La prima volta non mi guardavi negli occhi.
Parlavi piano, come se ogni parola potesse spezzarsi tra le labbra.
Io annuivo, ma già ti cercavo con gli occhi — seguivo la linea della tua spalla,
come un uomo che legge sul corpo ciò che le parole non dicono.
Mi dissi che parlare, con te, era come camminare in un fiume sotterraneo:
a tratti emerge, ma quasi sempre resta nascosto.
A volte basta un gesto, un sopracciglio che si muove.
Altre, un silenzio così pieno che fa male.
L’ho capito presto: le parole vere, con una donna come te,
non si pronunciano. Si sentono con la pelle.
Mi affascina l’imperfezione, la mia soprattutto.
Ha l’odore disordinato delle cose che non si possono fingere.
Forse ho sbagliato a evitare quelle notti piene di vino e desiderio,
dove il linguaggio si dimentica e resta solo il corpo a parlare.
Ma se mi capitasse ancora tra le mani un vino torbido, senza nome,
lo berrei con lentezza,
come un uomo che ha imparato a non avere fretta con la donna che desidera.
Vorrei spiegarmi, ma certe verità si capiscono solo sfiorandole.
Tu, ad esempio, non potresti davvero capire il mio desiderio
se non ti ci fossi mai avvicinata con la bocca.
E allora—dimmi: che senso ha parlare?
Sono responsabile solo del mio smarrimento.
Se tu hai perso qualcosa — e forse l’hai perso —
non è colpa mia.
Ogni bacio che non ti ho dato è una parola non detta.
Ogni piacere interrotto,
un verso che non ha trovato voce.
Se l’occhio non tocca,
resta cieco.
Se la pelle non dice,
dimentica.
Mi hai guardato solo dopo.
I tuoi occhi erano stanchi,
e le tue mani odoravano di legno e vaniglia.
Ti ho cercata in ogni cosa che mi è scivolata dalle mani,
nell’acqua che non riesce a fermarsi,
nei gesti che tremano quando un uomo ha troppo pudore per dire tutto.
L’uomo che non sogna
finisce piano,
nel silenzio.
E io, amore, ti ho sognata fino allo sfinimento.
Non scrivo poesie.
Scrivo il ricordo del tuo ventre caldo,
la linea della tua schiena che non ho mai dimenticato,
la pausa tra le parole che mi hai lasciato tra le scapole.
E se il tuo nome
non mi scioglie,
resto muto.
E mi spengo.
Ma prima —
ti ringrazio.
Tengo queste parole come si tiene un oggetto che ha toccato il corpo di una donna.
Perché ciò che è stato carne
— con te —
non si dimentica più.
* Panta Rei *
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