Promettere era una forma di cristallo
che non reggeva il calore.
Si scioglieva tra le mani
prima ancora che il senso prendesse parola.
Le frasi cadevano —
non come lame,
ma come piume bagnate
che non sanno più volare.
Cercavo una verità che non abbagliasse,
una fenditura nella pietra
da cui filtrasse solo ombra.
Non volevo essere salvato:
chiedevo un amore
che mi ferisse con garbo,
che mi lasciasse il segno
senza la presunzione di guarire.
Nel frastuono, ho imparato l’eleganza del silenzio.
Il modo in cui una bocca si chiude
può essere più onesto
di mille dichiarazioni scintillanti.
La gentilezza è un’arte minore,
una nebbia che si posa sulle rovine
senza mai chiedere attenzione.
Scrivo ancora —
non per dire,
ma per ascoltare cosa resta
dopo che tutto si è detto.
Scrivo come chi raccoglie
vetri infranti sulla battigia
e li chiama reliquie.
Cammino,
senza orizzonte,
nel relitto della mia voce.
Là dove l’abisso non inghiotte
ma accoglie.
Dove il frammento
non cerca di tornare intero.
* Panta Rei *
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