La verità
è che noi
non riusciamo a restare
in uno spazio felice.
Noi scappiamo. O meglio,
più che dalla felicità
fuggiamo dalla gioia, perché la gioia
– non so se l’avete mai provata –
è un sacco lacrimale che si riempie
di sorrisi. La gioia è esistere
in un’unghia
come si abitano le gambe.
È udire
il gorgoglio dei reni,
è il passaggio tiepido
del sangue. La gioia
è uno stomaco
che si riempie di pioggia.
Sono due polmoni
che si svuotano di infanzia
e si imbottiscono di ossigeno.
È occupare il proprio corpo,
come miele
in un barattolo,
con ogni parte di sé: sentire le mani, i piedi
e il cuore
come si sente il calore davanti a un caminetto
nel viso. La gioia è spostarsi, lievissimamente
per guardarsi
mentre si dorme, e provare tenerezza
per la propria universale
compattezza.
“Guarderai il cielo”.
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