Capitolo dodicesimo
Così e’se vi pare
Il racconto di Angelo,
Il capo,
di tutte le paure
e delle sue paranoie
Il
capo, prima di dare inizio al suo racconto verificò,
inspiegabilmente perché non l’aveva mai fatto in precedenza, che
tutte le uscite fossero chiuse e assicurandosi che il grosso
chiavistello fosse abbassato.
Poi parlo’ e cosi”
parlo’ Angelo
Vi
sarete chiesti perché abito in questo castello, da solo e da un
tempo immemorabile.
Certo,
è cosa assi strana.
Anch’io
ho avuto una mia vita, una famiglia che mi ha dato tanto amore.
Tutto
quello che mi è successo nella esistenza successiva – un destino
duro, molto difficile e spietato – è irraccontabile.
Preferirò
narrarvi la storia di questo maniero … anche se già immagino che
voi capirete, tra le righe, che cosa tragica mi è capitata e perché
non ne voglia parlare direttamente.
In questi giorni
le vicissitudini toccate al mondo intero – che Dio ci assista –
hanno in parte diroccato, come avete avuto modo di vedere entrandovi,
la costruzione al piano ovest ed in quello superiore. Non è stato
causa di un meteorite - come sembrava in apparenza nei primi giorni -
ma di un qualche strano e misterioso ordigno lanciato da molto
lontano, il danneggiamento di quella parte del castello. Se lo aveste
visitato prima, alcuni giorni fa, lo avreste ammirato nel suo massimo
splendore, perché il conte Rambaldo, il proprietario, lo aveva
restaurato divinamente e tutto risplendeva come non mai da secoli.
Io fui nominato
unico custode e guardiano, allorquando gli altri dovettero fuggire ed
intendo restarci
-sempre se non terminerà
tutto domani –
fino
a quando ritornerà ad essere – come lo era stato in un tempo
meraviglioso - luogo di delizie, di conforto lussuoso, anche se
severo, per il viaggiatore di passaggio, mensa divina in cui gustare
le pietanze più saporite del Mondo intero, sito prestigioso per
riunioni, convegni e simposi internazionali.
Prima di fare il
portiere, ho lavorato in queste terre come esperto in agraria
svolgendo, però, anche i lavori più umili. Dopo aver vissuto, e
dimenticato terribili episodi familiari, per me l’esistenza in
questo posto è diventata dolce e piacevole … ricordo molte feste
durante la prosperità economica, rammento di gente che voleva solo
divertirsi e pensare che, il giorno seguente, sarebbe stato
certamente migliore di quello che ora stava vivendo.
San Salvatore aveva
resistito alle guerre, le grandi guerre del secolo scorso.
Ma fu durante la prima,
circa cento anni fa, che la cattiveria degli uomini si abbatté su di
esso. Le artiglierie nemiche, che cercavano di raggiungere il Piave,
il fiume sacro, distrussero parte del borgo, la rocca e le mura. La
fine della prima guerra mondiale lasciò un panorama sconsolante ed
avvilente, facendo pensare che, questa stupenda opera architettonica,
dovesse essere distrutta per l’eternità, come è successo a tante
e tante altre straordinarie bellezze del nostro mondo, che non sono
più tornate a risplendere per gli occhi delle giovani generazioni.
Poi passarono
altri anni. Quando arrivò la seconda guerra mondiale, trovò il
castello ancora diroccato.
Non fu ulteriormente
distrutto, per fortuna, quando passarono i carri armati tedeschi
nell’Aprile del 1945. Era diventato, infatti, rifugio di partigiani
e di militari anglo-americani, per qualche tempo.
Fu negli anni cinquanta e
sessanta, durante la “guerra fredda”, quando cioè il Mondo era
diviso dalla impenetrabile “Cortina di ferro”, che il comando
americano in Italia, la cui sede era, ed è ancora, nella vicina
città di Vicenza, propose al conte padrone di affittargli, per una
cifra - in dollari - considerevole, tutto il maniero.
Lo avrebbero, in più
oltre ai dollaroni , schermato con le più moderne tecnologie di
difesa elettronica e dotato di stanze con dispositivi antiradiazioni
nucleari. Gli scienziati del pentagono, che formavano, al tempo, una
equipe internazionale dei migliori studiosi, lo tramutarono nel più
perfetto sistema di difesa militare dell’Europa libera. E, come
vedete, ancora adesso la barriera col mondo esterno funziona
perfettamente, senza alcuna falla. Siamo al sicuro da ogni radiazione
nucleare.
Negli
anni successivi, quelli in cui l’Italia conquistò un grande
sviluppo economico e sociale, come vi ho detto, il castello fu
portato al suo massimo splendore, conobbe un fiorire di appuntamenti
mondani, incontri di artisti e poeti. Fu un gran periodo di benessere
e di gioia di vivere e di godere i suoi frutti.
Ma, forse, non mai come lo fu
in tempi remoti: nei secoli della rinascita italiana. Sì, è vero,
l’Italia in quanto tale ancora non esisteva, fu unita soltanto
parzialmente nel 1866, quando i nostri territori veneti furono
annessi, e definitivamente, nel 1871 quando arrivò anche Roma coi
suoi territori e la sua grandezza.
Ma la reale forza del paese
sortì quando gli italiani (cioè gli abitanti e sudditi dei
tantissimi stati o staterelli della variegata penisola italica)
compresero che il vero vanto stava nel genio dei nostri letterati,
pittori, poeti, artisti, musicisti. Solamente ciò unì, e ancor’
oggi unisce, la nostra bella patria.
Al
castello approdarono, nel periodo della grandezza italica, insieme a
tanti e tanti ospiti illustri e rinomati in tutto il resto d’Europa,
artisti come Cima da Conegliano, Monsignor Giovanni della Casa, e,
prima ancora, il grande maestro Pordenone e poi altri innumerevoli
scrittori, vati, scultori grandiosi.
Avvenne
ancora prima, nel periodo del medioevo, subito dopo il terribile anno
mille, che i conti di Collalto cominciarono ad erigere questa
magnificenza architettonica, di trentamila metri quadri, che fu una
delle più grandi ed inespugnate fortezze di tutto il Nord Italia.
Ma
il meraviglioso periodo della “Pax veneziana”, che coincide con
la magnificenza della gloriosa Repubblica Veneta Serenissima, retta
da Dogi e da nobili mercanti illuminati portò, anche al castello,
la meravigliosa fioritura artistica e letteraria di cui abbiamo
parlato.
Il
racconto di Angelo, detto il capo, pareva finito e concluso con la
narrazione della storia, grandiosa , di questo castello. Ma qualcuno
non si accontentò.
Il
monaco si alzò con velocità e dichiarò, guardando il capo: “Non
ci hai raccontato di te, della tua famiglia, del fantasma che aleggia
in queste stanze. Prima di morire vogliamo sapere. Io desidero,
voglio, che tutti gli ospiti sappiano.”
Angelo,
allora, sembrò adirarsi: “Vi ho già detto che non parlerò dei
miei cari, della mia vita. Accontentatevi di questo racconto. Basta
così.”
“E’
vero – lo incalzò il frate – che il terribile fantasma abita qui
da cinquecento anni e che ha provocato la depressione a tua moglie,
morta suicida e a tuo figlio che da quello spirito orrido fu persuaso
a provocare un incidente, avvenuto nella vicina città di Conegliano?
Forse anche tu sei stato vittima di un atroce esaurimento nervoso.
Avanti rispondi …”
“Avanti
rispondi, avanti rispondi.” Ripeté convulsamente il capo, che
stava per esplodere.
Allora
Il capo, con uno scatto di nervi si alzò e decise di rivelare a
tutti la conclusione delle indagini che aveva condotto, fino a quel
momento, dentro la sua mente. E così sentenziò Angelo:
“
Tu monaco sai dire solo queste
parole, sei abituato agli interrogatori, non è vero? Il tuo mestiere
è quello del mercenario. Tu interrogavi i monaci tibetani usando i
tuoi poteri e i tuoi sistemi. Tu torturavi i guerilleros
nell’Honduras usando le minacce e la scossa elettrica, i ribelli
nel Salvador e nel Guatemala, compresi i veri discendenti dei Maya,
ecco perché sai tante cose su di loro.”
Il
monaco cercò di controbattere, ma Angelo si alzò e lo prese a calci
fino a farlo cadere, poi gli gettò addosso un’armatura di ferro
che stava appoggiata al muro maestro del salone da quasi quattrocento
anni. “Taci e non parlare mai più della mia famiglia.”
Angelo
aveva aspettato a lungo questo momento, perciò aveva sbarrato le
uscite prima di iniziare il racconto. Le sue parole nei confronti del
monaco furono minacciose:
Adesso
tocca a me parlare di te.
Angelo
bloccò a terra il monaco con il peso di un’arma medievale
sistemata sopra l’armatura. Iniziò un altro e differente racconto
…
Non
voglio dire niente di me, sono un essere stressato come il novanta
per cento degli abitanti del pianeta, ai giorni nostri. Non voglio
parlare del fantasma perché i fantasmi non esistono. Quel che
successe ai miei familiari è colpa mia, così come è mia la colpa
di aver pensato troppo poco alla mia vita privata e a loro.
Dai
dati che qualcuno, segretamente in questi giorni, mi ha fornito, caro
il mio falso monaco, io ho trovato su di te tutte le prove che
cercavo, sbraitò, sventolando dei grandi fogli. So che non sei un
religioso, un monaco vero, ma un militare, un soldato di professione.
So che hai combattuto in molti teatri di guerra, praticamente in
quasi tutti quelli che si svolsero negli ultimi decenni.
Ti
trovavi in Serbia col contingente dell’ONU, quando vennero
violentati e uccisi alcuni bambini di quel territorio smembrato che,
prima, qualcuno chiamava Jugoslavia.
Vennero accusati proprio i
militari del tuo contingente, ma tutto finì in una bolla di sapone,
che tanto di morti ce n’erano a migliaia, cinque o sei in più,
cinque o sei in meno … poco sarebbe cambiato.
(Mentre
snocciolava queste informazioni sul falso monaco, Angelo pensò, per
un momento, ad una cosa strana: le persone che gli avevano fornito i
documenti sul frate indossavano, cosa già notata da altri, degli
enigmatici occhiali scuri. Ed erano vestiti uguali ad altri, come
quelli che avevano accompagnato i ragazzi al castello. Ma chi erano?
Forse una organizzazione? E poi occhiali scuri anche dove non poteva
penetrare la luce del sole.)
Adesso ho capito che il vero
assassino, forse pedofilo, non puoi essere che tu, tu che sei sceso
da quella finestra nella cella in cui ti eri fatto rinchiudere non
per pregare, non per una astinenza ascetica, ma solo e soltanto per
poter ammazzare quel bambino che abbiamo trovato. Si vede che non ne
puoi piu’ fare a meno.
Peccato
che hai lasciato tante tracce nella neve. Ho controllato: quelle orme
erano proprio le tue, corrispondevano perfettamente alle suole dei
tuoi sandali, l’ho verificato pochi minuti fa.
Ed è perciò che io ho
provveduto a sbarrare tutte le porte di questa stanza a chiave. Il
religioso nel suo abito era ancora disteso, quando Roberto e
Samuele, che avevano capito abbastanza, gli saltarono addosso e lo
immobilizzarono.
Padre Luigi, a terra,
sorrideva.
Intanto,
rumori sempre più forti continuavano costantemente a provenire dal
basso ed erano, se possibile, molto più inquietanti degli altri che
si erano sentiti in precedenza.
“Nessuno
ha ucciso il bimbo, né io né altri – gridò con forza il monaco –
lasciatemi. Possibile che non ci arrivi? Se ci pensi, caro Angelo,
capirai la verità. Tu hai il dono di farlo, ti manca un piccolo
sforzo per arrivare alla conclusione, so che tra qualche minuto, con
la tua perspicacia, comprenderai la realtà, altrimenti, essa ti
verrà rivelata’.”
Tutti se ne stavano fermi e
ammutoliti a guardare l’uomo a terra, pacifico come un gatto
sornione. La stanza, silenziosa, era resa triste dal fatto che
l’energia, prodotta dal generatore, si stava esaurendo e tutto
pareva diventare buio … l’atmosfera possedeva un non so ché di
macabro, di tetro, di spaventosamente lugubre come l’arrivo della
morte imminiente e irrefrenabile.
Fu
in quel momento che tre o quattro boati spaventosi fecero tremare le
possenti mura del castello. Un vetro si fracassò cadendo in pezzi
piccolissimi, nonostante fosse blindato e
antisfondamento, a
prova di razzo lanciato da un bazooka. Tutti furono presi dal panico
e si misero ad urlare.
Era giunta, quindi, la
fine? Una maestosa palla di fuoco, nel cielo, si era avvicinata
minacciosa e sembrava dovesse travolgere tutto e tutti quanti. Angelo
si accostò alla finestra squarciata. Mentre un vento rigido e secco
penetrava la fessura, la grande scia luminosa rischiarò il cielo
fino all’orizzonte e la sua luce si protrasse, almeno sembrò, per
una eternità.
“Ecco.”
La sua bocca svelò un sorriso interiore.
“Ho capito.” Disse, a voce
alta il grande Angelo, il capo, il grande vecchio.
Per lui, quel segnale,
quella fiammata, ebbe un effetto straordinario: fu come una
illuminazione, un flash per la sua mente, certo! proprio un flash,
ecco cos’era quel lampo. C’era, finalmente, arrivato anch’egli,
come successe per Saulo, cioè san Paolo, il quale si accorse, alla
fine, che aveva sbagliato il bersaglio per tanto tempo.
Angelo comprese, allora,
ogni tassello di quella storia, capì le parole – risentendole
dentro la sua mente - del monaco Benedettino e afferrò finalmente
con chi aveva a che fare: comprese chi era veramente quell’uomo.
Capì chi erano i personaggi misteriosi con gli occhiali scuri, e
perché avevano offerto, sia a lui che ad altri presenti nella sala,
soltanto alcuni giorni prima, documenti e materiali enigmatici.
“Come
ho fatto a non capire prima tutta questa bella e divertente
macchinazione? E solo per un flash.” Dichiarò con solennità. Poi
si rasserenò, la calma lo pervase e ci rise su, pensando che,
sovente, la risoluzione dei misteri è molto più semplice di quanto
si possa credere.
Non
c’era tempo per mangiare.
Sorrise
forte e si appresto’ ad aprire tutte le uscite.
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