Ci sono persone che ti piacciono perché le stimi,
altre perché sono intelligenti,
altre perché sono belle.
Ci sono quelle di cui apprezzi l'ironia,
la spontaneità,
il coraggio.
Ci sono quelle che ti stupiscono con un gesto,
quelle su cui puoi contare sempre,
quelle che ti insegnano qualcosa.
Ci sono persone che ti piacciono per come si muovono,
per il tono della voce,
perché sanno raccontare le cose.
Ci sono quelle che ti conquistano con la determinazione,
con la bontà,
con il talento.
Ci sono esseri umani che ti illuminano,
che hanno il tuo stesso sangue.
Ci sono gli amici che scegli,
quelli che ti deludono e perdoni,
quelli grazie ai quali cambi,
quelli per cui non cambi mai.
Ci sono persone che senti.
E non necessariamente sono queste cose,
forse ne sono alcune, a volte nessuna.
Magari non sono perfette,
non sono infallibili e sbagliano tutto.
Eppure sono le persone che senti.
Quelle che sembra che qualcuno vi abbia sintonizzato
sulla stessa frequenza radio
in un tempo in cui la radio non esisteva ancora.
S. Bottaro
venerdì 31 luglio 2020
Ci sono
lunedì 27 luglio 2020
Racconto
Nostalgia del futuro
di
Pier Angelo Piccolo
Attraverso
le spesse lenti del binocolo, appoggiato con la pancia a terra
dall’alto del colle, Fulvio scrutava i grandi movimenti a fondo
valle.
“Ormai
– disse, rivolgendosi con calma a Roberto, in piedi e lí
vicino – gli ultimi tedeschi se ne sono andati, probabilmente non
li vedremo piú,
mai più.
Che tornino nelle loro tane, noi possiamo ritornare al casolare e
presto torneremo nelle nostre case.”
Tedeschi
in fuga, le bestie terribili, orde selvagge, scappavano come maiali
impazziti mentre, da lontano, stavano sopraggiungendo gli eserciti
liberatori. Finalmente, la guerra era al termine del suo percorso di
morte, sofferenze e sangue, quello innocente e quello colpevole.
Scendendo
lungo il tratturo sulla collina, Il passo dei due giovani, nel
raggiungere la loro brigata, era rilassato e i loro occhi erano pieni
di futuro e lo vedevano e prevedevano tutto, radioso e felice, non
come avvenne alla loro giovinezza.
Ma,
d’improvviso, udirono un terribile fischio, uno sparo dietro di
loro.
Un
proiettile sfiorò
la spalla di Roberto. Non fece in tempo ad imbracciare il fucile, che
un soldato tedesco dietro di lui, comparve all’improvviso e li
minacciò
di morte.
“Fermi,
immobili” intimò
sbucando dal bosco, egli parlava un italiano quasi corretto, dopo di
lui arrivò
un altro soldatino nazista, con la pistola in pugno.
I
due ragazzi furono presi in modo orrendo e portati verso un autocarro
nascosto, perfettamente, nella scura boscaglia.
“Entrate
qui dentro, banditi italiani e pregate per l’anima vostra. Siete
arrivati. La vostra vita finisce adesso, ma prima dovrete soffrire.”
Fulvio
e Roberto videro infrangersi, angosciosamente, i loro sogni, la loro
vita, l’avvenire del mondo.
Un
lungo brivido di morte percorse i loro giovani volti, quando, una
volta entrati nel cassone del veicolo, si accorsero che questo era
pieno di bare, orribili casse da morto in legno scuro. Due di queste
erano scoperchiate e aperte per loro.
”Entrate
schifosi e vigliacchi traditori italiani, queste sono le vostre bare.
Qui passerete l’eternità,
dopo che vi avremo torturati e uccisi.”
Fulvio,
con le mani legate dietro la schiena, fu invitato a sedersi dentro la
sua triste cassa mortuaria, ma Roberto si ribellò
e iniziò
a divincolarsi, mentre Karl, il tedesco che parlottava italiano,
stringeva il legame e lo bastonava col calcio del fucile. Otto,
l’altro nazista che sembrava piu’ cattivo, se mai si può
esser piú cattivi di un altro nazista, gli
aprí
la fronte col calcio della sua pistola e lo distese nella bara a lui
destinata. Con orrore del ragazzo e davanti allo sguardo terrorizzato
di Fulvio, venne chiusa la bara e sigillata immediatamente, mentre le
urla del malcapitato avrebbero raggelato il sangue a chiunque.
Ridendo
e cantando le loro orribili litanie, i soldatini misero in moto il
camion e partirono verso nord, verso le loro fredde e barbare terre.
I
due tedeschi guidavano veloce e bevevano birra. Le strade erano
sgombre e pensavano o speravano che, in meno di mezza giornata,
avrebbero raggiunto la coda del loro esercito in disfatta. Una armata
di folli che, dopo aver messo a soqquadro la penisola italica e il
mondo intero, tornavano sconfitti, cornuti e bastonati al loro paese
distrutto dall’aviazione alleata.
Karl,
alla guida dell’automezzo, freno’ di colpo quando vide un albero
a terra che invadeva mezza carreggiata, Otto si verso’ la birra sui
calzoni. Cerco’, a bassa velocità,
di evitare il tronco, sterzando a sinistra.
Fu
a quel punto che un proiettile infranse il vetro del cruscotto. I due
si toccarono per vedere se fossero stati feriti. Si trovarono
circondati da tre banditi col fazzoletto azzurro sulla bocca, un uomo
altissimo e con il mitra puntato sui loro denti, gli intimo’ di
uscire.
I
tedeschi vennero fuori dall’abitacolo piú
che terrorizzati.
“Cosa
trasportate dietro, nel cassonetto. Ci sono altri soldati?” Chiese
l’uomo col fazzoletto azzurro al collo.
Dal
terrore non seppero rispondere. Otto sentí,
dentro i suoi pantaloni già sporchi di birra, anche i suoi
escrementi liquidi.
Le
urla di Fulvio richiamarono il capo brigata, mentre gli altri due
legavano i tedeschi come salami.
“Antonio
- urlò Fulvio - Presto, liberate Roberto che sta per soffocare
dentro la cassa.”
Antonio
era il capo della brigata “Doman”, che in dialetto veneto furlano
significa “Domani”, ma anche il cognome di Eugenio Doman, il lor
ex comandante, torturato a morte dai tedeschi e dai repubblichini
l’anno prima.
Dopo
aver sistemato i soldati nazisti, gli altri due partigiani, Salvatore
e Menego, andarono a liberare i loro due commilitoni di brigata.
Fulvio fu liberato all’istante con un affilato coltello che recise
le corde alle mani, ma l’apertura della cassa fu un tantino piu’
complicata.
I
due ragazzi non poterono trattenersi dal ridere quando, una volta
aperta la cassa videro il volto stravolto del loro amico, che già
aveva i capelli bianchi e sangue a fiotti.
Roberto
uscí dal suo sepolcro e andò a prendere a calci sugli stinchi i due
tedeschi. Egli stesso prese Otto, quello che se l’era fatta addosso
dalla paura e lo mise dentro la bara e, senza l’aiuto di nessuno,
lo chiuse dentro, mentre quello urlava terrorizzato e vomitava.
Si
impossessarono del camion e delle casse da morto.
Adesso
si tornava al campo dei partigiani. Dopo cinquecento metri, però,
fu lo stesso Roberto a fermare il camion e a liberare il tedesco
chiuso nella cassa.
“Non
fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.” Ripeté a
se stesso, citando le parole di un Signore nato 1945 anni prima. Ma
soprattutto non volle che altri esseri umani provassero gli orrori e
la paura che egli ebbe modo di provare prima.
Quando
il camion giunse al campo base, tra le montagne friulane, gli altri
uomini della brigata vennero ad aiutarli a sistemare i prigionieri e
a chiedere cosa fosse successo.
Antonio
aprí una delle bare che stavano nell’autocarro, destinate in
Germania, per vedere cosa contenessero. Impallidí quando si accorse
che quella bara, come tutte le altre, era piena di armi da fuoco,
mitra, fucili, granate, bombe modernissime, proiettili.
Antonio
si mise subito, allora, in contatto con i capi azionisti, ma seppe
che avrebbero dovuto aspettare la decisione dei delegati riuniti in
curia, dove stavano incontrando il Patriarca della citta’. La
decisione che presero non piacque ad Antonio. Gli venne detto di
aspettare l’arrivo di Giuseppe Montanari con la sua brigata di
confine. Sarebbero stati loro a prendere in consegna le armi trovate
nella cassa da morto.
Ad
Antonio non piaceva Giuseppe. Sapeva che la brigata comunista che
comandava, aveva rapporti con i partigiani che stavano al di là
dell’ Italia.
Conosceva
i loro metodi e le nefandezze che combinavano e non solo contro i
militari dell’esercito nemico. Soprattutto, era venuto a sapere che
Giuseppe prendeva ordini non dalla Resistenza italiana, per quanto
anche socialcomunista, ma direttamente dalla dirigenza sovietica.
Forse da Stalin in persona.
Ma
a lui che importava? Quelle armi non avrebbero potuto tenerle loro,
una manciata di partigiani disorganizzati e poco assistiti dal
comando. Avrebbe aspettato che fossero venuti a prenderle e a
portarsi via quelle casse da morto.
Intanto,
c’era da pensare a cosa fare dei due prigionieri tedeschi e
organizzare il prossimo rifornimento di viveri.
Di
solito era Salvatore, il piú giovane, a fare la staffetta con il
paese e procurarsi le vivande che molte famiglie e contadini
mettevano a disposizioni di quei partigiani, tanto diversi da altri
gruppi di Resistenza, avezzi a prendersi da soli il cibo dalle povere
famiglie contadine e senza ringraziare.
Salvatore
veniva dal Sud della penisola. Si era trovato in terra di Friuli
quando l’esercito si era sbandato per colpa del Re d’Italia che,
montato in macchina, era scappato al meridione, abbandonando il
popolo italiani ai casi suoi e alle angherie dell’esercito dei
nazisti.
Non
sapeva come stessero i suoi, il giovane, ma era informato che i
tedeschi se ne erano andati presto dalla sua cittá.
Nel
campo base, tra le montagne franose di Osoppo e lungo il fiume
Tagliamento, La brigata Doman operava in maniera intelligente e mai
crudele, la popolazione aveva molta fiducia di loro e del capo,
Antonio, un vero intellettuale e politico raffinato, orgoglio della
intelligenza italiana. Uno che avrebbe fatto la differenza nella
classe politica dell’Italia risorta, se mai fosse risorta.
Roberto,
non ancora ripresosi dalla mezza sepoltura, passava le giornate a
parlare coi due giovanissimi tedeschi, vedendo come,
sorprendentemente, ascoltavano le sue belle parole di cristiano
liberale e illuminato, i suoi insegnamenti e si rendevan conto, ogni
istante di piu’, di quanto orribile e insulsa fosse stata
l’educazione fino ad allora impartitagli dai gerarchi nazisti.
Capirono
che basta poco per iniettare odio, ma ci vogliono menti e anime come
quelle di Roberto o di Antonio per insegnare l’Amore e la Libertá.
Menego
e Fulvio, forti boscaioli, erano quelli che raccoglievano altri
partigiani tra le persone disperse. Furono loro a reclutare Paolo e
Marco, due ragazzi ebrei scampati alla strage della loro famiglia e
un loro zio, che i due chiamavano cosí, ma che, dalla grande Cultura
che professava, Antonio sospettava fosse stato un importante rabbino.
Qualche
giorno dopo, Menego era tornato dal bosco a fare legna, quando
incontrò i due giovani ragazzi spaventati e l’uomo. Gli chiesero
aiuto e gli dissero di essere scappati da un treno nazista fermatosi
alla stazione di un paesino lí vicino per far acqua, che si stava
dirigendo, carico di tutti i loro amici e i loro parenti di religione
ebraica, verso il confine austriaco. Con loro stava un giovane russo,
che ancora nessuno aveva capito come fosse arrivato lí.
Menego
li condusse con sé al campo dei partigiani, sicuro che spie, almeno,
non avrebbero potuto essere.
Bella
e strana la brigata “Doman”, che Antonio definiva “la Nostalgia
del futuro”, fatta di guerrieri che tutto avrebbero voluto, fuorché
la guerra, ma tanto i migliori combattenti sono quelli che anelano
alla pace.
La
sera passava tranquilla al casolare, bastava un uomo di guardia che,
tanto ormai, pochi rischi si sarebbero corsi.
Eravamo
già ad Aprile e il 1945, anno stupendo, avrebbe sicuramente portato
la Pace.
Seduti
fuori, anche se non faceva tanto caldo, nell’aria piena di
speranza, gli uomini si raccontavano le loro storie e si discuteva
degli anni che sarebbero arrivati.
Juri,
il ragazzo russo, raccontò la sua storia a tutti. Egli non aveva
nessuno che lo aspettasse in Russia e i suoi erano stati uccisi da
Stalin durante uno dei tanti repulisti staliniani.
Aveva
deciso di scappare dall’Armata rossa, dove prestava servizio
insieme ai partigiani titini, mentre la sua armata era andata a dar
man forte al confine italiano. Poi appena riusci’, scappo’ in
italia attraverso i monti e si era venuto a trovare in quelle lande.
Li’
aveva incontrato gli altri due e si erano messi insieme a cercare un
rifugio.
I
due ragazzi ebrei con lui, erano Giacomo e un tipo molto strano,
Andrea, che parlava pochissimo e dimostrava una timidezza esasperata
lo zio. I tre disperati sembravano terrorizzati da tutti e
raccontarono come furono caricati, in quel treno, dai soldati.
Dissero, tutti loro, di non ricordare nemmeno da quanto tempo
vagassero per i monti.
Si
Parlava di Cultura e di Arte e Antonio teneva vere e proprie lezioni
universitarie ai suoi uomini. Anche i due tedeschi ne erano
catturati.
Quando
parlò il grande rabbino, con i racconti che fece e che lasciarono
tutti a bocca aperta, si capí che, in quel casolare, c’era un
grande concentato di conoscenza e saggezza.
La
notte si andò a dormire tranquilli. Solo Salvatore, affascinato da
Andrea, volle stare vicino a parlare. Gli sembrava di averlo sempre
visto. Subiva il suo fascino e non ne capiva il perché.
Fuori
frinivano le cicale e le stelle brillavano particolartmente. Dopo due
ore che i due parlavano, Giacomoche sembrava dormisse, si rivolse ad
Andrea, sussurrando:
“Diglielo
pure.” E si voltò a dormire.
Cosa
avrebbe dovuto dirgli?
Come
risposta, Andrea diede un bacio in bocca a Salvatore. A lui piacque
moltissimo. Poi sentí in Andrea un certo rigonfiamento al petto.
“Sono
una ragazza - gli disse senza togliere la lingua dalla bocca –
baciami, mia mamma mi ha vestita da uomo per non farmi violentare dai
tedeschi.”
Cosí,
mentre fuori il mondo si faceva la seconda guerra mondiale e i
partigiani nel casolare dormivano russando sottovoce, i due ragazzi
facevano l’amore, la cosa piú bella del mondo.
Al
mattino presto, Fulvio, che era di guardia, svegliò i suoi amici.
Rombavano
in lontananza i mezzi dei partigiani rossi, che cantavano
“L’internazionale”, venuti a prendersi le armi.
Tutti
vennero fuori a guardare.
Uscí
saltando dal Camion il capo, Giuseppe Montanari, alto e forte, due
spalle enormi, sembrava il Maresciallo Tito. Antonio lo salutò e lo
accompagnò al camion con le armi nelle bare, sperando che se ne
sarebbe andato al piú presto. I compagni erano tutti alti, forti,
armatissimi e guardarono con scherno la strana brigata “Doman” di
cui tutti avevano sentito parlare.
“Ciao
Antonio – gli disse guardandolo con sfida – allora? So che i
libri che scrivi piacciono a tutti. Tra poco la guerra sará finita e
ne venderai tanti, sarai ricco.”
“Lo
sarei giá – ribatté Antonio – se non avessero cominciato a
bruciarmeli”
“Eh
i nazisti” Disse Giuseppe.
“Anche
i comunisti” Rispose, togliendogli il sorriso dalla bocca.
In
realtà, gli scritti di Antonio denigravano ogni forma di
totalitarismo. Non piacevano né ai fascisti, né a molti comunisti.
Era
riuscito a farli pubblicare e a passare ogni confine. In America
erano arrivati, i suoi scritti e i suoi saggi fantastici, terra della
Libertà. Anche se molte cose, Il grande Antonio contestava, pure di
quella meravigliosa e ricca società. Ma gli americani lo conoscevano
benissimo e lo avrebbero voluto con loro e da molte parti si parlava
di un premio Nobel per lui.
Anche
nel futuro governo italiano lo avrebbero voluto tutti, forse anche
molti comunisti. Ma non Giuseppe Montanari.
“Signor
Comandante guardi. Compagno Giuseppe abbiamo trovato costoro.”
chiamò ad alta voce uno degli uomini.
“Che
c’é?”
“Questi
della “Doman” hanno con loro due tedeschi catturati e non ci
dicono niente. Oltretutto a piede libero.”
Roberto
disse che li stava “rieducando”.
Giuseppe
mise mano alla pistola e poi, stranamente, si fermò.
“Lascia
che se li tengano loro.”
Mandò
due uomini a impossessarsi del camion con le bare con le armi; tutti
gli altri grossi automezzi, in un densissimo fumo di marmitte, si
prepararono ad uscire dal campo partigiano “Doman”.
Ma
da una camionetta, quella che stava in ultima fila, uscí il
telegrafista. Tutto tacque, fu un silenzio inquietante.
Si
diresse all’inizio della fila di camion e parlò con Giuseppe.
Giuseppe
fece subito dei cenni nervosi al suo vice.
Si
notò che gli altri partigiani rossi, strafottenti, erano diventati
pallidi.
Qualcuno
chiese: “Sicuro?” che subito venne zittito dagli altri.
Giuseppe
si avvicinò ad Antonio e gli disse con molta determinazione:
“Queste
armi dobbiamo portarle ad una destinazione segreta.”
“E
a noi che ci frega?” Rispose Antonio.
“Voi
non dovete saper dove siamo diretti, questo é l”ordine. Dovete
girarvi tutti e non vedere nemmeno da che parte andiamo.”
Antonio
rise e ordinò a tutti gli uomini e alla donna di cui ignorava il
sesso, di girarsi e di non guardare assolutamente dove fossero
diretti i camion.
In
cuor suo, non sperava altro che se ne andassero e di non vederli mai
piú.
“Buona
giornata a tutti.” Urlò il sosia del Maresciallo Tito. Ma c’era
silenzio e i compagni non cantavano l’inno Internazionale o
bandiera rossa. I partigiani azzurri rimasti a terra non sentirono
che il rombo dei motori che se ne stavano andando. Poi si udí, per
pochi secondi, la sventagliata di un mitra.
Ma
solo per pochi secondi, poi ci fu il buio e il sonno eterno per
tutti, cristiani ed ebrei, uomini e ragazza, tedeschi, italiani,
russi. Buio e nessun paradiso di nessun tipo. Restò solo l’inferno
della terra. Fulvio ancora si muoveva, anche Otto. Furono graziati
con due soli colpi di pistola.
Al
comandante Dorchester, maggiore della Quarta Armata dell’U.S.A.
Army, nativo del New Jersey, apparvero strani quei corpi a terra
senza vita, che si trovò davanti, quando stava risalendo, coi suoi
uomini, l’Italia e, arrivato al Friuli, estremo Nord, avrebbe
pensato di aver finito di vedere orrori.
Secondo
il Tenente Stanley, un bel ragazzo del Montana, c’era qualcosa che
non convinceva in quell’eccidio. Era un medico e ispezionò quei
corpi immediatamente. Con lui il caporale John Harvey, quasi medico e
Salvatore Amoroso, un dentista italo americano, venuto
volontariamente a liberare il suo paese.
Dissero
al Maggiore che erano morti tutti nello stesso momento e uccisi da
colpi partiti dalla strada, molti di loro erano ebrei,affermò, dopo
aver controllato il prepuzio circonciso. Poi una donna. Un russo, con
documenti dell’Armata Rossa e due tedeschi che non erano
prigionieri. Qualcuno degli ebrei aveva tatuato dei numeri
sull’avambraccio.
Ma
la cosa che colpí molti ragazzi americani scesi a guardare la scena,
era l’aver riconosciuto tra i massacrati, il grande Antonio
Migliacci, uno scrittore famoso in America. Capirono che era il capo
partigiano, per cui stabilirono che quella era proprio una vera
brigata della Resistenza e, dai fazzoletti azzurri, si capiva che
erano democratici e azionisti.
Il
Maggiore Paul Dorchester, arguí che non i partigiani azzurri non
potevano essere stati vittime dei nazisti. Per le armi che li avevano
uccisi e perché non si notarono segni di resistenza, quando intorno
era pieno di fucili.
Diede
ordine di raccogliere le salme e di caricarle in camion, le avrebbero
deposte al primo Comune di paese che avessero incontrato.
Dopo
aver pregato per tutti loro.
La
guerra era quasi finita. Gli uomini combattenti avrebbero dovuti
tornare in America.
La
loro morte resterá un mistero, un mistero per sempre.
L’Italia
e il Mondo Civile avrebbe fatto a meno di un uomo importante e
grande, Israele che nasceva, avrebbe fatto a meno di un meraviglioso
rabbino. La fragile democrazia italiana, non avrebbe avuto quella
decina di uomini e donne che, per difenderla, non si sarebbero
fermati davanti a nulla.
giovedì 23 luglio 2020
domenica 19 luglio 2020
Del vento mi piace
... che agita e mescola il sole e la luna
e gli odori interni di tutti i fiori
solleva le gonne,
scompiglia gli alberi,
spettina le certezze,
asciuga le ferite.
Fabrizio Caramagna
e gli odori interni di tutti i fiori
solleva le gonne,
scompiglia gli alberi,
spettina le certezze,
asciuga le ferite.
Fabrizio Caramagna
sabato 18 luglio 2020
Qualcuno
Qualcuno ha messo del filo spinato tra i fiori...
Qualcuno ha messo confini alla libertà di sbocciare...
Aiutami cielo
ad essere brezza,
quella dolce e fresca,
che mentre accarezza
innalza,
infiniti semi d'amore.
Brunetta Sacchet
Qualcuno ha messo confini alla libertà di sbocciare...
Aiutami cielo
ad essere brezza,
quella dolce e fresca,
che mentre accarezza
innalza,
infiniti semi d'amore.
Brunetta Sacchet
giovedì 16 luglio 2020
Che io sia
Che io sia la tua estate,
quando l'estate sarà lontana.
E la tua musica,
quando l'allodola e il pettirosso taceranno.
E. Dickinson
quando l'estate sarà lontana.
E la tua musica,
quando l'allodola e il pettirosso taceranno.
E. Dickinson
mercoledì 15 luglio 2020
lunedì 13 luglio 2020
venerdì 10 luglio 2020
Dieci volte
Dieci volte al giorno devi superare te stesso:
ciò procura una buona stanchezza
ed è papavero per l'anima.
Friedrich Nietzsche
giovedì 9 luglio 2020
domenica 5 luglio 2020
" Venezia in catene" Capitolo XVIII
Che
fare?
Seduto
sopra gli scogli bianchi che fronteggiano il mare e che spesso ne
hanno sminuito la furia, Pompeo se ne stava a guardare, respirando
piano, alcuni pescatori felici di esser potuti tornare al loro
lavoro, intenti a disincagliare le loro reti e a bestemmiare - anche
se avevano appena cantato messa - e a canzonarsi allegramente tra di
loro.
Era
il venticinque di aprile del milleottocento e quattordici, la
Primavera era entrata anche nel suo cuore.
Pensava
e ripensava ai dèmoni di don Antonio ed alla sua bella filosofia...
Pensò
che la vita di quel sant’ uomo era, probabilmente, semplice e
piacevole, senza i problemi che turbavano chi vive la vita
quotidiana.
Ma
forse anche i santi, si disse, avranno passato le loro belle
disgrazie.
Eppure
quel volto così sereno e pacifico, come lo può essere solo il volto
di chi ha già visto Dio e delle cose di questo Mondo poco gli
importa, lo turbava sempre di più.
Nel
contempo ammirava il mare azzurro e un po' increspato - per via del
vento di Bora che era tornato e che, però, rendeva tutto trasparente
e vicino - e rimuginava i suoi pensieri e rinnovava le sue speranze.
Di
là dal mare, gli aveva detto un giorno Graziosi, c'è un mondo vasto
e da scoprire. Molti poveri, in Europa, avevano già fatto il grande
passo anche se di loro, poi, non s'era saputo più nulla.
Le
Americhe erano là ad aspettare, coi loro tesori e i loro misteri.
Camminò
da solo lungo la spiaggia di sabbia finissima; i resti delle
conchiglie, in migliaia di anni, l'avevano formata così e sarebbe
diventata completamente diversa, pensò, tra altre migliaia di anni.
Nel frattempo, chissà quanti altri esseri mortali come lui avrebbero
riso o sofferto nella loro brevissima esistenza, quanta fame e
miseria avrebbero dovuto sopportare o quanta gloria e ricchezza
avrebbero ottenuto... chissà quanto amore avrebbero provato.
Attraversò
il faro e ritornò sulle rive della laguna; vide passare, alla voga
del sandoleto, un amico che non incontrava da tempo, Carlo Scarpa,
mentre stava navigando apparentemente senza mèta, così come sempre
aveva fatto nella sua vita.
“Carlo,
ti va de là?”
“Dove
devi andare, Pompeo?”
“A
san Giorgio, da padre Antonio.”
“Ci
vado anch’io. Adoro quell’isola.
E’
un luogo fantastico, pieno di serenità, sembra quasi che appartenga
ad un altro mondo.”
“Forse
ti dovevi andar da qualche altra parte?”
“Ma
dai, monta su e no preocuparte, te porto mi.”
Sulla
riva dell’ isola don Antonio, in piedi, pareva lo stesse già
aspettando.
"Allora,
Pompeo, cosa mi racconti?"
"Non
so, forse parto..."
"Lasci
Venezia, il tuo mondo?"
"Mah,
ancora non so..."
"Il
tuo cuore batte per la ragazza ebrea, vero?"
Pompeo
diventò paonazzo.
"Sì,
padre. Ma la sua famiglia non lo permetterebbe mai, la sua comunità,
anche se mi rispetta e apprezza, vieta di sposare uno che non è
ebreo."
"Eppure
per lei daresti la vita, no?"
"Lei
che vede tutto, anche il futuro, cosa pensa che sarà di me, del mio
sogno con Myriam, di queste nostre vite tanto fragili che basta un
po’ di acqua cheta a spazzar via?"
"So
che anche i nuovi governanti aggiogheranno Venezia per molti anni, e
per dire questo non occorre di certo la dote della preveggenza,
immagino che questo popolo tenterà sempre più eroicamente di
ribellarsi – un po’ ridendo e un po’ piangendo come ha sempre
fatto - e molti daranno la vita per la libertà. Seguiranno
certamente ancora lutti e miserie.”
Il
religioso si prese Pompeo sotto braccio e attraversò la soglia del
tempio dedicato a san Giorgio.
La
grande vetrata colorata, incendiata dal sole, illuminava l’interno
della chiesa e, in special modo, un quadro che raffigurava la morte
di Cristo: sembrava quasi, e forse era vero, che tutta la costruzione
fosse stata fatta proprio a quello scopo.
I
due si sedettero su una delle tante panchine di legno. Don Antonio
disse al giovane di guardare verso l’alto, proprio da lassù dove
stava arrivando la luce.
“Sia
tu che tuo fratello avete il dono di vedere attraverso il tempo.”
Pompeo
restò sorpreso, come faceva il monaco a saperlo?
“Allora
guarda – continuò – questa sarà la più grande visione che tu
mai abbia avuto e questo è il posto giusto per averla.”
Nella
grande vetrata apparvero immediatamente corpi dolenti come nelle più
tetre rappresentazioni del Giudizio Universale.
Pompeo
capì che il futuro sarebbe divenuto sempre più terribile, ma ancora
non riusciva a capire quanto: rivoluzioni, catastrofi, stragi,
olocausti, carestie, terremoti sulla Terra, così come aveva
profetizzato san Marco nel suo Vangelo.
Vide
per due volte il Mondo venire sconvolto da guerre terribili e interi
popoli umiliati, torturati, offesi, massacrati.
E
la progenie di Myriam, il suo popolo eletto, avrebbe sofferto più di
tutti.
La
progenie di Myriam: i figli di lei potrebbero essere, forse, anche i
suoi figli, il sangue del suo sangue che soffrirà e urlerà alla
mercè di mostri orribili, fanatici, nemici dell’umanità. Quello,
dunque, sarebbe stato il futuro? Non quello radioso che aveva
preconizzato con la sua bella? Quello degli uomini che volavano e
della scienza che ci avrebbe reso felici?
Vide
gas che toglievano il fiato impedendo di respirare, uomini chiusi
dentro cortili circondati da ferri con spine…come quelle che Cristo
portava sulla fronte…e sangue, tanto, tanto, tanto sangue.
Non
poté più sopportare quel supplizio e fuggì dalla chiesa. Decise
che non avrebbe più avuto visioni: tanto il futuro sarà quel che
sarà. Don Antonio gli fu vicino.
Stettero
vicini in silenzio, il silenzio che si udiva a san Giorgio e nella
laguna quando le barche ancora non facevano rumore.
Pompeo
salutò il monaco, fermò un'altra barca di passaggio e si fece
portare a riva.
Dall'isola,
don Antonio lo guardava allontanarsi, verso lo splendido spettacolo
della piazza san Marco e vide quella imbarcazione, che dondolava nel
bacino, divenire sempre più piccola. Pensò, intensamente:
"Che
Iddio ti benedica."
Di
ciò che fece Pompeo, dopo quel giorno, purtroppo non ci è dato di
sapere.
Sappiamo
che, qualche tempo dopo, un editore veneziano pubblicherà il suo
diario, unica fonte di notizie circa l'assedio, oltre, ovviamente, al
Giornale Dipartimentale.
Sappiamo
bene cosa avvenne di Venezia, ma non cosa fu di quel giovane.
Forse
emigrò nelle americhe, magari in Argentina, dove stavano giungendo
già allora molti uomini dalla penisola italica.
Forse
si fece monaco e restò a pregare e a meditare nella pace degli orti
di san Giorgio, assieme al suo amico Antonio, fino alla fine dei suoi
giorni.
Oppure
continuò a vivere a Venezia, sposò una donna, magari la sua amata
Myriam, quella con gli occhi neri e le labbra color fuoco, con lei
fece figli, fu felice.
Probabilmente
il suo sangue continua a scorrere tra chi, a volte usando stivaloni
di gomma per l'acqua alta, vive ancora in una città unica al mondo,
alla quale ogni giorno gente da tutto il Mondo viene a rendere
omaggio.
Non
lo sappiamo: di Pompeo ci resta solo la copia sgualcita di un diario.
Senza
di quel libretto non avremmo mai saputo nemmeno della sua esistenza…
…Intanto,
dalla barca sulla quale dondolava nel bacino di San Marco, Pompeo
notò che il cielo non era mai stato così limpido da queste parti.
sabato 4 luglio 2020
Il coraggio di essere
venerdì 3 luglio 2020
Indosserò
E poi, indosserò le stagioni del prato,
ai piedi avrò scarpe
con suole di foglie e, ancora camminerò.
Giunta nel bosco, sarà lo scialle del vento a donarmi riparo,
con ignude mani abbraccerò il respiro del luogo.
Il mattino caldo dell'estate
dipingerà le parole che non dissi e, anche tu le udirai.
Sarò resina che profuma al calar del sole.
Sarò lì, tra l'ombra dei miei pensieri.
Luce soffusa, innocua, poesia.
Si spanderà tra il mare,
dove navigheranno leggere le barchette di carta,
quelle che feci nell'alba,
una primavera,
con te.
Sapevi dare forma alle cose,
e io guardandoti imparai...
i nostri schizzi d'amore
le fecero partire.
Nell'abbondanza,
della tua radice,
con la dolcezza del frutto
inseguirono la corrente,
quella del cuore,
tramonto dopo tramonto,
l'essenza dell'anima,
si pose silenziosa tra la vela.
Nel lido del sole,
ti rividi e il tempo come sempre ebbe ragione!
Brunetta Sacchet
ai piedi avrò scarpe
con suole di foglie e, ancora camminerò.
Giunta nel bosco, sarà lo scialle del vento a donarmi riparo,
con ignude mani abbraccerò il respiro del luogo.
Il mattino caldo dell'estate
dipingerà le parole che non dissi e, anche tu le udirai.
Sarò resina che profuma al calar del sole.
Sarò lì, tra l'ombra dei miei pensieri.
Luce soffusa, innocua, poesia.
Si spanderà tra il mare,
dove navigheranno leggere le barchette di carta,
quelle che feci nell'alba,
una primavera,
con te.
Sapevi dare forma alle cose,
e io guardandoti imparai...
i nostri schizzi d'amore
le fecero partire.
Nell'abbondanza,
della tua radice,
con la dolcezza del frutto
inseguirono la corrente,
quella del cuore,
tramonto dopo tramonto,
l'essenza dell'anima,
si pose silenziosa tra la vela.
Nel lido del sole,
ti rividi e il tempo come sempre ebbe ragione!
Brunetta Sacchet
giovedì 2 luglio 2020
" Venezia in catene " Capitolo XVII°
Conformismo letterario
Alle
prime ore del mattino, cosa ben strana, Graziosi aveva convocato
tutti i suoi collaboratori, anche quelli che, in precedenza, aveva
licenziato.
“Cari
fioi – iniziò il direttore, mentre tutti si guardavano stupiti e
nervosi – quello che uscirà domani, ventitrè aprile del
milleottocentoquattordici, sarà l’ultimo numero del Giornale
Dipartimentale Adriatico. Il suo numero…”
“Il
trentaquattro…”, proseguirono in coro giornalisti e stampatori.
“Giusto,
trentaquattro”: Dopo una pausa imbarazzata, incalzò:
“Ma
non è detto che noi dovremo chiudere…”
“Se
continua a lavorar?” domandò il giovane Gorghetto, l’unico che
non era mai stato assunto, ma che bazzicava sempre, con volontà
incrollabile, l’ambiente del giornale.
“Forse…forse”
rispose, quasi parlando tra sé, il capo che, in realtà, non sapeva
che pesci pigliare.
Con
quel numero, infatti, si sarebbe chiusa la storia della testata, così
come si chiudeva, in quei giorni, il periodo della dominazione
francese a Venezia cui succederà, proseguendo per molti anni, la
dominazione austriaca.
Ciò
che Graziosi impresse sulla prima pagina di quel numero 34 dimostra
la sua abilità nel cercare di dire qualcosa senza, in effetti, dire
un bel nulla. Così, tanto per prendere un po’ di tempo:
“…Il
ritardo di dettaglio sui strepitosi avvenimenti del giorno, sarà ben
presto compensato con quell’accuratezza di cui ci faremo pregio in
ogni tempo…”
Strepitosi
avvenimenti. Ed aveva ben ragione: mai come in quei giorni la Storia,
quella vera, importante, aveva accelerato con tanto clamore.
Egli
non solo non voleva commentare i fatti ma, per sicurezza, non li
voleva neppure riportare. Così continuò:
“…Nell’invocar
però la loro tolleranza, possiamo assicurarli che avremo
dall’esattezza nostra raccolto ad un tratto quanto di più
importante occupar deve un luminoso posto nell’odierna storia, che
trasmetterà alla posterità incredibili eventi.”
Il
giornale procedeva parlando di argomenti più sereni: statistica,
storia naturale, varietà.
Ben
presto, col caldo tepore della primavera (si era quasi a maggio), ci
si accorse che, scampato il pericolo, la vita sarebbe proseguita con
maggior tranquillità, grande ordine. Forse anche troppo.
Mercoledì
27 aprile uscì da quella stamperia e firmato dallo stesso editore,
un altro giornale che, però, portava il numero trentacinque, quasi
volesse indicare una continuità nell’edizione (mentre il resto del
mondo cambiava).
Il
formato ed i caratteri rimanevano gli stessi, diverso era il titolo,
si trattava, ora, del
“Giornale di Venezia”
E
portava ben visibile al centro, sotto la testata, lo stemma
dell’aquila bifronte, simbolo dell’impero austriaco.
E
così Graziosi ed i suoi non cambiarono mestiere. Il loro
atteggiamento nei confronti dell’autorità costituita era sempre
stato ossequioso, quello dei buoni sudditi che sempre avevano
interpretato la volontà del loro sovrano…utili al dittatore
francese, adesso lo sarebbero stati per l’imperatore d’Austria il
quale non si sognò di epurarli…anzi: da quel giorno la testata
diventò un quotidiano e si dovette aggiungere un inserto di quattro
pagine per contenere tutte le notizie che giungevano generosamente.
Nel
resto dell’Italia tutti gli altri giornali dipartimentali avevano
chiuso definitivamente.
E
Pompeo?
Respirando
l’aria tiepida di quei giorni, Pompeo sognava di evadere.
Non
aveva mai sopportato l’arroganza dei francesi ed aveva sempre
sperato, in cuor suo, l’arrivo di un qualsiasi altro esercito
straniero che fosse venuto a liberare.
Ma
gli furono sufficienti pochi giorni per capire che i nuovi arrivati
erano anche peggiori.
Scrisse
nel suo diario:
“Dal 21 novembre, giorno
in cui iniziò
il blocco della città, al
20 aprile
, sono nati 1.476 bambini.
I morti, nello stesso
periodo, sono 4.170.”
Poi
se ne andò in piazza ad assistere all’arrivo trionfale del
generale austriaco che sbarcò dal burchiello con la sua uniforme
bianca candida, acclamato dalla folla festante.
In
tutte le chiese della città, ad ore alterne, iniziando alle nove del
mattino e per tutto il giorno, si svolsero funzioni religiose di
ringraziamento, “Te Deum”, processioni.
Faceva
una certa impressione sentir suonare le campane a festa, alzare lo
sguardo e vedere un cielo azzurro e terso, che prometteva molto di
buono.
Graziosi,
bontà sua, gli aveva dato l’incarico di occuparsi delle novità
letterarie e per il giovane ciò rappresentò un vero traguardo.
Non
gli ci volle molto a capire che, anche in quel campo, aveva trionfato
la “fedeltà” verso il potente di turno.
Infatti
il “Corriere delle Dame”, un foglio letterario diretto dalla
signora Carolina Lattanzi, che si era distinto dagli altri periodici
per il suo appoggio smodato alla causa napoleonica, cambiò
repentinamente le sue simpatie politiche.
Per
l’occasione la Lattanzi, raffinata ed instancabile intellettuale,
era arrivata al punto di indire subito dopo l’arrivo degli
austriaci, un concorso a premi per il più bel sonetto di satira
contro Napoleone.
E
pensare che lei stessa, nell’anno 1810, aveva lodato, con una
appassionata poesia composta personalmente, la nascita del figlio di
Napoleone, il “Re di Roma”.
Qualcuno
aveva così commentato, a questo proposito:
“Affrontare i potenti
costa qualcosa,
calpestare i caduti non
costa nulla.”
Qualche
giorno dopo lo stesso giornale femminile tesserà le lodi
dell’imperatore austriaco Francesco I°, divenuto per moltissimi un
ladro ed un tiranno, definendolo un “novello Tito”.
Coi
gomiti poggiati sul muretto di marmo al ponte di san Felice, Pompeo
se ne restava muto ad osservare le sozzure che, galleggiando
sull’acqua putrida, passavano sotto l’arcata: era lo sporco della
città che, dai canali interni e dalla laguna, se ne andava verso il
mare.
Tra
pantegane morte e gatti gonfi, galleggiava lentamente anche un
cadavere umano. Passò proprio sotto il ponte e sotto i piedi di
Pompeo: aveva la pelle rossa e la pancia strapiena d’acqua.
Non
ci diede importanza perché era un fatto abbastanza comune per quei
giorni.
Ma
si sporse un po’ di più e riconobbe in quel volto, che iniziava ad
essere divorato dai pesci, dei lineamenti che gli erano tragicamente
familiari.
“Ma
quello è Petronio – urlò – dunque esiste un Dio.”
Una
mano calda e carica di energia si posò sulla sua spalla.
“Don
Antonio…”
“Ciao,
amico mio, son tanto brutti i tuoi pensieri?”
“Padre,
sapesse…”
“Hai
visto…Petronio?” disse, indicando con un dito il cadavere che,
pian piano, galleggiando come un tappo di sughero, se ne stava
andando verso il mare, così come l’anima se ne stava andando verso
il suo destino.
“L’hanno
ammazzato.”
“Ma
come fa, padre, ad esserne così sicuro?”
“Non
hai notato quella ferita al fianco? Era di certo di un coltello da
macellaio…povero disgraziato.”
“Povero
disgraziato? Ma, padre, quello era un delinquente, un torturatore, un
massacratore…”
“Non
prendertela con lui, non è colpa sua…”
“E
di chi, allora?”
“Forse
del demonio che lo possedeva”
Intanto
il corpo si allontanava, passando sotto un altro ponte.
“Corriamo
di là – disse il religioso – voglio che tu guardi bene il suo
volto.”
I
due raggiunsero l’altro ponte sul canale proprio mentre la salma
passava di sotto.
“Vedi
i suoi lineamenti, figliolo mio, ti sembrano quelli di un uomo
cattivo?”
“Certo,
adesso no , ma mentre commetteva i suoi delitti…”
“Chiaro…mentre
commetteva i suoi delitti era posseduto, adesso non più. Noi
sbagliamo a prendercela con le persone, a punirle e ad ammazzarle.
Non sono loro a commettere i peccati, ma il demone che li possiede.
Basterebbe liberarli dal demone.”
“Certo
che lei ne ha liberati tanti, dai demoni.”
“Sì,
ma con i potenti è sempre difficile.”
“Intende
dire il generale Seras, Napoleone?”
“Sì,
ma anche Francesco d’Austria e tutti gli altri potenti.”
Il
ragazzo ascoltava a bocca aperta. Il monaco continuò:
“Vedi,
Pompeo, Napoleone aveva creduto nei valori della fratellanza e della
libertà, gli stessi valori che ci ha insegnato Cristo con la sua
parola. Ci credevano tutti, avevano fatto una rivoluzione, ma poi…”
“Ma
poi?”
“Poi
i sentimenti diabolici quali l’egoismo, l’invidia, la smania di
grandezza hanno trasformato tutto. I sentimenti diabolici superano
sempre, nell’essere umano, l’amore fraterno.”
“Eh
già…”
“Chi
avrebbe dovuto portare per il Mondo le idee di tolleranza e di pace
ha portato le armi della sopraffazione e dell’arroganza e il
disastro è completo. Non sono gli uomini che dobbiamo punire, sono i
demoni che li posseggono e che influenzano le loro menti che dobbiamo
sconfiggere.”
Pompeo
ascoltava in silenzio.
“La
verità ce l’ha insegnata il vangelo. Gesù è venuto
esclusivamente a liberarci da Satana.”
La
salma di Petronio era già in mare aperto, a sfamare i pesci più
grandi.
“Prima
di prendere qualsiasi decisione sulla tua vita, caro Pompeo, vieni a
trovarmi al monastero, ho qualcosa da farti vedere.”
“Ci
verrò domani” aggiunse il ragazzo.
Don
Antonio se ne andò, camminando con corpo leggero come se la forza di
gravità, per lui, non esistesse.
mercoledì 1 luglio 2020
AMICIZIA
Ci sono persone che chiami amiche e altre che lo sono sul serio.
La differenza non risiede nel vederle più spesso o da quanto tempo le frequenti.
Amica è potersi fidare.
Amica è voler bene e non tradirsi mai...
Liliana D'Arpe
La differenza non risiede nel vederle più spesso o da quanto tempo le frequenti.
Amica è potersi fidare.
Amica è voler bene e non tradirsi mai...
Liliana D'Arpe
Scrivimi
Mi piacerebbe trovare sentieri
che portano fino a dove finisce il tempo,
strade per arrivare ad ascoltare
il fermarsi del cuore
nel rimirar il tempo,
vie fino a giungere dove volano solo farfalle,
sogni e tratturi di piacere.
Vieni?
Rino Spigarolo
che portano fino a dove finisce il tempo,
strade per arrivare ad ascoltare
il fermarsi del cuore
nel rimirar il tempo,
vie fino a giungere dove volano solo farfalle,
sogni e tratturi di piacere.
Vieni?
Rino Spigarolo
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