venerdì 30 agosto 2019

IL GRANDE CASTELLO ( 3°Capitolo )


Siamo la razza nera
Il racconto di Serena,
sopravvivere a tutto,
anche all’Africa


Non c’e’ nulla in grado di dimostrare
quale sia la vera anima
di una societa’
se non il modo in cui
i bambini vengono trattati”
Nelson Mandela










Mi spiace per voi, uomini bianchi.
Il mio dolore è grande, perché ho capito che, le vostre ore, sono giunte al termine, così com’é tutti per noi, che però soffriremo di meno.
Non che la nostra morte sarà meno dura, il fatto è che noi, neri africani, siamo abituati e preparati ad ogni genere di mali, sofferenze, strazi, supplizi e pene.
Da quando sono nata, ho cominciato a conoscere il dolore. Ho perso prestissimo mio padre, che amavo immensamente e con tutto il mio cuore, quando ancora non avevo compiuto sei anni. Faceva il poliziotto, il mio grande papà, ma non come si usa in Africa, che quando arriva il primo pericolo ci si toglie di dosso la divisa e la si pone, con cura, in un sacchettino di nylon, finché passa il “mal di pancia”, cioè il pericolo.
No, lui lo faceva sul serio. Quel mattino maledetto io lo avevo abbracciato e l’avevo stretto forte a me, non avrei voluto mai che andasse via.
Partì da casa accarezzandomi i capelli e sbaciucchiandomi, baciando me più di tutti, anche se eravamo in otto fratelli.
La maledetta mafia africana lo fece sparire per sempre, di lui non si seppe più nulla, della mafia infame ancora meno. Già la vita, nel continente nero, è dura per una bambina in una famiglia numerosa. Figuratevi quando muore il padre. Mia madre fu anche troppo brava, ci fece studiare e ci seguì, io andai a vivere con mio nonno in un villaggio senza alcun segno di civiltà, ma meraviglioso, per un po’ di tempo, dopodiché tornai in città e feci la maestra d’asilo, ma ad una certa età dovetti decidermi, come fanno tutti da queste parti, a prendere il largo.
Le proposte furono molte ed allettanti: i trafficanti di corpi umani sono degli ottimi venditori, se ti dicono che basta portare un regalo a qualcuno in Europa ti propongono lo spaccio di droga, se ti convincono a fare la modella ( e magari incontrare uomini facoltosi) significa che ti devi prostituire per le squallide strade delle periferie, nelle città del Nord.
Io chiamavo sempre al telefono il mio fratello maggiore, che nel mio paese, a Slave City, aveva fatto il direttore bancario e che era, presto, emigrato in Svizzera dove, chiedendo l’elemosina fuori dai supermercati, guadagnava molto di più del suo onorario da direttore di filiale. E ciò gli bastava per spedire tanti soldi e mantenere la sua famiglia al paese. Mio fratello parlava bene della Svizzera: me la descriveva come un paese pulitissimo, pieno di alte montagne, laghi, e gente tranquilla.
Aveva trovato il suo paradiso e aveva dimenticato l’Africa che, chissà perché, tutti gli occidentali considerano meravigliosa. Lui mi mise in contatto con un paesano, suo amico, che riuscì procurarmi un falso visto per il paese europeo dove sarebbe stato più facile entrare illegalmente: l’Italia. Questi mi propose anche di portare un bel po’ di roba da sballo, che in Italia avrebbe fruttato parecchio. “E dove dovrei mettere tutta quella droga?” Chiesi arrabbiata e offesa. Lui rispose semplicemente fissando il mio seno prosperoso.
Arrivai qui in occidente verso la fine del millennio. Il paese che incontrai non era poi tanto male. L’Italia era bella e civilissima, in confronto all’Africa poi, pareva un vero e proprio paradiso: la gente era ancora buona e lo Stato mi aiutava in tutto, anche se ero ancora clandestina. Roma, poi, era bellissima. Ma poi, pian piano, le cose cambiarono e andarono velocemente peggiorando. Avevo sperato troppo e ingenuamente nell’aiuto di mio fratello in Svizzera, ma era lui a chiedere insistentemente sostegno a me.
I pochi e veloci lavoretti da fare in “nero” (così lo chiamate voi), come lavapiatti, pulizia dei grandi magazzini alle quattro di mattina, assistenza a vecchietti ecc. ecc. erano sempre più difficili da trovare e da conservare. La concorrenza, specie dalle donne provenienti dall’Est, era fortissima. Tutti i giorni in autobus, in treno, per la strada, i maschi mi fermavano, mi toccavano il seno o il sedere, mi facevano proposte oscene, anche mostrandomi bei fogli di soldi. Perfino le donne bianche mi desideravano.
Una, addirittura, mi propose di essere il regalo di compleanno per suo marito. Doveva volergli molto bene.
In quei giorni incontrai un africano che giurò di amarmi. Rimasi molto tempo con lui, finché non mi propose di prostituirmi o, almeno, di spacciare un po’ di droga: “E’ in questo lavoro che noi africani siamo forti ed imbattibili” diceva sempre. Al mio rifiuto pensò bene di ricattarmi. Già aveva telefonato alla sua perfida madre in Africa, la vecchia strega del villaggio vicino al mio, e le aveva imposto di torturare la mia famiglia. Resistetti finché il mio malvagio amante non venne arrestato dalla vostra brava polizia e, fortunatamente, rispedito in Africa. Siccome io la feci franca, egli pensò che l’avessi tradito. E so, per certo, che tutte le disgrazie capitate alla mia povera famiglia, sono il diabolico frutto della sua vendetta.
Poi incontrai un ragazzo italiano molto buono, Gigi, che si innamorò di me e non del solo mio sesso esuberante, dei miei seni rigogliosi, delle mie forme africane no, si innamorò della mia anima. Con lui fui felice per qualche anno ed Egli non mi fece mai mancare niente di ciò che avessi desiderato. Luigi faceva il medico, era bello e intelligentissimo e si recava spesso all’estero per compiere missioni umanitarie. Aveva conosciuto bene anche il mio paese, perché c’era stato laggiù, quando era un giovane dottore alle prime armi, a curare i malati di lebbra ed i bambini abbandonati dalle famiglie per una orribile superstizione. Avremmo dovuto sposarci molto presto, io e Lui.
Poi, rammentai ancora, se ce ne fosse stato bisogno, di come il destino potesse essere inesorabile.
Bastò, semplicemente, che un operatore inetto si dimenticasse di abbassare le sbarre del passaggio a livello, proprio quando transitava il mio uomo con la sua macchina. Il dolore non mi è ancora passato e mai mi passerà. E, da lui, mi accorsi di aspettare un bambino.
Poi trovai altri italiani e, pensando che fossero buoni come il mio amore perduto, mi detti a loro col cuore, ma si comportarono ben presto anche loro come i peggiori africani.
Uno di loro cercò di ammazzarmi quando me ne andai fuggendo, un altro mi portò, una sera, in un club dove cercarono di possedermi tanti altri uomini. E molti, in seguito, usarono violenza contro di me.
Quando nacque il mio bambino, bianco e ricciolino, rappresentò per me la cosa più bella di questa povera vita, ma ben presto le cose peggiorarono, non trovai lavoro, non trovai aiuti e il piccolo mi fu portato via dagli assistenti sociali. Mi ritrovai sperduta in mezzo ad una strada in un paese che non era il mio, odiando ancor di più la mia Africa. Pensai, addirittura, di uccidermi e, prima ancora, di regalare la morte al mio piccolo, affinché non dovesse soffrire, nella sua vita, come ho sofferto io nella mia. Eppure dei segnali, un qualcosa di impercettibile e di inspiegabile, mi avvisava che qualcuno, di nascosto, mi stava aiutando : a volte avevo rinvenuto della somme di denaro appoggiate in terra proprio vicino a me, altre volte avevo trovato sulla mia strada dei beni che mi servivano, cibarie, cose di cui necessitavo esattamente in quel momento.
Ugo guardò Angelo. Entrambi pensarono, ma se lo dissero dopo, che l’idea di uccidere il bambino potesse averla avuta poco prima. Ugo aveva notato, e lo aveva fatto constatare anche ad Angelo, che il piccolo, trovato esangue nella neve, possedeva dei tratti somatici che potevano far pensare ad un mulattino .
E se fosse stata lei la assassina del ragazzo, del suo bambino?
La ragazza nera continuò il racconto con veemenza.
Ricordatevi, cari italiani affabili e popolari, cristiani e buoni di cuore, che i neri non sono tutti onesti e ingenui, non sono “il buon selvaggio” di cui blaterano i filosofi. Rammentatevi che loro partono dal continente nero con una idea in testa: rubare a voi la vita il più possibile, distruggere l’uomo bianco …
Sì, proprio così: annientare l’uomo dalla pelle candida e la sua civiltà, questo ribadivano tutti gli uomini presenti nella nave, quella in cui mi sono imbarcata per venire in questo posto. L’uomo bianco che da tanti e tanti anni li schiavizzava. L’uomo chiaro ricco e forte e potente, assai invincibile ed arrogante.
Ma, forse, oggi questo uomo è solo un capro espiatorio, serve per far dimenticare la loro superstiziosa ignoranza, la loro invidia puerile, i loro riti ancestrali assurdi e per obnubilare i crimini dei loro governi “indipendenti”, ladri ed assassini … capri espiatori, tale e quale è rappresentato dagli ebrei d’Israele per le masse arabe oppresse e schiave dei loro sultani.


Ma tu, il figlio, l’hai più cercato veramente?” Chiese d’improvviso Angelo alla giovane donna.
Sì, l’ho sempre inseguito e, proprio in questi ultimi giorni, ho ricevuto una lettera che mi ha invitato a venire qui, dicendomi che l’avrei incontrato, mio figlio e che, poi, avrebbe sempre vissuto assieme a me. Forse uno scherzo, ma certamente di pessimo gusto.”
Angelo ed Ugo rimasero a bocca aperta, pensierosi, cercarono di afferrare questo passaggio. Ma chi potrebbe esser stato così cinico da aver spedito quella lettera, una strana e oscura missiva, alla povera donna … e perché l’invito indicava proprio qui, questo castello? La domanda era troppo difficile ed l’arcano si faceva sempre più complesso.
Forse, in un momento di follia e di depressione, pensò dentro di sé Angelo, con più realismo, Lei potrebbe aver commesso il crimine, ed aver ucciso il suo piccolo, quel bambino riccio, bellissimo, il figlio che non voleva lasciare ad altri.
Cosa ne pensi, Ugo?”
Ne capisco ben poco. La donna sembra sincera e molto innamorata del suo bambino, ma il suo equilibrio psichico, in questo momento, non si può definire tra i più stabili e sicuri. Una cosa è certa: le orme che portavano al castello, provenienti da luogo del crimine, non mi parevano essere di un piede piccolo e femminile. Comunque, caro Angelo, abbiamo rilevato in modo corretto l’impronta, dopo la studieremo.”
No, lo so per certo, Serena non ha mai ucciso nessuno. Lei è una che racconta tutto, le sarebbe impossibile nascondere qualche terribile verità. Dai amico, torniamo ordunque dai nostri ospiti. ”
Quando furono rientrati nel salone, s’accorsero che, nel frattempo, la festa si era animata. Tutti parlavano ad alta voce. La tensione dell’ultima notte sembrava svanita nel nulla, ma così, di certo, non era.
Ugo rimase a guardare la donna, Angelo entrò in cucina e vi uscì dopo poco, con in mano un vassoio pieno di spaghetti al sugo di carne macinata di manzo, mista a capriolo e salsiccia di casata. Invitò a servirsi ed a spolverare il tutto con del parmigiano che si trovava sopra il buffet.
Porgendogli il piatto cortesemente, invitò Roberto:
Prego, caro, continua pure tu. Raccontaci di quello che vuoi, liberamente.”
Roberto aveva già infilato il forchettone d’argento sul piatto fumante, lo aveva odorato con classe, ne aveva assaporato la fragranza con molta soddisfazione. A quel cortese invito, prese un po’ di tempo, sorseggiò il vino bianco da un calice lungo, deglutì, si asciugò col tovagliolo bianco, d’un bianco come era la neve fuori, e si sedette più comodamente.
Poi iniziò a narrare, al gruppo già pronto e attento, le sue strampalate e tragiche avventure.



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