Il
corrierone filava rapido, tra boschi verdissimi e vaste pianure.
Era
un gigante in due piani, Pier sedeva in alto a sinistra, in prima
fila. Davanti a lui, si apriva un panorama meraviglioso.
Ogni
tanto, un torrente o un fiume o una serie di laghetti, compariva da
una parte o dall’altra della strada. Un venticello, lieve e
profumato, faceva piegare gli alberi , che pareva si inchinassero
leggermente, come in un cordiale e discreto saluto, al suo veloce
passaggio.
Un
viaggio lunghissimo, che avrebbe dovuto attraversare gran parte del
territorio della Repubblica di Vannonia, paese libero e moderno,
abitato da gente pacifica e civilissima, nonche’ ricchissimo e
pieno di prodotti naturali, sopra e sotto il suolo.
A
quel tempo, si poteva affermare senza ombra di dubbio che, di tutto
il pianeta, Vannonia era l’unico paese in assoluto, che potesse
vantare per i suoi cittadini, Democrazia, Liberta’, Benessere,
Concordia e rispetto dei Diritti Umani.
Pier
veniva da un’altra terra, lontana. Scappava dal suo bellissimo e
sfortunato paese, perche’ la’ non era riuscito trovare, ne’ mai
l’avrebbe potuto ottenere, tutto cio’ che , di bello, cercava.
Scriveva
libri, mestiere strano, per via del quale era considerato, nella sua
patria, un nullafacente scansafatiche, da molti, specie da quelli
che, nella loro banale vita, non avevano mai letto un libro o ne
ignoravano, addirittura, l’esistenza.
Vannonia
no, Vannonia era diversa: la’, gli artisti, gli scrittori, i
poeti, i letterati, gli scienziati, le menti libere e tutti quelli
che possedevano cuore sensibile, venivano attirati e promossi, in
pieno, cittadini di quello stato.
Pier,
proprio in quella bella giornata, si stava recando nella famosa e
importante citta’ di Verve, sul Mare Grande e per questo impegno
aveva preso il corrierone.
Egli
stava affrontando un lungo e stancante viaggio, piu’ di settecento
miglia, anche se meraviglioso e pieno di sorprese perche’, per
l’aereo, proprio non teneva soldi.
“Buongiorno
– gli disse, quasi urlando, l’uomo alto e alticcio, con forte
profumo di vino da pochi denari – le spiace se mi vengo ad
accomodare qui vicino?”
A
Pier dispiaceva tantissimo. Ma non riusci’, li’ per li’, a
farglielo capire.
Il
tizio inizio’ subito a parlare, con una continuita’ da rapper.
Pier
rispondeva a lievi cenni del capo, pensando al perche’ non se ne
fosse stato seduto dov’era prima. Poi cerco’ di fargli credere
che non parlava la sua lingua, ma questi continuo’ imperterrito.
Allora fece quello che faceva ogni volta in caso di difficolta’,
cioe’ disse una preghiera al cielo. Passo’ qualche minuto e il
corrierone fece la sua prima fermata. Solifano, Solifanooo, grido’
l’autista. Non scese nessuno, ma entro’ una donna e, li’ per
li’, Pier non la noto’ nemmeno.
“Scusi
signore – disse la donna al tipo alticcio – ma questo e’ il
posto mio, l’avevo prenotato.” Egli si alzo’ e se ne ando’
subito. La provvidenziale preghiera di Pier, anche stavolta aveva
funzionato presso le sedi alte.
Egli
si avvide, d’un tratto, della intensa bellezza di quella donna. Il
suo profumo era celestiale, possedeva mani bellissime e mostrava un
portamento da regina. Piu’ di tutto, spiccava la sua voce angelica.
Immagino’, socchiudendo gli occhi, di assaporare il paradiso. I
suoi movimenti rivelavano una classe rara e nobile. Ella, non lo
degno’ di uno sguardo e lui, timido com’era, manco penso’ di
attaccare discorso con lei.
Continuo’,
allora, ad ammirare il paesaggio, con la fronte appoggiata sul vetro.
Il
motore andava liscio e passavano le ore, i boschi e le vaste
praterie, avevano lasciato il posto ad una strada piu’ stretta,
impervia, che si arrampicava, tornante dopo tornante, verso un passo
ad alta quota, tra altissime montagne e boschi di faggio.
Mentre
pensava e rimuginava gli affari suoi, Pier noto’ che, la bellissima
signora seduta vicino, estrasse dalla borsa un libro e si apprestava
a leggerlo. Fece un sobbalzo quando si accorse che si trattava
proprio del libro che aveva scritto lui. Gli venne in mente di dire:
“Ehi, quella e’ la mia creazione, quel volume l’ho fatto io”,
ma la sua riservatezza lo blocco’ “tanto – penso’ –
all’ultima pagina c’e’ la mia foto e la bella signora la vedra’
e mi dira’ qualcosa”, forse mi chiedera’ l’autografo, io
iniziero’ a parlarle. Ma non fu cosi’.
Faceva
gia’ buio e il passo ancora non era ancora in vista. Comincio’ a
diffondersi un po’ di nervosisimo tra i passeggeri. Il signore
alticcio era andato a sedersi dietro e dormiva.
La
strada si faceva sempre piu’ tortuosa e stretta e pericolosa, in
piu’ scendevano, abbondantemente, fiocchi di neve, minacciosi.
Pazienza.
Il
mezzo procedeva, ma a velocita’ ridottisima. Egli rivide, nella sua
fantasia, il destino che lo stava aspettando. Nell’ Aula Magna
dell’Universita’ di Verve, avrebbe letto il suo saggio su Epicuro
e presentato il suo ultimo romanzo, davanti ad una platea
importantissima, per lui, mentre i membri dell’ Accademia e i
rappresentanti del Governo della Repubblica, avrebbero deciso, in
base al suo valore letterario, di assegnarli il premio ambito, cioe’
la cittadinanza onoraria.
Sarebbe
diventato cittadino della piu’ ricca nazione del Mondo. Ma, da
quanto ne sapeva, dai suoi libri che gia’ avevano letto, dagli
esperti che lo avevano presentato, Il gioco sarebbe stato facile. E
poi, qualcuno di sua conoscenza glielo aveva fatto sapere che, la
decisione positiva, era gia’ stata presa. Altrimenti, non lo
avrebbero chiamato a presentarsi davanti a loro e parlare delle sue
opere, cosi’ rapidamente.
Ci
fu un forte scossone, una fermata improvvisa. La neve era ormai
altissima e il corrierone non avrebbe piu’ potuto procedere.
“Che
succede?” si chiesero i passeggeri.
“Signori
mi spiace – spiego’ il conducente – ci dobbiamo fermare qui’,
ora.”
Un
brusio invase il mezzo.
“Che
facciamo?’
“C’e’
da percorrere un chilometro e mezzo nella neve.”
Rimasero
tutti atterriti.
“Si
arriva al passo da quella strada, dove gia’ avete le camere
prenotate nell Albergo.”
Tutti
presero le loro valigie e si avviarono. La donna non lo guardo’
nemmeno e se ne ando’. L’ubriaco dormiva e nessuno penso’ a
svegliarlo.
Pier
era un po’ spaventato, ma quella situazione lo inebriava. Aspetto’
che tutti se ne fossero andati, si accese un sigaro e penso’ a
domani.
Negli
altri paesi, verso Est di Vannonia, la gente era infelice, i diritti
umani, in special modo quelli delle donne, erano calpestati da tutti
e i governi erano ricchissimi, ma corrotti e malvagi, percio’ la
gente era costretta a vivere, suo malgrado, l’inferno peggiore.
Credevano
tutti in divinita’ orrende, che li portavano ad divenire
irrazionalmente bigotti, stupidamente superstiziosi e a fare guerra e
a provocare terrore, contro tutti quelli che non la pensavano al loro
stesso modo anzi, peggio, si ammazzavano tra fratelli e
correligionari.
I
capi religiosi, avevano affinato programmi scientifici per indurre i
giovani e il resto della popolazione, ad entrare nella loro assurda
mentalita’ e stile di vita. Si chiamava: “Lavaggio dei cervelli”.
Nessuno, nemmeno all’Occidente, sapeva farlo bene come lo facevano
loro.
Non
solo odiavano la Cultura e le opere d’Arte, moderne e antiche ma,
il solo sentirne parlare, li incitava a tirar fuori il mitragliatore
(di ultima generazione) e sparare.
Vestivano
come s’usava duemila anni fa e le donne, la cui bellezza era
sfolgorante, erano costrette (da mariti, padri o altri padroni) a
mascherarsi con scialli e velature piu’ o meno scomode, affinche’
nessuno potesse ammirare la leggiadria di cui la Natura, o Dio, le
aveva fornite. Molti di questi maschi dementi, erano terroristi che
terrorizzavano il mondo, non avevano paura di morire ma, il loro
terrore, consisteva nel pensare all’ipotesi (terrorizzante) di
essere cornificati. Per questo stupido motivo, nascondevano le grazie
delle loro donne.
I
popoli dell’Ovest, invece, molto piu’ moderni e progrediti,
civilizzati e laici, stavano tornando indietro, velocemente, sui loro
passi. Cultura e Civilta’, si stavano inaridendo dentro le vene
della popolazione occidentale. Molti avevano smesso di leggere libri
e lessero, solo, certi messaggi spediti da guru ignorati e
imbroglioni.
In
ogni citta’, le biblioteche, le librerie, i musei e i teatri
chiudevano e aprivano Casino’, sale giochi o centri scommesse o
negozi che vendevano solo robe inutili.
C’erano,
tra la popolazione, individui pronti a giurare sul fatto che, tutti
i pianeti, fossero piatti e non sferici e che il piatto chiamato
“Terra”, fosse invaso da mostri dalle sembianze umane e
circondato da scie pestilenziali.
Si
odiava e ripudiava, sempre piu’ e con maggior veemenza, la Scienza,
la Letteratura e le Arti e si disprezzavano coloro che avevano
studiato, con passione e sacrificio. La ricchezza era sempre piu’
concentrata mentre, la poverta’ diffusa, costringeva la gente a
fuggire e molti cercavano di entrare, con grande difficolta’, a
Vannonia, ultimo baluardo di Civilta’.
Ma
qui, il governo della Repubblica imponeva una selezione fortissima e
severa.
Solo
chi avesse l’animo nobile e intenti di Pace e Civilta’ e
Conoscenza, cognizioni scientifiche elevate, avrebbe potuto varcare
quel confine ed essere il benvenuto tra il popolo vannonese.
I
meriti di Pier erano stati vagliati attentamente. Questi pensieri,
ch’egli non lasciava mai, gli fecero perdere, come sempre, il
senso del tempo.
Poi,
usci’ nella notte buia e cammino’ sopra la neve.
Respiro’
l’aria odorante di ghiaccio e fu cosi’ che, Il silenzio e
l’atmosfera surreale, gli ricordarono la disgrazia successa al
padre, tanti decenni prima, quando era stato obbligato, da governi
cialtroni e inetti, ad invadere un paese che non era il suo,
attaccandone gli abitanti, senza averne la forza e i mezzi, per poi
finire, quello scellerato bullismo, in una disastrosa ritirata, tra
compagni di armata che cadevano nel ghiaccio, stroncati dalla fame,
dal freddo, dalla stanchezza e dalla paura. Per fortuna, suo padre
torno’ vivo da quel girone infernale, proprio per mettere al mondo
lui.
La
notte era giunta all’ora piu’ buia. Eppure, uno strano chiarore
la conquistava: erano le stelle che si riflettevano sul manto nevoso
e traformavano i fiocchi caduti in miliardi di brillanti e, la loro
luce, insieme a quella di altri pianeti, traformavano quell’angolo
di alta montagna in un magico Firmamento, rendendo il cielo
indistinguibile dalla terra.
E,
inevitabilmente, subito gli tornarono in mente i versi del grande
poeta ermetico, che lui adorava e che scrisse la poesia piu’ breve
del mondo: “M’
illumino d’ Immenso”
fu in quel momento, poco prima che il Sole arrivasse a scompigliare
tutto, con la sua fervida e accecante luce, che capi’, in pieno, le
parole del Maestro di vita.
Mentre
affondava le scarpe, troppo leggere, nella neve e la sua mente
affondava in tali, grandissimi pensieri, con la valigia in spalla e
il sigaro in bocca, senti’ un ronzio alle sue spalle. Fu felice di
scorgere un giovane militare in motoslitta che lo chiamo’.”
“Vuoi
un passaggio all’Albergo?” E sali’ sul mezzo da neve.
Quando
entro’ nella Hall, il recepsionist stava dormendo appoggiato al
bancone, con la teste nelle mani. Russava.
“Buongiorno
– lo sveglio’ Pier – posso avere le chiavi della stanza?”
Sobbalzo’
sulla sedia, tanto che, il suo parrucchino biondo, si sposto’ di
lato.
“Subito
signore, lei e’ l’ultimo cliente, qui ci sono le sue chiavi.
Stanza 69, secondo piano.”
Quando
Pier inseri’ le chiavi, scopri’ che la porta era gia’ aperta.
La cosa lo inquieto’ non poco, ma entro’ lo stesso,
“tanto
il guardiano sara’ gia’ andato a dormire’, penso’. Si accorse
che, dentro, c’era gia’ stato qualcuno. Avanzando, scorse dei
vestiti e, spostando le coperte, ebbe un sussulto.
Lo
prese un colpo al cuore. “Mi perdoni” disse, quando vide che il
letto era gia’ occupato. Da una donna. Non una donna qualsiasi.
Dalla sua vicina di autobus.
Con
le sue mani bellissime, Lei si copri’ il seno, anche se non del
tutto.
Pier
si giro’ e chiuse gli occhi.
“Forse
mi sono sbagliato, signorina, mi scuso, me ne vado subito.”
La
signora rispose e Pier risenti’ la sua voce angelica.
“Mi
spiace signore, forse ho sbagliato io.”
A
quelle parole, le prime che rivolgeva a lui, pronunciate con una
grazia che non e’ di questo Mondo, l’uomo ebbe una reazione che
gli provoco’ i brividi alla schiena.
“Andiamo
dal portinaio” penso’ Pier.
“Stara’
gia’ dormendo, a quest’ora – affermo’, stranamente e con un
certo imbarazzo, la donna - se vuole io mi sistemo in divano.”
“Neanche
a parlarne, signorina, in divano ci vado io, scusi se ho spostato le
coperte, non volevo vederla cosi’ spogliata.”
La
donna rispose con un sorriso che non lo avrebbe fatto dormire per
tutta la notte.
Quando
fu sul divano, dopo tanto tentennamento, prese il coraggio.
Le
disse: “Io mi chiamo Pier.”
“E
io sono Brunetta” rispose la voce celestiale.
La
stanza era buia, ma i due erano vicini e Pier si sentiva vicinissimo
a quella bella signora. Parlarono molto e lei gli racconto’ della
sua vita. Gli rivelo’ che era sfuggita dal suo paese e che era
venuta a Vannonia in cerca della nonna, che mancava da molto.
Aggiunse che anche lei, come la nonna che era fuggita quando ancora
lei era in fasce, aveva subito, nel paese bello, maltrattamenti e
angherie di ogni sorta e che la situazione, in quel momento, stava
peggiorando, proprio come nel periodo, lontanissimo, in cui fuggivano
tutti.
“Dove
e’ diretta?” Le chiese.
“A
Verve. Dovrebbe trovarsi li’, mia nonna, quando arrivo ho un
indirizzo dove andarla a cercare e tu?”
“Anch’io
sono diretto in questa citta’, la fine della corsa per il nostro
autobus, se riescono a smuoverlo dalla neve.”
Dal
suo gentile, ma dimesso, tono di voce, capi’ che quella donna
doveva aver sofferto molto per scappare dalla sua casa.
“Domani
sara’ una bellissima giornata.” Sentenzio’ Brunetta e cadde nel
sonno profondo, con un leggero brontolio nella gola.
Pier
non aveva mai sentito, in vita sua, qualcuno russare in modo tanto
sensuale.
L’indomani,
fu realmente un tempo meraviglioso. La neve abbondava su tutto il
passo e sulle vallate sottostanti, ma il corrierone aveva grosse
catene e, di la’ a qualche chilometro, la strada sarebbe tornata
accessibile, vista la velocita’ e il lavorio dei mezzi sgombraneve.
Brunetta,
durante il viaggio, non si sedette vicino a Pier. Forse era timida o
forse imbarazzata per aver passato la notte con lui, anche se niente
era accaduto.
Pier
ripasso’ i suoi appunti su Epicuro, li rilesse e cambio’ qualche
frase. Poi si mise a rimirare il paesaggio.
L’autobus
affronto’ ancora qualche tornante per scendere, dalla parte
opposta, quella della via che porta al mare e gia’ si vedevano, in
lontananza, le magnifiche gole del fiume Seiball, sacro alla Patria e
dai colori incredibili. Era nella sua fase iniziale, pareva un
torrentello, ma di li’ a poco sarebbe diventato un nobile e potente
rio che avrebbe attraversato le piu’ belle citta’ dello stato.
Finita la discesa ripida, mentre i passeggeri trattenevano il
respiro, apparvero le meravigliose cascate del Cacciatore dove,
dall’alto, una famiglia di cervi dal corno alato ammirava il
passaggio del torpedone, tranquilli e sereni perche’, da molti
anni, la caccia era stata abolita dal Governo e i cervi erano
divenuti patrimonio nazionale.
La
discesa a valle era compiuta. Passavano, davanti a loro , dolci
colline colme di viti: un vino dolce, pronto per i prossimi mesi. La
strada verso il mare era spianata, anche se mancavano tanti
chilometri alla meta.
Era
Estate, si vedeva bene e faceva caldo, anche se sui passi di
montagna, sopra i tremila metri, la neve sarebbe caduta per tutto
l’anno.
Poi
lo vinse il sonno, dato che, durante la notte, non aveva dormito,
naufrago com’era tra pensieri sacri e profani, tra idee grandiose
per il suo futuro e sogni irrealizzabili sulla donna che dormiva in
quel grande letto, tanto vicino e tanto lontano.
A
qualche ora dall’arrivo, l’autobus fece una sosta per il
rifornimento.
Si
fermarono in un bar ben fornito e scesero tutti. Pier pensava di
rimanere a dormire, ma realizzo’ che, un buon caffe’ lungo, era
quello che ci voleva.
In
un angolino del bar, noto’ Brunetta che se ne stava ferma e rigida,
senza far niente. Guardava gli altri e non si muoveva. Immagino’
che, forse, la ragazza non portasse molto denaro con se’, del
resto gliene aveva raccontate tante questa notte, di storie,
parlandogli dei suoi guai e delle sue sfortune.
“Posso
offrirti un caffe’?”
“No,
grazie,” rispose lei deglutendo.
Pier
la prese sotto il braccio e la porto’ davanti al bancone lustro, di
vetro e cristallo e contorni in ottone, ben fornito. Immenso.
“Un
cappuccino per la signora – ordino’ al barista molto impegnato
con numerosissimi clienti – e qualcosa di dolce.”
Brunetta
fece no con la testa.
“Cosa
mangi?” chiese Pier perentorio.
“Forse
un croissant” rispose timidamente,
“Cinque
croissant caldi, prego, con marmellata di pesche.”
“Ma
io non ce la faro’ mai a mangiare cinque croissant” disse
Brunetta.
“Non
preoccuparti, uno la mangio io.”
E
il viaggio del torpedone prosegui’, tra magnifiche vallate odorose
di erbe aromatiche e pianure fertilissime e pini marittimi, che
indicavano la via del Mare Grande.
Nell’ultima
parte del viaggio, Pier la volle vicina, vicinissima.
Parlarono
a lungo e lei le racconto’ dei gravissimi problemi che aveva dovuto
affrontare nel suo paese che era, poi, anche quello da cui lui stesso
proveniva.
Un
grande, anche se piccolo, paese pieno di Arte e Storia e bellezze
naturali. Se possibile, molto piu’ bello anche della stessa
Vannonia, ma da cui, per una qualche strana maledizione, si stava
fuggendo. Lei lo strinse forte. Avrebbe voluto rivelargli moltissime
altre storie e non ne aveva il coraggio. Ma capirono di avere molte
cose che li legava insieme. Per la prima volta, le loro labbra si
toccarono.
Attraversarono
il grande e maestoso “Ponte della Concordia Mondiale” sul punto
piu’ panoramico del fiume Seiball. Era una giorno caldo e molti si
bagnavano o prendevano il sole sui tanti parchi che contornavano le
sue rive. D’inverno era sempre ghiacciato e il colpo d’occhio,
nel vedere una moltitudine di pattinatori scivolare danzando, era
imperdibile.
La
vicinanza della donna lo aveva fatto calmare. Gli riprese il sonno.
Stavolta dormirono insieme, ma molto piu’ vicini di prima,
abbarbicati l’un l’altra.
Si
svegliarono assieme, quando udirono rumori forti, odore di salsedine
e la voce dell’ autista che urlava: “Verve, citta’ di
Verveeeeee. Fine corsa.”
Si
ritrovarono in una citta’ meravigliosa, quasi una Utopia
realizzata. Snelli e maestosi grattacieli ecologici, ricoperti
sapientemente di ogni tipo di alberi ed erbe rampicanti, si
stagliavano verso un cielo azzurrissimo, meravigliose villette
contornavano ogni strada ed ogni via. Negozi d’ogni tipo e un
brulicare frenetico di persone eleganti.
A
Pier, appena sceso dalla stazione centrale delle corriere, venne
incontro il carissimo professor Bacchini, anch’egli proveniente
dallo stesso paese di Pier e Brunetta. Era, questi, il presidente dei
docenti universitari della citta’ di Verve. Un uomo di scienza, che
aveva avuto rapporti di amicizia con la famiglia di Pier ed era
stato, proprio lui, a convincerlo di venire in Vannonia e lo aveva
aiutato con tutte le sue forze. Lo abbraccio’ e lo trascino’
verso l’Accademia, dove tutti lo stavano aspettando. Fece in tempo
a salutare Brunetta. La guardo’ andare via tristemente. Forse,
quella, l’ultima volta che si sarebbero visti. Mai piu’ rivisti.
Il suo cuore era molto addolorato, continuava a girare la testa verso
quella creatura meravigliosa. Anche lei, ogni tanto si girava a
guardarlo tristemente. Ma la vita e il professor Bacchini, lo
trascinavano via.
L’Aula
magna della antica e famosa Universita’ “Yujanka Accademia d’
altissima Cultura delle Scienze e della Letteratura”, era colma di
gente elegante e raffinata. Moltissimi i giovani, vestiti come usano
vestire loro, chi elegantissimo, chi come un bullo di periferia, pur
appartenendo alle migliori famiglie della migliore citta’ della
migliore Nazione.
Lo
accolse il Magnifico Rettore, Professor Dottor Ignazio Ferramonte, di
nobili origini, una famiglia antichissima proveniente dallo stesso
Bel Paese, sempre quello, da cui arrivavano tutti loro. Figlio di
generazioni di artisti, scienziati e condottieri. Rappresentava bene,
costui, il prototipo del genio. Bello, alto, spalle possenti, voce
stentorea e cultura senza limiti. I suoi scritti e i suoi
interventi, in varie materie, erano conosciuti da ogni parte. I suoi
consigli erano cercati e ben pagati dai potenti di tutto il Mondo, le
donne cadevano, letteralmene, ai suoi piedi. Lo sapeva e ne era
compiaciuto.
Piu’
e piu’ volte aveva battuto ogni sorta di computer di ultima
generazione, nei vari test di intelligenza e nel gioco degli scacchi.
Conosceva dodici lingue e seicentocinquanta dialetti. Diede un bacio,
accademico, di benvenuto allo scrittore.
Pier
entro’ in Aula e fu un mezzo trionfo. Dopo la lettura dei suoi
testi, il trionfo fu completo. Aveva citato Epicuro e la sua
filosofia, aveva parlato del rapporto del filosofo con la morte:
“Se
c’e’ lei, non ci sei tu,
fin
che ci sei tu, lei non esiste.”
Poi,
aveva presentato il suo romanzo dedicato, completamente e
dettagliatamente, alla sua citta’, alla sua storia millenaria e al
bel paese da cui proveniva. Quasi tutti, poi, comprarono il suo
libro: quella sera, di sicuro, avrebbe potuto permettersi, di
mangiare al ristorante. Il Magnifico Rettore, che era andato a
congratularsi, gli chiese di tornare tra due giorni, dove avrebbero
presentato gli altri suoi libri e commentato liriche di vari poeti.
Ormai egli era entrato nella Cultura Vannonese, la Cultura Mondiale.
La
serata fu fantastica. Cenarono tutti assieme, Ferramonte, Bacchini e
altre trenta persone, in un magnifico ed elegantissimo locale da cui
si dominava il Mare Grande, lo skyline illuminato del centro, lo
splendore dei parchi e della zona verde, illuminata da mille colori e
da sculture piene di luci.
La
festa duro’ tutta la notte, continuo’ nella splendida villa del
Magnifico Rettore, posta perfettamente sulla Paradise Hill, la
collina piu’ cool della citta’, dimora delle magioni dei piu’
alti personaggi del Jet Set, della Cultura, del cinema, degli affari,
della politica e dell’Arte.
I
camerieri servivano buffet volanti a base di ostriche, cicchetti di
aragosta della Baia delle arance, filetti di dentice al melograno e
una mousse di pesce spada e rombo che, qualche giorno addietro, aveva
vinto il primo premio al campionato mondiale del gourmet.
Pier
alloggio’ al grand hotel Hilton e Regina, uno dei cinque piu’
lussuosi alberghi del pianeta, con piscina in camera. Nella sua
stanza, una foto indicava che, qualche anno prima, anche la Regina
Elisabetta aveva alloggiato, con tanta soddisfazione, in quello
stesso luogo e aveva ben riposato in quel letto a tre piazze.
Eppure
non riusci’ a dormire. Pensava sempre a quella ragazza. Lei lo
aveva lasciato e ora non sapeva come avrebbe potuto fare per
rivederla, almeno, un’ altra volta nella vita sua.
L’indomani,
passo’ la giornata a bighellonare tra i mille parchi della citta’.
Preferi’ dirigersi al piu’ conosciuto, quello nel pieno centro e
vicino alla stazione. Sul far del pomeriggio, vide una donna seduta
sulla panchina, ma non ci fece caso. Si disse che assomigliava a
Brunetta e la guardo’ sgranando gli occhi, perche’, da lontano,
non ci vedeva bene. Anche se, almeno altri milioni di donne, che
aveva visto quel giorno, parevano somigliare a Brunetta.
Ma
la ragazza, stavolta, era quella giusta, lo saluto’ con la mano
perche’, da lontano, lei ci vedeva bene e, a Pier, gli prese un
groppo in gola. Era proprio lei. Si mise a correre ed arrivo’ alla
panchina in un decimo di secondo, anche se non fu pero’, la corsa,
che gli provoco’ quell’esagerato battito del cuore e il fiatone
da maratoneta poco allenato.
Pero’,
una volta avvicinatosi, si accorse che, la sua ragazza, stava
piangendo.
“Beh,
che c’e’?” fece lui. Immensamente felice di averla ritrovata.
I
lacrimoni scendevano dal volto bellissimo, solcandone ogni sua curva
e Pier sentiva di amarla con tutto il cuore.
Lei
non aveva voce da rispondere. Le si sedette accanto. Fu Brunetta a
mettere le mani attorno al collo di Pier e ad attaccarsi, con tutte
le forze, al suo corpo.
“Amore
che c’e’?” le chiese.
“Amore.”
“SI?”
“C’e’
che devo andare via.”
“Perche’?”
“Mia
nonna e’ morta mentre stavo arrivando, non ho fatto nemmeno in
tempo a baciarla.”
Pier
la strinse di piu’ a se’.
“Ed
ora non ho piu’ motivi di stare qui. Ho fatto domanda per avere un
permesso, la Polizia sta aspettando ordini. MI hanno dato un alloggio
nella sede della questura per l’immigrazione, mangiare e dormire
eppero’ se decidono di mandarmi via, devo tornare al paese. Ma li’
non mi e’ rimasto piu’ niente. Non voglio andarci.”
Si
capiva che lei avrebbe voluto dirgli che voleva restare per lui. Ma
non ne avrebbe avuto mai il coraggio.
“Puoi
stare con me.”
“Magari
lo potessi fare. Devo rientrare entro le sette, ordini prescisi,
altrimenti commetto un reato e mi mandano via immediatamente, senza
esaminare, nemmeno, la mia domanda.”
Pier
e brunetta, abbracciati, parlarono per ore e lei gli racconto’
molte altre cose che, prima, aveva evitato e omesso di rivelargli,
alcune veramente insolite. Per l’uomo furono descrizioni che non si
sarebbe mai e poi mai aspettato.
“Sai
Pier, io ti conosco da molto.”
“Mi
conoscevi gia’? Prima di incontrarmi?’
“Si’
amore mio. Ho letto tutti i tuoi libri. Li adoro e adoro te.”
“Ti
sei proprio innamorata per quel che scrivo?”
“In
realta’, mi sono innamorata quando ho visto la tua fotografia alla
fine del libro, il primo. Poi ti amo per quello che pensi, dici,
scrivi.”
Pier
respirava a fatica.
“Ho
fatto di tutto per poterti incontrare, decisi di vederti quando seppi
che eri in Vannonia, proprio quando c’ero io, un segno del
destino.”
“Ok
A, ma una domanda: come facevi a sapere che ero in quell’autobus e
come hai potuto prenotare il biglietto proprio vicino al posto mio?”
“Tesoro,
non avevo prenotato, ho fatto andare via lo sbronzo con un
sotterfugio.”
“Non
avevi prenotato?’
“Se
e’ per quello, non avevo nemmeno il biglietto. E chi li aveva i
soldi?”
“Aaahh.”
“Anche
per l’albergo in cui abbiamo dormito io e te. Non avendo biglietto,
non avevo nemmeno la prenotazione in camera.”
“Eeehh.”
“Per
cui, quando arrivai in albergo, corsi a leggere, di nascosto, il
numero della tua camera sul registro, presi la chiave della tua
stanza, salii le scale per aprirla, poi scesi e le rimisi in
portineria e andai ad aspettarti.”
“Iiihh.”
“Mi
spogliai tutta e mi infilai nel tuo letto, con il cuore che batteva
forte nell’attesa.”
“Ooohh”
“Mi
sarei aspettata che tu, nel vedermi nuda quando avresti spostato la
coperta, avresti fatto subito l’amore con me.”
“Uuuhh.”
Avendo
finito tutte le vocali dell’ Alfabeto, Pier non ebbe piu’ nulla
da dire. Ma, a quelle parole, qualcosa si mosse in lui ed ebbe una
forte reazione.
Penso’:
“Anvedi la santarellina”, poi bacio’ forte quella ragazza
fantastica e si addoloro’ con se’ stesso per la stupida
ingenuita’ che aveva avuto.
Poi
Brunetta lesse l’ora esatta, nel grande orologio illuminato del
parco. Erano le sei e quarantacinque minuti. Urlo’:
“Pier
e’ l’ora, devo scappare o non arrivo in questura.”
“Aspetta,
ti accompagno.”
Corsero
assieme. Dopo cinquecento metri, la ragazza grido’ a Pier:
“La
borsetta e’ qui. Manca il diario, noooo il mio diario. Pier, ti
prego prendilo.”
“Io
torno indietro e lo recupero. Tu vai di corsa.”
Pier,
poi, torno’ verso il suo alloggio, con il diario della donna in
mano. Lo annuso’, ne assaporo’ il contatto con la copertina in
pelle e lo inseri’ nel suo borsone di pelle nera.
Passo’
gran parte della sera, una volta tornato nel suo alloggio, a mettere
in ordine i suoi appunti. Poi, rovistando tra borsa, gli arrivo’
nuovamente in mano il diario della sua amata ragazza.
Lo
lesse e inzio’ a commuoversi, c’erano scritti i ricordi di lei,
vergati in bellissima e chiara calligrafia, storie tristi e sogni da
realizzare e c’erano poesie: erano poesie bellissime. Inizio’ a
leggerle tutte, con avidita’.
Fin
dalle prime righe, capi’ che qualcosa, di misterioso, lo stava
legando indissolubilmente a quella donna. Ebbe un sussulto quando,
dopo aver pronunciato a voce alta i versi che piu’ lo avevano
conquistato, noto’ la dedica scritta sotto.
Erano
tutti dedicati, quei meravigliosi versi, a un solo uomo.
Titolo:
“Ci sono uomini, ci sei tu”, dolce poesia, poi la sua frase
amorosa: “A Pier, l’uomo della mia vita.”
“Aveva
dedicato tutto questo a me. Proprio a me, che non la conoscevo.”
Cosi’
riflette’ tra se’. S’eran fatte le tre di notte. L’indomani
mattina avrebbe dovuto sostenere una conferenza davanti a centinaia
di studiosi. Non aveva ancora dormito e non lo avrebbe fatto neanche
dopo. Si sdraio’ nel letto a pensare. “Ma si’, ecco la
soluzione.” Urlo’. “Faro’ Proprio questo. Eureka.’
La
giornata si presentava con un cielo terso, il sole ancora tiepido e
gia’ la citta’ era in piena di frenesia. Dal bar, usciva un aroma
di caffe’, che lo richiamo’, come le sirene di Ulisse, mentre
l’eroe era legato all’albero maestro. All’interno, il bancone
sfoggiava ogni tipo di creazione pasticcera. Croissant di venticinque
gusti diversi, paste con crema, cioccolato, zabaione, frutti misti di
bosco e di stagione, baba’ alla panna e baba’ al rhum, cannoli
alla siciliana, meringhe con panna. E questo solo al primo banco.
Sorseggio’
un caffe’ doppio bollente, fortissimo e nero, con poco zucchero e
gusto’ una meringa. Voleva restare sveglio.
Entrando
nella sala che lo attendeva, noto’ che era gremitissima, piu’ del
giorno precedente.
Pronuncio’
alcune frasi di presentazione, poi esclamo’:
“Di
me sapete molto, avete letto o visto i miei libri e spero che ne
comprerete tanti.” Frase ruffiana, applauso sincero.
“Ma
oggi vi leggero’ alcune poesie. No, non mie. Di una persona che e’
uscita da un altro paese e che sta cercando di vivere qui. In un
posto in cui gli animi sensibili e veritieri, saranno sempre accolti
con le braccia aperte.”
E
prosegui’ a leggere parole dolci e leggiadre, come le dame
rinascimentali. “....ci
sono sognatori che con le parole scrivono pagine di amori.......in un
foglio pulito trovai il mio nome ben custodito..Con un bacio t’ ho
restituito l’inchiostro rosso....”
Un’altra: “Baci,
cerchi ovali che si posano tra i respiri......respiri ritrovati hanno
il sapore del primo sogno.....di fanciulla maliziosa e di giovane
curioso...”
Ricordavano,
le parole di Brunetta, certi versi di Umberto Saba, il cui omaggio
poetico alla donna amata fu definito:
“Canzone
amorosa di un grandioso e orami famoso scrittore, il quale provo’
e descrisse meravigliosamente, quel sentimento che uno scolaro
avrebbe dedicato, di nascosto dalla maestra, alla sua compagna di
banco...”
Alla
lettura di quelle poesie, che sembravano canzoni, come quelle canzoni
che sembrano poesie e sono, poi, la stessa cosa, molti si esaltarono
come ad un concerto rock.
Infatti,
Pier le leggeva cantando, versi che parevano musicati da un
cantautore di grido.
Il
pubblico sembrava eccitato. Scorse, tra mille persone, la grande
figura del Presidente, che stava informandosi sul nuovo arrivato, coi
suoi collaboratori, seduti vicino a Lui, Ferramonte e Bacchini e
altri dell’Accademia.
Trasali’
quando vide che, il Presidente in persona, lo guardo’, alzo’ il
braccio e, novello Cesare, schizzo’ il pollice verso l’alto.
L’uomo
si senti’ un gladiatore. S’accorse di aver combattuto una lotta
strenua contro i leoni, quelli con cui aveva lottato sempre, nella
sua vita, la bella Brunetta.
Finita
la conferenza, Pier chiamo’ i suoi amici. Andarono di corsa al
centro immigrazione della Questura.
Entro’
per primo e chiese, al poliziotto, di Brunetta. Questi guardo’ nel
registro, non capiva. Usci’ e inizio’ a cercarla nelle altre
stanze e in dormitorio. Purtroppo, di lei, non c’erano notizie.
Sapeva
soltanto, essendo arrivato da appena una mezz’ora in servizio, che
uno scaglione di stranieri era stato condotto, alla dieci circa,
verso l’aeroporto internazionale per il rimpatrio, ma non gli
risultava che ci fosse stata anche lei, li’ in mezzo. Il registro
parlava chiaro. Cominciarono tutti ad essere preoccupati, Pier, I
suoi amici e i poliziotti ancora di piu’, visto che ne erano
responsabili.
Il
clima si stava surriscaldando tra varie accuse reicporche. Bacchini
propose di recarsi all’aeroporto, anche perche’, dato che gli
stranieri erano tutti di varie e diverse provenienze, i preparativi
per i tanti rimpatrii erano sempre assai lunghi.
Nel
trambusto generale, passo’ di la’ un giovane poliziotto, era poco
piu’ che adolescente. Con l’aria smarrita e sognante dei teen
ager, chiese cose stesse succedendo. Uno dei poliziotti gli domando’
se avesse visto una donna e se sapesse, per puro caso, dove fosse
andata a finire. Gli spiegarono com’era fatta, dei suoi capelli e
della sua altezza. Fece un sospiro lunga, con la faccia brufolosa e
rispose:
“Ah
quella col caschetto, un vestito un po’ vintage, magra e dal viso
assai dolce.”
Tutti
annuirono.
“Quella
con il sederino un po’ in fuori, il seno piccolino, ma ben fatto,
insomma con tutte le cosine a posto.”
Pier
incomincio’ proprio a innervosirsi. Ma questi continuo’
“Proprio
una gran bella donna, una voce che sembra un sogno di una notte mezza
estate e un profumo soave, un portamento di classe, uno sguardo
altero, ne ho viste poche cosi’.”
“Senti,
giovane, limitati a dire se l’hai incontrata o no, che non abbiamo
tempo da perdere.”
“Ma
sono un poliziotto.”
“Si’,
ok giovane poliziotto dall’aria estasiata e dalla lingua lunga,
l’hai vista?”
“Certo.”
“Certo
che?”
“L’ho
vista”
“E
allora?”
“E’
qui.”
“Qui
dove?”
“Qui
da noi, che domande.”
“Ma
da noi doveeee?”
“E’
in infermeria. E’ ricoverata. Questa mattina, ha dato in
escandescenze, perche’ non voleva essere rimpatriata e ha tirato un
calcio contro la porta, ma trattavasi, ahime’, di una porta finta,
di cemento. Si e’ fatta male a un piede. Propria una bella botta
violenta. L’abbiamo curata, fatto delle lastre e stiamo decidendo
se mandarla all’ospedale. Vederla cosi’, sembrava proprio una
furia. Le abbiamo somministrato dei calmanti.”
Pier
fu subito nel suo letto. Lei lo guardo’ con felicita’, la sua
felicita’ triste.
“Cosa
hai fatto?”
“Niente
amore. Mi hanno fatta arrabbiare. Ho solo assestato un piccolo calcio
a un muro.”
Tocco’
il suo piede che era mezzo fasciato. Al contatto con le sue mani,
Brunetta ebbe un tremito. Non si capiva se si fosse trattato di
dolore o di piacere. Dal tipo di risposta, nella voce della ragazza,
si propenderebbe piu’ per la seconda ipotesi.
Intanto,
nella sala del comando in questura, s’era acceso un dibattito
serrato su come i poliziotti avrebbero dovuto comprendere in tempo e
intervenire a riguardo delle persone stressate, prima che potessero
arrivare a farsi male da soli.
“Ma
se e’ una matta, e’ colpa mia?” disse il poliziotto in maniera
impertinente.
“Voi
poliziotti siete gli angeli del cittadino - lo redargui’ Bacchini
- o lo dovreste, almeno, essere. Non avete forse studiato, nel corso
in cui ogni tanto porto i miei insegnamenti, le tecniche psicologiche
per intervenire sui casi di attacchi di panico?”
“Ma...
pero’...insomma.”
Il
poliziotto non riusci’ proprio a rispondere all’accademico. Di
solito egli era felice di vivere a Vannonia e servire il suo paese,
ma in quell’ occasione penso’, solo di striscio, a quanto sarebbe
stato meglio esercitare la sua dura professione in quei paesi in cui,
non essendoci molta Democrazia, avrebbe potuto, ogni tanto,
manganellare qualcuno a suo piacimento e godimento.
Il
dibattito sui massimi sistemi politici e civili, prosegui’ fino
all’arrivo della maggiore autorita’. Il Presidente? No, L’esimio
e onorevole Dottor Ignazio Ferramonte, che s’era attardato per un
momento, li’ fuori, a firmare autografi a un nutrito e deciso
gruppo di donne in eta’ quasi matura.
Basto’
la sua presenza a calmare gli animi.
Si’,
perche’, nei vari paesi del Mondo, valgono e contano molte e
variegate doti per essere al Potere. In alcuni, quel potere ce
l’hanno i religiosi, in altri i finanzieri e i padroni dell’
Economia, in altri ancora lo detengono i militari e i golpisti. I
capi tribu’ o gli sciamani. In molti stati, piu’ banalmente, i
Politici, specie quando vengono eletti dal loro popolo.
A
Vannonia, invece, il potere e’ tutto nella Cultura. Ignazio
Ferramonte, se non altro per il suo genio, conta piu’ del
Presidente in carica. Non perche’ sia un golpista, ma perche’,
naturalmente, ogni mattina appena sveglio, il Presidente chiama, per
aver consigli, tutti i maggiori esperti delle Scienze Umane e
Tecnologiche. E Vannonia funziona. Il popolo vive bene. L’economia
tira. E il resto del Mondo la invidia.
Ignazio
Ferramonte consegno’, di persona, i documenti per la permanenza nel
paese intestati a Brunetta e li mostro’ al poliziotto. Con la
firma, a inchiostro ancora umido, del Premier vannonese. Il
poliziotto, continuera’ poi, per molto tempo nella sua vita, a
chiedersi chi fosse, veramente, questa Brunetta cosi’ importante
per tutta quella gente altolocata e Vip.
Quando
tutti se ne furono andati, anche il poliziotto che fu sostituito da
un altro fresco e riposato, entro’ il giovane questurino e porto’
i documenti pronti, per le dimissioni dall’infermeria, di Brunetta.
Disse che le radiografie confermavano che il piede era a posto, solo
una bottarella ( lo disse un po’ ambiguamente). Fece gli auguri e
se ne ando’, mentre continuava a spiare, con una certa libidine, le
grazie della donna.
“Puo’
andare quando vuole, signora, la saluto e mi scuso per tutto. Torni
quando desidera.”
Pier
non intui’ cosa corresse nella testa del postadolescente, venuto a
fare il poliziotto, invece che servire in un Mc Donalds, comunque lo
ringrazio’ e chiese alla sua ragazza se fosse in grado di
camminare, lei rispose che non lo sapeva. Lui la prese in braccio e
la porto’ via con se’, senza sentirne il peso.
Mentre
uscivano dalla Questura Reparto Immigrati, la donna che lui teneva
amorevolmente in braccio, lo bacio’.
Era
un pomeriggio lmpidissimo, si stava bene al Mondo. Cammino’ col suo
amore tra le braccia verso la spiaggia. Lei provo’ a scendere e a
camminare piano, zoppicava ma non soffriva piu’ di tanto.
Nel
lungomare di Dante Beach si leggevano, scolpiti in una pietra
rivestita d’oro, i versi dell’ ultima parte, nonche’
dell’ultima cantica, del Sommo Vate. Gli amministratori li avevano
dedicati a questa stupenda marina:
“A
l’alta fantasia qui manco’ possa;
ma
gia’ volgeva il mio disio e ‘l velle,
si’
come rota ch’igualmente e’ mossa,
L’Amor
che move il sole e l’altre stelle”
Era
interrotto da continue e nascoste spiaggette, a quell’ora nessuno
faceva il bagno, era il momento in cui la calma del mare, il cielo
dai colori cangianti rapidamente, il silenzio dell’atmosfera,
avrebbero creato, in chi si fosse avventurato a bagnarsi, una sorta
di estasi catartica che liberando dalle angosce porta, pero’, a uno
stato contemplativo il quale, a volte, puo’ condurre l’individuo
che ne e’ catturato, verso strade incerte e mete sconosciute. Per
questo motivo, tutti i bagnanti rientrano, molto prudentemente, a
quest’ora.
Il
sole iniziava ad avviarsi al tramonto, ma si vedeva che non ne aveva
una grande voglia. Senza fretta, sembrava fermarsi un poco, poi
ripartire con calma, scaldare ancora per inabissarsi, alla fine,
verso altri continenti.
I
due si sedettero in un chiosco sulla spiaggia, lo ricopriva un tetto
di paglia: un signore dall’aria flemmatica servi’ loro
l’aperitivo che aveva appena preparato. Era freschissimo. Il barman
aveva aggiunto, al succo di anguria e melograno, una parte di
zucchero di canna, quello che alza la gradazione alcolica, molto
ghiaccio, una spruzzata di selz e un liquore che nessuno sapeva cossa
fosse e che lui, manco sotto tortura, avrebbe voluto rivelare.
Qualcuno, in passato, aveva mostrato il sospetto che si trattasse di
una specie di grappa, prodotta con cannabis e la fusione di foglie di
coca del sud. Di certo, sorti’ un bell’effetto sui due che se
l’erano scolato, chiedendone il bis.
Ridendo
e spingendosi tra loro, abbracciandosi a tratti e unendo le labbra in
continuazione, arrivarono ad una spiaggia isolatissima. Il mare era
troppo calmo, il sole ancora non voleva oscurare il cielo, ma gia’
si intravedevano, vicinissime, milioni di stelle. Non si udiva
nemmeno, lo sciacquio di un’ onda. Pier si tuffo’ nell’acqua
trasparente e lei lo segui’. Continuarono a scherzare per un po’,
a toccarsi bagnati, a unire le loro labbra.
Il
mare cristallino s’era fatto, ormai, di un colore rosso fuoco.
Brunetta usci’ dall’acqua e Pier noto’ che, mentre saliva su
uno scoglio, era nuda.
D’altronde
nudo era anche lui e a Vannonia nulla e’ proibito.
Capi’
che si stava realizzando un sogno ricorrente, che Pier ripeteva,
sempre lo stesso, da anni.
Volse
lo sguardo verso il cielo, meravigliosa visione, poi riguardo’ lo
scoglio in cui, la sua musa, stava distesa a pancia in su, rilassata,
col gusto del liquore sulle labbra e a occhi chiusi. Usci’ dal mare
e si avvicino’ a lei, bacio’, in primis, il piedino dolorante,
poi sali’ verso le gambe e prese a baciare, dopo averla
massaggiata, la pelle della sua pancia, assaporava un gusto salato e
dolcissimo. Lei continuava a tenere gli occhi chiusi.
Sussurro’,
con la sua voce conturbante e sensuale:
“Piu’
giu’, vai.”
Poi,
le sue labbra risalirono.
Bacio’
il suo seno e arrivo’ alla bocca che, finalmente, lei apri’.
Fu
in quel mentre, che l’uomo sprofondo’ in un bacio convulso e
precipito’ dentro una paurosa voragine.
Si
accorse che, invece di cadere, stava volando. Si giro’ nuovamente,
guardo’ verso il cielo ormai buio e conto’, stavolta, un miliardo
di stelle e capi’ che, quel puntino rosso in un primo piano
lontano, rappresentava la luce preziosa del pianeta Marte.
Estasiato,
senza tempo, davanti all’Universo.
Continuo’
a baciarla e non smise di vedere le stelle e, anche con gli occhi
chiusi, gli apparvero pure quelle descritte da Dante.
Gli
vennero alla mente allora, trovandosi disperso in quel grande mare,
davanti a tanta grandezza, senza capire dove si trovassero il nord o
il sud o l’est o l’ovest, le parole, dolci e tristi, del poeta:
“Cosi’
tra questa immensita’ s’annega il pensier mio: E il naufragar
m’e’ dolce in questo mare.”
Story by Pier Angelo Piccolo