mercoledì 4 settembre 2019

IL GRANDE CASTELLO (4° Capitolo)



Potere proletario

Il racconto di Roberto e di quanto male portino le ideologie, i pregiudizi, i partiti presi ecc. ecc.


Il potere politico nasce dalla canna del fucile”
Mao Tse Tung, leader cinese del secolo scorso.








In quei tempi io ero, certamente, il più convinto e fanatico tra i cattolcomunisti del nostro bel paese, quando ancora era di moda esserlo.
Cantavo a squarciagola inni come: “Avanti popolo, alla riscossa, bandiera rossa ... trionferà – oppur Compagni avanti icolgran partito …“
leggevo avidamente l’Unità, fondato da Gramsci, come se fosse stato il Vangelo, sventolavo in aria, assieme ai miei compagni scemi, il libretto rosso di Mao. Un cinese comunista.
I consueti punti di riferimento nella mia città, Milano, erano stati sia il parroco che il dirigente di sezione.
Tutta la mia fiducia, la mia ammirazione ed il mio rispetto erano rivolti a loro, ai rappresentanti della Chiesa e dell’apparato burocratico del Partito Comunista, invece che al mio povero e grande padre, lavoratore instancabile ed autonomo, che non perdeva tempo con le sterili utopie e che io, stupidamente, definivo borghese, conformista, liberale e piccolo capitalista, con tutto il disprezzo che si dava, allora, a questi termini.
Col tempo, mi accorsi che i preti erano quasi tutti pedofili e i dirigenti comunisti ladri come i dirigenti degli altri partiti (i quali, almeno, non si atteggiavano tanto ( falsi) moralisti).
Però me ne accorsi troppo tardi, quando era comodo per tutti rinsavire dalla follia delle ideologie: quando il Mondo aveva iniziato a cambiare rotta e la Storia, stavolta, faceva sul serio, ricordandoci che la ricreazione del cervello era inesorabilmente finita e bisognava diventare seri.
L’anno che rievoco con più angoscia, e che resterà sempre a disturbare i miei sonni e a torturare la mia mente, anche se vivessi più e più ancora di cent’anni, è il 1978.
Allora, il Partito Comunista Italiano (e non solo italiano) aveva da poco e di poco superato, mediante regolari elezioni democratiche, l’odiato partito dei padroni chiamato Democrazia Cristiana.
Tutta la sinistra aveva preso forza, anche le schiere dei cosiddetti “extraparlamentari”, molti dei quali erano intellettuali e in buona fede, altri invece formavano gruppuscoli, vere e proprie bande di infami assassini.
Non che lo stesso non accadesse a destra, ma là, i fascisti non si erano mai stancati di definirsi fascisti e non negavano la violenza come, ipocritamente, facevano molti dei nostri dirigenti. Quell’anno, che Dio ci perdoni ancora, fu proprio un anno di inferno.
Non passava Sabato sera, senza che il centro di ogni città d’Italia fosse invaso da giovani, molti dei quali figli di buona famiglia, che bloccavano il traffico, nel migliore dei casi, oppure spaccavano vetrine e teste degli avversari, nel peggiore.
Non passava settimana senza che qualche imprenditore o poliziotto o giornalista politico o magistrato o comune cittadino venisse “gambizzato”, se non gli andava peggio. E la caccia ad un nuovo adepto brigatista(cosi’ si chiamavano i terroristi), era sempre aperta.
Negli altri paesi europei e negli States, il favoloso 1968, anno della rivoluzione, era terminato da un bel po’. Da noi era vivissimo e imperversavano lotte continue, scioperi, contestazioni, ribellioni boicottaggi, sit – in, marce di protesta con urla e pianti anche quando non erano organizzati per difendere qualche diritto sacrosanto. E questo modo di agire persiste tuttora e sotto altre forme, nel nuovo millennio, anche se non serve ormai più a niente ed a nessuno, ma è solo un’ arma vecchia e spuntata.
Fu nell’anno del Signore millenovecento settantotto, che i capi sezione accettarono di farmi entrare nella colonna milanese e veneta delle Brigate Rosse, dopo un rito di iniziazione.
Esso consistette nello sprangare a tradimento, con una barra di acciaio, un ragazzo, considerato fascista carogna, solo e soltanto perché iscritto al Movimento Sociale Italiano, mentre se ne usciva dal cinema “Progresso” con la fidanzata, mano nella mano.
Il film che davano, allora, era intitolato “La febbre del Sabato sera”, con un giovane aitante e bello John Travolta. Io quasi lo ammazzai e ricordo ancora il terrore sugli occhi della ragazza sua.
Ma il primo incarico vero e proprio, fu quello di rapire il bambino di un onorevole democristiano, il sottosegretario Lazzari, per chiedere un forte riscatto allo Stato, con cui poter acquistare dai siriani molte armi.
Purtroppo il bambino ci morì tra le mani. Nel terribile 1978.




A questa orribile rivelazione Ugo e Angelo sobbalzarono.
Riuscimmo a far ricadere il delitto - proseguì Roberto - sulla mafia siculo calabrese, la ‘ndrangheta. Uccidere un piccolo è una cosa che ti segna per sempre, ma se la tua ideologia è forte, dentro di te riesci a giustificare tutto, ed eliminare in un lampo di oblio tutti i tuoi sensi di colpa.
Il 1978 contò tre Papi.
E la Chiesa era la nostra grande amica, perché noi lottavamo per l’eguaglianza e per i poveri, come insegnava la religione, anche se i cattolici ci biasimavano. Papa Paolo VI, il cardinal Montini, lasciò, alla sua morte, il trono papale ad Albino Luciani, uno amico dei poveri, come lo eravamo noi, che volle chiamarsi Giovanni Paolo primo.
Dopo trentatré giorni il buon pastore morì e la sua stravagante e misteriosa morte, dato anche il periodo, suscitò, e suscita ancora oggi, grandi perplessità e terribili sospetti. Dall’Est Europa arrivò Karol, ferocemente anti comunista, e da allora la Chiesa non ci piacque più.
In quell’anno i fascisti erano soliti sistemare bombe e altri ordigni sui treni e nelle banche, facendo stragi a caso, massacrando innocenti, mentre noi continuavamo a sparare a tradimento sì, ma contro bersagli ben definiti.
Fu io ad uccidere, quella volta, un piccolissimo e insignificante magistrato, il giudice Polentini, con tre colpi di pistola. Allora, le mie mani furono volontariamente sporche di sangue. Mi giustificai con la mia coscienza, dicendomi che avevo, semplicemente, sparato ad una toga, null’altro: non era colpa mia, pensai credendoci, se dentro quella toga c’era un povero essere umano, con ancora tanta voglia di vivere.
Ma poi, sempre in quell’anno maledetto, successe il grande evento. Io prestavo servizio militare in una caserma di Firenze, proprio in centro città, dove facevo l’autista di camion.
La città medicea era tra le più belle del mondo, ma, di ciò, mi accorsi solo tanto tempo dopo: prima, avevo considerato quegli splendori urbanistici, quegli scrigni di bellezze artistiche come meri campi di battaglia. Uscii dalla caserma col mio pesante automezzo militare assieme a Rico, un ciccione padovano, anche lui fanaticamente di estrema sinistra, ma che mai avrebbe sospettato della mia militanza brigatista rossa
Fermammo il mezzo pesante davanti al magazzino provviste e ricambi auto dell’Esercito, che si trovava vicino allo stadio della Fiorentina calcio, quando Rico, dopo esser sceso ed entrato nell’emporio militare, dove doveva ritirare dei pezzi di ricambio, ne uscì e tornò di corsa in camion, sudatissimo.
Il Presidente … Il Presidente …” farneticava, ed aveva lo sguardo angosciato.
Cos’è successo?” Gli chiesi.
Alcuni terroristi hanno rapito, stamane, il Presidente del Consiglio dei Ministri … onorevole Aldo Moro.”
Aveva ripetuto pedissequamente le parole pronunciate dai giornalisti della tivù, una tivù che era rimasta accesa di mattina, cosa strana che capitava raramente, nel 1978 delle televisioni quasi tutte in bianco e nero. La mia gioia fu incontenibile. “E’ fatta, stiamo vincendo la nostra guerra”, pensai tra me e me. Me ne fregai di molto che avessero assassinato mezza dozzina di guardie del corpo, quasi tutti ragazzi della mia età: “tanto erano fascisti!” Pensai.
Era, quello di considerare tutti fascisti e nemici cattivi e indegni, un altro modo di lavarsi la coscienza. Un meccanismo di difesa psicologico che molti esseri della nostra razza utilizzano in tempo di guerra, cioè in quasi tutti i momenti della storia umana.
La faccia dell’Italia cambiò in quei giorni: non si parlò d’altro per circa due mesi, fino a quando il corpo del presidente venne rinvenuto - dopo mille peripezie quotidiane , fiumi di inchiostro da parte dei giornalisti ed estenuanti ricerche compiute da esercito e polizia italiana (anche di altri paesi) in ogni parte del bel paese - proprio all’incrocio.
L’incrocio tra l’ufficio dell’odiata Democrazia Cristiana e la sede centrale del Partito Comunista Italiano a Roma. Non vidi l’ora di tornare in caserma dove prestavo il servizio militare a dare la notizia (in quel tempo, senza l’aiuto di internet, cellulari e televisioni sempre aperte, bisognava aspettare qualche ora per avere le informazioni, anche quelle più sconvolgenti ed epocali), ma molti, conoscendo la mia indole, pensarono ad uno scherzo, fino all’ascolto dell’Edizione Straordinaria. Con molti compagni, in caserma, brindammo quella sera.
Attentati e stragi si ripeterono, quell’anno. Ma non fu un atto terroristico quello in cui rischiai di morire mentre, tornando a casa in licenza, ero salito in un treno che attraversava gli Appennini tra Firenze e Bologna. Conoscete quella linea ferroviaria piena di gallerie e funestata molte volte da incidenti? Bé quella volta fu una frana, una delle tante frane del belpaese, che travolse i binari subito dopo il passaggio del nostro convoglio diretto a Venezia. Il treno che incrociammo e che scendeva verso Firenze, quella frana, dodici minuti dopo, se la sarebbe presa in pieno. Ci furono molti morti e feriti. Qualche amico e parente, non sapendo dov’ero finito, pensò che su quel treno ci fossi stato anch’io.


Un urlo proveniente dall’esterno, la voce di una donna, raggelò tutti. Fuori dalla porta del maniero stava la figura di una ragazza bionda e bellissima, pareva un angelo. Angelo, il capo, uscì, solo con la punta del naso dalla finestra, , si fermò un istante, poi le fece cenno di salire a quella nuova ospite arrivata in ritardo tra di loro. La bella entrò nello stanzone del caminetto. “Buon giorno a tutti - disse con entusiasmo e sicurezza di sè- grazie di cuore per avermi fatta entrare.”
Ugo le porse un po’ di olive ed un aperitivo. “Benvenuta tra noi, in questa ultima notte ognuno sta raccontando la propria storia e, visto il poco tempo a disposizione, non occorre dirti altro. Scaldati, mangia quello che vuoi e che trovi sul buffet, come vedrai qui non manca nulla. La tua storia ce la racconterai subito dopo – affermò Angelo – ora siediti e ascolta”. Tutti gli altri la salutarono e la abbracciarono, Pedro la guardò intensamente. Il racconto di Roberto, terrorista confesso e pentito, proseguì con molta intensita’. Egli riprese il filo con una certa fatica.




La mia divisa da militare suscitava molto rispetto (all’epoca era ancora obbligatorio indossarla, così come era imposto prestare il servizio di leva) e mi dava la possibilità di agire senza destare sospetti.
Fu cosi’ che affiancai la mia colonna brigatista in un delitto, proprio quando mi trovavo in licenza. Non mi sporcai le mani di sangue, ma feci passare tantissime armi provenienti dalla Palestina, un paese nostro amico perché nemico del’odiato Israele. Armi che arrivarono senza problemi in una tranquillissima isola della laguna, rifugio per cani abbandonati, proprio di fronte alla magnifica Piazza San Marco. Che forti che eravamo! Non andavo a pensare, allora, che l’uso di quelle armi avrebbe sporcato di sangue innocente anche me. A proposito di Israele … non capii mai perché, da comunisti, bisognasse odiarlo tanto. Era formato da persone sfuggite ai nazisti (nostri nemici), che praticavano un vero e proprio socialismo (nei Kibbutz), si difendevano dagli emiri arabi tirannici e affamatori dei loro popoli (la parola Democrazia nemmeno esisteva nel loro vocabolario, mentre Israele ne faceva una bandiera). E mi viene in mente che, proprio in quel periodo per fatalità, il boia nazista Kappler fu fatto fuggire dall’ospedale di Roma, dove era stato portato mentre scontava l’ergastolo per i suoi crimini contro gli ebrei e contro l’umanità.
Sempre in quell’anno, in Argentina noi italiani rischiammo di vincere ai mondiali di calcio, ma si sarebbero dovuti aspettare altri quattro anni. Protagonista il mio coetaneo Paolo Rossi.
Poi arrivò, in Estate, qualche giorno dopo, un nuovo presidente della Repubblica. Sandro Pertini, compagno partigiano. Ci avrebbe portato fortuna proprio lui, quattro anni dopo.
La Gente pensava al calcio, al buon Pertini come soluzione dei mali, si sognava e si sperava nella cosiddetta “ripresina economica” e si guardavano i film “disimpegnati”, mentre le canzoni “impegnate”, a volte logorroiche e senza musica, si alternavano a quelle con le solite rime: “amore – cuore, mare - giocare …”
Morti e stragi continueranno anche negli anni successivi, negli anni ’80 cadranno aerei, treni, governi. Qualcuno sparerà a presidenti americani e Papi anticomunisti (per sua fortuna la Madonna spostò la mano del killer) le guerre e le guerriglie si ripeteranno e si moltiplicheranno con tanto di bombe intelligenti, stupri di massa, lager e poi ancora terremoti, frane, incendi, drammi familiari .
Ma, il punto più basso lo stiamo toccando adesso, in questi giorni. Forse per questo Dio (a cui ho imparato nuovamente a credere ed al quale continuo a chiedere e ad implorare perdono), ci lancia la sua tremenda punizione. Siamo stati proprio immensamente sciocchi ad essere arrivati a questo punto.
E adesso sono indignato, anche se so, data la mia scarsissima verginità morale, che non posso permettermelo. Sono indignato e sconvolto, perché questo paese, questo Mondo, ha tanti colpevoli. Tutto ciò che ho combinato, quell’anno, avrebbe dovuto ispirarsi alla giustizia divina ed alla giustizia sociale. Ma anch’io, come molti altri, servivo Satana senza saperlo.
Quel che ci resta dei nostri assurdi ideali, destra o sinistra, oggi lo vedo in un filmato che la televisione manda di frequente.
E’ un pianto, un pianto collettivo, assurdo, ipocrita. E’ il pianto della povera gente della Corea del Nord, uno dei paesi più illogici di tutto il Mondo. Un paese governato non da un essere vivente, ma da una mummia, un uomo morto molti anni fa, i cui discorsi registrati vengono trasmessi quotidianamente. Ne faceva le veci il figlio ma, poco fa, morì anche lui. La gente di quel povero paese fu costretta a forzarsi di singhiozzare davanti alle telecamere del regime: chi non avesse pianto abbastanza energicamente, con grande versamento di lacrime salate, sarebbe stato rinchiuso in un campo di concentramento. Da questi fatti fu coniato il termine, molto usato nei giornali e nei telegiornali di “Pianto del coreano”, per indicare chi piange non per dolore, ma per il terrore verso un regime, una persona crudele, un padrone. Chi piange perché deve rispondere della sua vita ad una mummia. Era pronto a sostituirlo, il mummificato, suo nipote, un giovane che basta guardarlo per capire la degenerazione prossima del genere umano.
E voi capite che era per realizzare Mondi come questo che noi, rossi o neri, ci eravamo battuti? Solo per creare imbecilli tiranni dementi, regimi irrazionali e antiumani? Per questo noi abbiamo ammazzato esseri umani, bambini piccoli ed innocenti? Noi odiavamo la Democrazia e lottavamo per realizzare questi orrori.




Roberto Iniziò a piangere, peggio di un coreano, ma il suo pianto sembrava sincero. Solo Dio lo sa se lo fosse stato veramente.


Caro Roberto – chiese Ugo – vedo che sei realmente pentito delle tue tragiche azioni. Ma non pensi che chi ha ucciso una volta può trovare l’abitudine ad uccidere?”






Roberto non capiva cosa volesse insinuare, in quel momento.


Si udirono dei sordi rumori provenire dall’alto, come se ci fosse qualcuno che camminava nei piani di sopra. Ma tutti pensarono che fosse il frastuono dei meteoriti ormai vicinissimi. Proseguì il racconto.




Da quell’anno in poi la mia vita cambiò. Iniziai a dedicarmi al volontariato, aiutai i ragazzi malati e abbandonati, mi riavvicinai alla Chiesa. Ho sempre lavorato come cameriere, anche se mi piace scrivere su vari giornali, specie cattolici e dedicarmi alla politica, specie quella che parla di liberismo, onestà, giustizia. Tra un po’, se non ci sara’ la fine del Mondo, potrò andare in pensione, ma il conto dei miei crimini, con la giustizia umana, non l’ho mai pagato. Forse andrò diritto all’inferno, oggi o domani, forse Dio misericordioso mi manderà per un po’ di tempo al purgatorio. Poi si vedrà.


Ugo e Angelo, dopo questo racconto, sospettarono assai dell’uomo come l’assassino del ragazzo. Decisero di porgli, con estrema cautela, alcune domande.
Quando sei arrivato al castello, eri sempre con gli altri? Non ti sei mai staccato da loro?” Chiese Angelo.
Sì, certo. Siamo arrivati tutti assieme.”
Il bambino rapito dalle brigate rosse, l’hai ucciso tu?”
No, assolutamente. E’morto per la negligenza di un mio compagno.”
Quando sei entrato nel salone, ho visto che tenevi addosso un coltello, era tuo?”
No, me lo aveva dato Samuele, lui lo teneva sempre vicino per paura di aggressioni. Io dovevo tenerglielo perché si era chinato per allacciarsi le scarpe.”
Samuele annuì.
Ugo e Angelo uscirono assieme, entrarono nella grande cucina e posero nei vassoi le costine di maiale e la soppressa che avevano preparato in precedenza. C’era anche della polenta gialla e una grande quantità di funghi. Si apprestarono a servire gli invitati e si guardarono con cenni d’intesa.
Cosa ne pensi, ti pare che sia stato lui ad uccidere il bambino?” Domandò Angelo, ma si capiva che non ne era per niente convinto.


In quel mentre notarono che Gionni si stava lavando le mani e si era messo a guardare verso di loro.


Ugo rispose, a voce bassa: “Potrebbe essere stato lui, Roberto, il brigatista, ma qualcosa non mi convince. Adesso facciamo silenzio – disse con circospezione – e sentiamo cosa ha da dirci la ragazza appena entrata. Sono certo che avrà molte cose da rivelarci e che potremmo riflettere, dopo, con più chiarezza.”
Altri vassoi carichi di delizie furono deposti sul tavolo suscitando allegria.


E adesso, dolce ragazza bionda, presentati, spiegaci pure chi sei, siamo tutti curiosi di ascoltare il tuo interessante racconto. Non farti alcuna soggezione, anche se, a prima vista, questo avvertimento, con te e data la tua prorompenza, può sembrare pleonastico.” La ragazza si schiarì la voce, assunse una posa molto sexy ed iniziò il suo curioso racconto.



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