresentava una specie di rifugio antiatomico perché era stato
ristrutturato dalle forze americane, che l’avevano tenuto in
consegna per un certo periodo. Dei suoi segreti e delle sue segrete,
Angelo conosceva tutto. Per questo, confortato dal suo amico Ugo,
nell’imminenza della catastrofe, aveva deciso di dare una degna
ospitalità a chiunque si fosse trovato nei paraggi. Anche se, fuori
da quelle mura, sembrava non esserci anima viva.
E
così, quella sera, si affacciarono alla finestra.
Scorsero, subito, qualcosa di
strano lì sotto. Alla luce della torcia puntata tra la neve alta,
notarono, con raccapriccio, che c’erano delle macchie di sangue e
intravidero un corpicino.
Dapprima ebbero un po’ di
timore a scendere, poi corsero giù e scoprirono che si trattava di
un bambino di circa dieci anni, ma forse meno, il quale pareva morto
anche se era ancora caldo: cercarono di rianimarlo, ma non ci fu
verso. Decisero, allora, di portarlo dentro, e l’indomani, se non
ci fosse stata la fine del mondo, avrebbero chiamato un medico, cosa
che, al momento, era impossibile. Per salvare il bimbo, in quel
momento, non restava altro da fare. Angelo notò, guardando dietro di
sé, delle orme impresse sulla neve: partivano dal luogo in cui era
steso il ragazzo ed arrivavano in un punto delle mura del castello.
Era difficile che qualcuno fosse potuto entrarci dentro, da quella
parte, anche se le stesse orme dimostravano che, chi le aveva
lasciate, aveva camminato avanti ed era tornato indietro, entrando,
probabilmente, proprio dentro le sue stanze. Angelo si fermò a
pensare e, nel farlo, pose le mani sulle tempie, come faceva sempre
in questi casi.
“Che
ti sembra?” gli chiese Ugo, preoccupatissimo per quel piccolo.
“A
me pare già perso” rispose il capo. Lo trasportarono nella sala
delle armature, che si trovava giusto di sotto al salone ed ora
fungeva da magazzino. Anche quel vano era mascherato alle radiazioni
esterne, così come tutto il resto del castello. Lo deposero lì su
un lettino e, prima di uscire, Ugo, con un gesto di pietà, coprì
il volto del bimbo con un lenzuolo lindo.
Attorno
al maniero, e per molti chilometri, tra il buio, il vento gelido e la
neve, non avrebbe potuto sopravvivere nessun essere umano, anche
perché erano arrivate le tempeste che portavano radiazioni e morte,
così si diceva, e giungevano da ovest: grandi meteoriti infuocati
piovevano lontano, emettendo dei terrificanti e orrendi boati: dalle
grandi vetrate del salone se ne intravedevano le scie luminose.
Ma, nel silenzio, i due uomini
udirono dei rumori provenienti dal cortile interno: qualcuno era in
arrivo, chiedeva aiuto e non sarebbe stato l’unico.
Si
riaffacciarono nuovamente, stavolta assai più inquieti, alla
finestra
CAPITOLO PRIMO
Qualcuno e’ in arrivo
Aggiungi un posto a tavola
In
alto, dal balcone sulla torre, Ugo notò che, sotto, c’era qualcuno
che si muoveva. La intravidero vicino alla siepe, che sembrava una
pantera nera.
I suoi repentini spostamenti,
ricordavano proprio quelli di una fiera che si muove, si abbassa e
spinge in alto il suo corpo nella savana, determinata ma con
circospezione. Lei alzò i suoi occhi e guardò i due signori, che
si erano spostati dietro gli spessi cristalli della grande vetrata.
“Chi
vai cercando?” le chiese Ugo. Domanda pleonastica, data la
situazione.
“Vi
prego, aiutatemi” implorò la pantera, rivelatasi in realtà una
pecorella debole e smarrita. Si trattava di una giovane ragazza di
colore, dall’aria provata e desiderosa di aiuto soprattutto morale,
che ispirò subito, nei due, una forte tenerezza. Immediatamente si
spalancarono, per lei, i portoni del castello.
Dobbiamo
dire che quelle porte erano, in realtà, una serie di chiusure stagne
elettroniche, tecnologicamente avanzatissime, funzionavano un po’
come succede nelle banche, dove si accede in un vano e si aspetta
che, chiudendosi il primo ingresso, automaticamente si apra quello
che ci farà entrare nella sala. E ciò era dovuto, anche, al
fatto che bisognava isolare l’ambiente dalle probabili, o reali,
radiazioni esterne.
La
ragazza entrò, salì con innegabile classe il grande scalone che
portava ai piani alti. La qualità posseduta solo dalle ragazze di
certi antichi paesi, donne abituate a camminare ritte, con la testa
alta, perché impratichite a trasportare otri d’acqua per
chilometri e chilometri nei boschi , nelle savane o nei deserti.
Un’andatura che dona, ad ognuna di loro, il portamento di una
regina.
“Vuoi
mangiare?”chiesero i due uomini.
A
tale proposta i suoi occhi si illuminarono, dato che aveva appena
sentito degli odori soavi provenire dalla cucina.
“Hai
visto altre persone fuori?” Rispose di sì con la bocca piena.
“Noi
vorremmo salvare più gente possibile, perché siamo certi che chi
resta fuori stanotte, muore.”
“Tanto
stanotte finirà ogni cosa” sentenziò la pantera, sempre con la
bocca piena, ma con una freddezza che fece rabbrividire i due
sessantenni.
“I
signori che mi hanno portato qui, mi hanno detto che la tempesta ha
devastato già Vicenza e tutto lì intorno, facendo una strage, ora è
sopra Padova e la sta distruggendo. La fine arriverà presto su di
noi” aggiunse, come in trance.
La
fine del mondo arrivava da Ovest ed era preceduta da una luminosa
scia di meteoriti. Si vociferava che nessun essere vivente sarebbe
sopravvissuto alla violenza della perturbazione, né alla radiazione
cosmica portata dai corpi celesti.
“E
Venezia?” chiese con timore Ugo.
“Venezia
è già in fondo al mare”, profferì la ragazza.
L’uomo
parve preoccuparsi, mentre Angelo si sentiva morire.
Un
senso di nausea pervase Angelo, che si affacciò al finestrone
rivolto verso il sud, cioè la pianura che finiva gradatamente nella
laguna. Un vetro profondo e impenetrabile li difendeva dall’esterno
oscuro e contaminato. Notò che le luci di Venezia, di solito
visibili in lontananza, erano tutte spente. Là in fondo nella
laguna, c’erano rimaste solo melma e desolazione. Ugo stava,
invece, seduto con il mento tra le mani e sospirava con affanno.
Poi,
udirono alcune voci venire dall’esterno e, quasi festanti,
invadere il cortile del castello: si trattava di una piccola folla
che spingeva sul portone.
“Come
hanno fatto ad entrare?” si chiese Angelo, che aveva provveduto a
chiudere i portoni della cancellata. Ma, poi, pensò che quelli non
erano mai stati molto solidi, più importanza, invece, era stata
riservata all’entrata principale, cioè le porte che isolano il
maniero dal resto del mondo.
Si
trattava di un gruppo di maschi, parevano degli sbandati, dei
militari disertori. Ai vecchi che avevano conosciuto tante
esperienze , quella congrega ricordò i poveri soldati italiani nella
ritirata dell’ otto settembre. Erano sia terrorizzati e stanchi,
che felici e speranzosi per aver trovato il castello il quale,
confidavano, avrebbe potuto salvar loro la vita.
“E
allora, cos’ è sto chiasso?” Brontolò, affrontandoli con voce
stentorea, Angelo, il capo, che gli astanti intuirono come il custode
della porta celeste. Le voci cessarono con rispetto. Gli uomini
guardarono verso l’alto con timore. Una voce flebile , sommessa,
implorò: “vi prego, siamo disperati, voi rappresentate la nostra
unica salvezza. L’aria è ormai irrespirabile e le radiazioni ci
stanno già bruciando la pelle e consumando, probabilmente, gli
organi interni.”
Dall’alto
Angelo contò cinque persone. Erano tutti più o meno giovani e
giovanili, tra i trenta e i cinquanta, forse anche più anziani, di
questi tempi l’età conta poco: c’è gente che sembra avere
vent’anni di meno di quelli che ha, altri che, per abuso di droga e
alcol, per malattie o depressione, ne dimostrano trenta di più.
Apparentemente sembravano innocui. Il vecchio era conscio che il
destino e la sua fede lo obbligavano a salvare degli esseri umani,
delle vite qualunque fossero, ma sapeva anche, guardando il buio e la
solitudine che regnavano fuori da quelle mura, che tra quelle persone
si andava nascondendo, certamente, un terribile e micidiale segreto.
Ugo
fece un cenno al compare, che lo seguì nella stanza del caminetto.
“Vecio,
non consideri anche tu che, quei tipi lì fuori, non possono che
essere gli unici esseri viventi ?”
“Certo,
rispose il capo, da almeno due giorni, quasi tre, non c’è anima
viva nel raggio di molti chilometri.”
“Quindi
la pensi come me?”
“Sì
… purtroppo sì: so che uno di quelli è, senz’altro, l’assassino
del piccolo bambino. E’ questo che intendevi dire?”
“Uno
di quelli, o … forse, la ragazza che sta mangiando di là,
facciamoli parlare … lo capiremo semplicemente dalle loro parole …
e poi decideremo.”
“Cosa
significa?”
“Significa
che li interrogheremo senza che se ne accorgano. Si tradiranno e noi
sapremo chi ha ucciso il bambino. Facciamo così: Invitiamo ognuno di
loro a deliziarci con un racconto, magari la storia della loro vita o
delle loro esperienze o qualsiasi altra cosa sia interessante. La
nostra dispensa è piena di cibi e di buon vino, abbiamo tempo tutta
la notte, fino a che non verrà la fine, ad ascoltare le loro
vicende. Anche se manca completamente l’elettricità, il potente
generatore ci continuerà a fornire luce e riscaldamento. Forse
questa sarà l’ultima notte della nostra vita. la passeremo senza
pensarci e, inoltre, scopriremo il malvagio che dovrà rendere conto
a Dio per l’eternità”.
Angelo
annuì, sembrava che Ugo avesse preso la regia.
“Allora,
Angelo, comincerò io, col mio racconto, dopo di ché faremo parlare
tutti gli altri, esaminando e tenendo conto di ogni loro vocabolo.
Poi tu terminerai con l’ultima narrazione. Probabilmente, quando
sarà il tuo turno, avremo già risolto il caso.”
“Ne
sono certo.”
“Entrate”
Gridò Angelo, verso i cinque sbandati, affacciato alla finestra, da
dietro il vetro chiuso, mentre Ugo si accingeva ad azionare il
meccanismo delle porte stagne.
Quella
sarebbe stata forse, disse a voce alta mentre lo faceva, l’ultima
volta - almeno in questo lungo, millenario, ciclo del mondo - in cui
tale porta veniva dischiusa.
Lo
stanzone era caldo e accoglientissimo. Alcuni di loro mai avevano
visto, in tutta la loro vita, un lusso simile, una sala così
piacevole ed ospitale. C’erano, sparsi qua e là, divani in pelle,
poltrone confortevoli con soffici cuscini colorati ed intarsiati. I
quadri alle pareti, di autori antichi e famosissimi, valevano da
soli una fortuna. Il caminetto era meraviglioso e, qualcuno pensò,
chissà quanti fortunati si saranno scaldati davanti al suo fuoco in
questi secoli. Ma ora era chiuso e sigillato per paura della
contaminazione esterna. Tutta la parte abitabile era stata isolata.
“Stavate
tutti assieme?” – chiese Ugo ai nuovi arrivati.
“No
– rispose uno – sono stato allertato da un gruppo di persone che
mi hanno offerto di fuggire dalla pianura che, mi avevano detto, era
a più alto rischio di contaminazione. Ognuno di noi è stato salvato
dalla gente che scappava.”
“
A me avevano detto che
Venezia, - affermò un certo Pedro -probabilmente era già scesa,
assieme a tutte le sue millenarie bellezze, nel fondo degli abissi.
Allora siamo scappati verso la montagna.”
“Un
gruppo di uomini con gli occhiali scuri, forse della Protezione
Civile, mi hanno caricato alla svelta – continuò un altro che
diceva di chiamarsi Samuele – e mi hanno urlato che dovevo scappare
e rifugiarmi in un luogo sicuro, anche se io non penso che ci possa
essere un luogo sicuro per sfuggire alla fine del Mondo. Hanno
accennato che io sono stato prescelto, che vorrà mai dire?”
Risultava
che tutti erano stati caricati in automezzi vari e condotto qui da
altre persone che ora, misteriosamente, erano scomparse.
Probabilmente ciò era dovuto al caos generale che si viveva fuori da
quelle possenti mura.
“Io
no” – affermò Gionni, un giovane con poca barba – “Io non
stavo con loro.” Si fermò un po’ per pensare, un po’ perché,
forse, si vergognava di dire la verità. “Io … vengo dal Nord, da
Ponte nelle Alpi, dove mi ero rifugiato in un grande casolare vecchio
e abbandonato, isolato da tutto. Io … sono uscito dal carcere di
Belluno dove ero rinchiuso, vi giuro, per errore del giudice.”
Si
sa che, in quel periodo, i giudici sbagliavano spesso. Era sempre
successo, certo … di geni giuridici come Salomone ne nascono pochi,
al giorno d’oggi. Però tutti faticarono a credere alle
affermazioni del ragazzo.
“Tre
giorni fa il carcere fu colpito da un meteorite (anche se non me ne
ero accorto, però mi hanno assicurato che era vero), mentre alcune
scosse di terremoto mettevano in ginocchio la città di Belluno. Gli
agenti prima di scappare, hanno aperto, automaticamente, tutte le
celle. Un’ auto mi ha portato fin quaggiù. E adesso sono con voi.”
Tutti
gli altri stavano cominciando a raccontare la propria storia, in una
caciara insopportabile, non certamente in stile con la seria
atmosfera della sala e con l’ambiente raffinato e severo che li
ospitava.
“OK,
OK ragazzi” – Li fermò Ugo – “Adesso mangiamo e ci
rilassiamo, per quanto ci è possibile, poi ognuno di noi, con calma
che tanto abbiamo tutta l’eternità (umorismo inglese e amaro),
racconterà la propria storia. Ma prima giurate con le mani sopra
questa Bibbia che, nel raccontarci le vostre storie, non direte mai e
poi mai il falso.”
Si trattava di un pesante
volume dalla copertina d’oro massiccio, dentro erano raffigurate le
scene dell’Antico Testamento, sicuramente ogni lettera era stata
incisa dai monaci che qui avevano dimorato nel seicento. Il suo
valore era inestimabile. Tutti giurarono con una mano sul tomo ed una
sul cuore.
Dalle
cucine Angelo portò fuori ogni ben di Dio , aiutato da Serena. La
dispensa del maniero era ben fornita e avrebbe potuto soddisfare
molti palati e per vari mesi. Intanto arrivarono la bruschetta con i
pomodorini e l’aglio fresco, vari formaggi e non erano che
l’antipasto, il resto stava cucinando. I profumi si sparsero per la
sala da pranzo e il prosecco doc, di cui i padroni del castello
furono per anni produttori, era fresco al punto giusto e frizzante.
“Gustatevi
queste buone cose, amici e non pensate al prossimo futuro. Quando
avremo finito e saremo sazi, vicino al fuoco (finto) del caminetto
elettrico, inizieremo a raccontarci le nostre vicende e lo faremo per
tutta la notte, senza sosta” disse Ugo con ritrovata tranquillità.
Gli ospiti furono ben lieti di questo programma, ed iniziarono a
mangiare come ad una festa di fine anno.
Posò
il calice dal quale aveva sorseggiato con piacere e proseguì:
“Domani, chissà cosa sarà, potrebbe scendere su di noi, forse, la
notte eterna … Il primo a raccontare, se non avete nulla da
eccepire, sarò io e, con la mia storia, vi stupirò … “
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