In un tempo in cui anche i santi si fanno la permanente
e i martiri chiedono l’anticipo dell’eternità,
parlare dell’anima è diventato un atto sconveniente.
Non si legge più per fame di verità,
ma per indigestione di opinioni.
Il testo che segue non salva, non redime, non assolve:
semplicemente si confessa –
come un parroco ubriaco,
come una santa in disarmo.
È la testimonianza scomoda di chi ha smesso di aspettare l’epifania
e ora conta i secondi
tra un’illuminazione storta e l’altra.
Chi cerca consolazioni, si fermi qui.
Chi cerca vesciche sul cuore, avanti.
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Scartafaccio esistenziale
Le mie facoltà inventive si sono dissolte
in una quiete sacrilega.
La fantasia si è messa l’abito da lutto
e ha chiuso le persiane.
Persino leggere mi pare
un masticare ostie insipide.
Ogni frase: una comunione sconsacrata.
Quando si è svuotati dello spirito,
anche l’eco diventa un ladro domenicale.
Con chi si può ancora dialogare?
Il mondo pullula di soliloqui a voce alta.
Il confratello del narcisismo
sfoggia cronografi come reliquie
e maledice il Sud come fosse una bestemmia in controluce.
Narrazioni da calendario liturgico dei dementi:
la vegliarda che prende la Circumvesuviana
per votare al referendum del '74,
convinta di salvare il divorzio e la patria.
(Povera patria. Più che salvata, è stata messa sotto naftalina.)
Si crede profeta,
ma è un cherubino in esilio,
con le braccia da sergente e l’anima in saldo.
Leggere le sue epistole rivoluzionarie
è come inciampare in un incensiere spento:
fa fumo, ma odora di muffa.
E poi ci sono le epifanie epidermiche.
Beatitudini pelviche.
Rivelazioni da sagrato d’inguine.
Gambe come reliquie da processione,
versetti in stampatello da lapide estiva.
“Mi sono concessa la rivelazione delle ginocchia.”
Una liturgia della carne senza liturgisti.
Ma subito giungono i catechisti del sospetto:
Interrogatori da sagrestia,
con l’alito d’incenso vecchio.
Rispondo con la pace dei giusti:
“Magari vi interessa ciò che scrivo?”
Ma nulla. Silenzio. Solo candele spente.
La risposta è un salmo offeso:
“Siete tutte uguali. Prima tentatrici, poi martiri.”
Questi sono i nuovi mistici,
che vedono apparizioni in ogni rotula.
Io, invece, ricevo saluti in busta chiusa:
“Buongiorno”, “Buonasera”,
con Madonne incollate
e catene da frati perduti.
Nessuna poetessa che mi scriva:
“Che grazia sei,
ti trasfigurerei in versi.”
Niente.
Solo silenzio angelico.
Forse porto sfortuna spirituale.
O puzzo d’incenso acido.
E le perle? Sempre ai porci.
Che masticano con denti da ostensorio
e sputano con zelo liturgico.
Chiudo qui,
dal mio fuso mistico sballato,
tra litanie di vetro e stanche benedizioni.
Vado a tentare il sonno,
se l’angelo dell’oblio vorrà posarmi le ali sulle tempie.
A voi,
un buongiorno liturgico.
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Nota – Benedizione velenosa
Questo testo non ha nulla a che spartire con esseri umani, santi o peccatori.
Non vi somiglia? Bene.
Vi somiglia troppo? Peggio per voi.
È solo una piccola eresia privata,
scritta con le mani giunte
e lo sguardo rivolto a sud,
verso un altare
che nessuno pulisce più.
Io, per parte mia,
mi ritiro in silenzio,
col sorriso sghembo di chi sa
che l’unica salvezza è
non cercarla mai troppo sul serio.
* Panta Rei *
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