Capitolo nono
INNOCENZA
Il racconto di Gionni
e riflessioni sulla giustizia
sommaria
Non
avrei mai pensato, vi giuro, di finire in un carcere italiano. In
tutti i miei numerosissimi e fecondi viaggi intorno al mondo ho
visto, ho capito e ho fatto tante di quelle cose … ho anche
rischiato, più volte, di morire. Ma ritrovarsi in una orribile
prigione di rigore, e soltanto perché la foto incollata ai documenti
non mi assomigliava, almeno a parere del gendarme, è cosa da matti.
E’ proprio
la fine del Mondo (nessuno rise alla impropria battuta).
Della mia
vita non ho molto da dire, sono ancora assai giovane, però ho
compiuto diversi viaggi, anche lontani: non mi mancano i soldi, un
po’ perché me li hanno lasciati i miei genitori che son morti
quando ero piccolo, un po’ perché ho cominciato presto a
guadagnare ancora, essendo io, a detta dei più, un vero mago
dell’elettronica, dei computer, delle nuove tecnologie.
Vi
dirò che …
A
quel punto del racconto, i rumori provenienti dall’alto, che tanto
avevano inquietato i presenti, specialmente durante la narrazione di
Pedro, si intensificarono. Passi spediti e decisi si avvicinarono. Si
sentì chiaramente che una persona stava scendendo e calpestando
lentamente i gradini di legno della grande scalinata. Qualcuno, in
quel mentre, si era fermato proprio fuori dalla porta e la stava per
aprire. La lingua di Gionni si era bloccata. Gli altri, ad eccezione
di Angelo che pareva calmissimo, erano come paralizzati ed apparivano
veramente pallidi in volto.
E qui entra in scena - con
forza - un uomo alto, dalla lunga barba bianca, saio e sandali
consunti. Dalla parte degli ospiti si sentì levare un urlo. Non era
il fantasma descritto dal banchettaro Pedro, quello, infatti, sarebbe
dovuto essere di una giovane donna. Esistevano, dunque, altri
fantasmi nel castello di san Salvatore?
“Vi presento il
mio carissimo amico, un Benedettino, padre Luigi. Voi chiamatelo pure
il monaco saggio.”
Disse Angelo rivolto
agli ospiti terrificati, mentre preparava, al nuovo arrivato, una
sedia per farlo accomodare. “Avrà fame, egli è a digiuno ,
volontario, da oltre dieci giorni.”
“Perché non ce ne
ha parlato prima? - chiese Gionni con molta agitazione - a momenti
mi veniva un infarto.”
“Questo religioso,
questo asceta, qualche giorno fa, mi ha implorato di rinchiuderlo in
una cella e sprangare la porta per ritirarsi a pregare, digiunare ed
espiare, nell’attesa della fine del Mondo. Soltanto io custodivo le
chiavi della cella, una stanzetta situata proprio sopra di noi (ecco
il motivo per cui si sentivano i rumori dei passi). Qualche ora fa,
come mi era stato indicato da tempo, sono andato ad aprirgli la
porta, perché sapevo che egli ci avrebbe indicato, con la sua venuta
o meno, che era giunta l’ora della nostra morte. Se lui è già
qui, cari amici, vuol dire che la fine è vicina.”
Tutti
tacquero.
Non
di certo rincuorato da questa ultima affermazione, Gionni si fermò
per qualche istante. Poi lo pregarono di andare avanti, che tanto non
c’era niente da fare, lo sapevano tutti già benissimo, da prima,
che quella nottata avrebbe potuto rappresentare l’ultima notte
della loro vita, perciò egli proseguì il suo racconto.
Vi
dirò che questa storia della fine del Mondo non l’ho bevuta molto
… perché proprio adesso si dovrebbe concludere tutto? Il Sole
brilla da Cinque miliardi di anni ed è stato calcolato che brillerà
per altrettanti cinque miliardi di anni, continuando a donarci luce e
vita. Siamo solo a metà. E’ vero che in questi giorni siamo
tempestati da catastrofi terribili, ma quando mai non è stato così?
Ne
ho viste, di disgrazie, durante il mio giro attorno al pianeta!
Ricordo
un disastroso terremoto in una cittadina vicino a Rio, in Brasile.
Per poco non rimasi schiacciato dalla frana che cadde dalla colline
delle bidonville.
Mi
trovavo in Thailandia durante quell’inverno in cui, ad un
terremoto sconquassante, seguì un maremoto di proporzioni bibliche.
Dall’alto di una collina contai a migliaia i cadaveri portati dal
mare. E c’ero anche quando scoppiarono le lotte religiose tra le
due tribù principali, nell’Africa equatoriale. Ricordo, altresì,
lo scoppio di una tubatura del petrolio, proprio nel mentre in cui
una folla di disgraziati stava cercando di procurarsi, illegalmente,
l’oro nero da alcune falle nella conduttura. Ebbi, anch’io,
conoscenza ed esperienza dei riti satanici.
Non
ho mai avuto una famiglia e, quelli che mi hanno allevato, li ricordo
come mostri di molestie e peggio ancora. Perciò, tutto il mio denaro
l’ho speso nel girovagare qua e là, senza una mèta. Diceva giusto
Pedro, quando ci raccontava che tantissimi italiani si incontrano in
ogni parte del mondo a gozzovigliare (dove il cibo costa poco) e ad
andare a caccia di prede, anche giovani.
Il
modo un po’ antipatico di parlare del ragazzo con poca barba,
suscitò subito i sospetti di Angelo che, guardando Ugo, s’accorse
di come anche quest’ultimo scrutasse attentamente il narratore,
anche se non gli sembrava, il suo amico, spaventato più di tanto. E
avvenne, tra i due uomini, un severo scambio di intesa.
D’altronde
ognuno ha diritto di cacciare. Se chi è cacciato, poi, ci guadagna
qualcosa, allora siamo tutti contenti.
“Cosa
andavi a fare proprio lì in quei posti?” Lo interruppe Angelo in
malo modo.
“Che
vuoi dire?”
“Voglio
dire che le località che hai appena nominate, sono note specialmente
per il turismo sessuale da parte di europei ricchi e senza scrupoli.”
“Che
c’è di male?”
“C’è
di male, caro il mio sbarbatello, che le “prede” di cui parli con
tanto sarcasmo e tanta freddezza, spesso sono fanciulli in tenera
età.”
“A
volte sono ragazze già cresciute” rispose.
“A
volte?” Gli chiese Angelo, inorridito.
“A
volte” ripeté Gionni, poi si rese conto di aver detto una
sciocchezza.
Dicendo a volte, intendeva
dire che, nelle altre circostanze, anche lui si era approfittato di
ragazzini.
Angelo
glielo fece notare e lui rispose: “Ma non è vero. Non è affatto
vero.” Poi, continuando, imbambolato, a dire frasi sconnesse,
pronunciò un’altra sciocchezza.
Una sciocchezza
assurda................................................. che gli
costerà, poi, la vita.
“Voi
siete tesi e nervosi perché, in questo momento state pensando al
ragazzo che avete nascosto di sotto.”
“Ah
sì? – gli ribatté il capo – tu come fai a saperlo? Qui nessuno,
tranne me e Ugo sa che, di sotto, c’è un bambino morto.”
“Un
bambino?” Si chiesero all’unisono pieni di angoscia, come se ce
ne fosse stato ulteriore e nuovo bisogno.
“Sì.
E costui ne è l’assassino.”
I
presenti inorridirono, questa ultima rivelazione sembrò la goccia
che fa traboccare il vaso della sopportazione, in animi già tesi ed
esasperati. Serena si sentì male e gli altri restarono ammutoliti,
ci furono delle urla. Angelo, imitato dagli altri, saltò addosso al
giovane viaggiatore.
Gionni
balbettò qualcosa, visibilmente terrorizzato.
“Adesso
la pagherai per quello che hai fatto l’altro giorno e per tutte le
sozzerie che hai fatto in questi anni.”
Gli
Gridò il capo dentro alle orecchie.
“Lasciatemi,
non potete farmi del male.” Ma venne preso e spinto verso l’uscita,
praticamente tutti gli ospiti lo pestavano, ad esclusione del monaco,
che faceva ogni cosa in suo potere per calmarli e per difendere il
ragazzo, mentre Ugo guardava divertito. Troppo divertito
“Anch’io
ho un bambino piccolo che è sparito e non lo troverò mai più. La
devi pagare anche per lui - disse Serena e lo punì colpendolo con la
sua dura e appuntita scarpa – prendi, adesso sei tu la preda. Cosa
si prova ad essere una preda? Una volpe ad una battuta di caccia?”
“Fuori,
fuori gettatelo fuori da qui” urlavano tutti.
Angelo
andò ad aprire una delle porte stagne. Il giovane viaggiatore venne
buttato a forza nella prima porta che si richiuse automaticamente.
Con lui era entrato anche Roberto, che, non appena si aprì la
seconda porta, lo lanciò fuori con un gesto secco, nel buio della
notte: Roberto, prima di tornare dentro, guardò gli occhi dell’uomo,
disteso nella neve, e notò che stavano lacrimando come quelli di un
bambino.
Le porte si richiusero per
sempre.
“Per
lui sarà una morte certa. Avete sbagliato” asserì il monaco.
Angelo fece spallucce: “Se
lo meritava.”
“Sì,
però, non gli abbiamo dato neanche una giacca, un cappello di lana,
un mantello per coprirsi.”
“Tanto,
lì fuori, c’è la notte nucleare, morirebbe in ogni caso.”
“Così
come moriremo noi” aggiunse il religioso. Poi, padre Luigi
proseguì: “Ma come fate ad essere così sicuri che sia stato lui
ad uccidere il bambino? Che diritto avete di giudicare? Tra di noi
chi è senza peccato?”
Gli altri
pensarono (perché gli tornarono subito in mente con violenza), alle
proprie colpe e ai propri delitti, quelli commessi senza scrupoli e
senza ottenerne punizione, ma la sete di giustiziare qualcuno
“qualcun’ altro”, si sa, è una sete insaziabile.
“E
poi l’ ha ammessa da solo la sua colpa – confermò Angelo –
parlando del bambino quando nessuno ne sapeva nulla.”
“Ah
– disse con stizza padre Luigi, il monaco appena entrato – non
hai sentito cosa diceva mentre lo spingevate fuori dal castello? Ha
confermato di averlo sentito dire da te, proprio da te mentre si
stava lavando le mani e voi due, tu e Ugo, stavate discutendo.”
Ugo
ci pensò un po’ su, ridacchiò, poi corse a prendere il piatto che
era stato preparato in cucina: vitello in salsa tonnata e radicchio
di Treviso, rosso, tardivo. Serviti con pane abbrustolito.
Così, come
se niente fosse accaduto prima.
“Dai, monaco,
adesso racconta tu, così ti calmi.”
Padre Luigi,
altissimo nella sua dignità e con lo sguardo severo che intimoriva,
guardò verso gli ospiti, come per ammonirli delle loro azioni, come
a dire che, stavolta Angelo aveva sbagliato, nonostante la sua
acutezza di sempre.
Ma
prima di far parlare il monaco, Angelo si trattenne in disparte con
Ugo, in un’altra stanza per un po’ di tempo. “Cosa dici, caro
amico? Avremmo commesso uno sbaglio?”
Ugo ci pensò su un poco, poi
disse: “Dovremmo basare le nostre azioni sulla saggezza ed il buon
senso, un po’ come faceva l’onorevole Stefani, nostro caro
amico.”
A queste parole , Angelo,
grande ammiratore del signor Stefani, grande eccellenza di questa
grande Italia, iniziò a decantare le pillole di saggezza del
filosofo politico. Altro che pillole, quelli erano veri e propri
macigni di conoscenza e di intelligenza politica, cosa rara di questi
tempi.
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