La
cartolina del ministero penetro`, con un sibilo, da sotto la porta.
"Accipicchia"
- urlo`: lo avevano chiamato a far la naja propri o nel mese di
Luglio, a lui, il Mario, ancora da compiere venti anni, che in quel
periodo, solitamente, preferiva andare in motorino al mare di
Jesolo, per fare il cascamorto con le tedeschine.
“Cazzpita...Luglio,
col bene che ti voglio ...” aveva pensato, cantando
scherzosamente una canzone allora in voga. Luglio, quando tutti gli
amici se ne vanno in vacanza, scuole finite, caldo boia, aria
irrespirabile... “proprio adesso mi tocca di andare in caserma.”
Capelli
rasati (a quel tempo ce li avevano solo i militaretti, mentre gli
altri li portavano lunghi e folti, come i beatles) e valigia in mano,
era partito col trenino di legno, quello antico che porta verso le
vallate del Friuli.
L'estate
passò in fretta e anche l'inverno, in mezzo a quelle strane e buie
montagne.
Poi,
successe qualcosa.
Mentre
contava i giorni che gli mancavano al congedo (“E' finita è
finita” andava ripetendo a tutti, schioccando le dita e dimenandosi
come un ossesso), in un brutto giorno di Maggio, sentì come un tonfo
sotto ai piedi. Non capì subito, sembrava che Dio si fosse
arrabbiato.
La
terra del Friuli inizio` a sussultare.
Il
terremoto fu terribile. Case crollate, morti dappertutto. Smise di
scherzare e di giocare come un bimbo.
Capì
che bisognava crescecere in un attimo. Si rimboccò le maniche per
sostenere la gente che ne aveva terribilmente bisogno.
Altro
che finita...si fermò, volontariamente, qualche mese in più, anche
se la il periodo della naja era scaduto e aveva già` il congedo
firmato in tasca, per aiutare i disgraziati a ricostruire il loro
paese.
Bello
o brutto che fu quell'anno, l'alpino Mario, classe di ferro '56
continuerà a ricordarlo per molto tempo della sua vita e lo rivivrà,
ogni volta, sempre insieme ai suoi compagni alpini.
Poi
arrivò il giorno fatidico...
E
ciò che occorse in quel momento fu incredibile a dirsi; non ci fu
spiegazione, né mai, probabilmente, ci sarà.
Accadde
molto tempo dopo, in una fresca mattina di festa di fine autunno, che
l'ex alpino Mario, un bel giovanotto aitante di circa cinquant'anni,
come molte altre domeniche della sua vita, andò ad aspettare il
corrierone che, passando dalla piazza del suo paese, avrebbe portato
il gruppo di veci (ma anche qualche bocia), al grande raduno
nazionale e annuale.
Il
pullman arrivò verso le sei di mattina, che era mezzo pieno di
alpini già mezzi rossi. Anche perché, avevano iniziato a mangiare
polenta calda col baccalà mantecato e col formaggio asiago. Qualcuno
stava assaggiando il formaggio coi vermi (portato da un sardo
trapiantato al Nord) e altri lo schifavano. Verso le sei e un quarto,
venne tagliata la soppressa ed un' odore pungente e gustoso si sparse
per il torpedone. Il sole era uscito allo scoperto, la giornata si
prospettava chiara e stupenda, si respirava allegria, mentre già le
bottiglie, di rosso Cabernet, quello buono, stavano piangendo.
Se
i veci gustavano il vino, come da tradizione, qualche bocia – “o
tempora o mores” – s'era messo a fumare, dopo averle arrotolate,
delle strane sigarette verdi. Appena il sergente, capocomitiva, si
accorse di quel gruppo di tre o quattro burbette con la marijuana
gia` in tiro, fece fermare il pullman e spinse giù, a calci in culo:
i tossici...che si facessero a piedi la strada del ritorno.
Poi
tutti si preoccuparono di spegnere gli spinelli lasciati accesi, che
già stavano inquinando l'aria del veicolo. La festa riprese.
Cantando
a squarciagola, l'autista entrò in autostrada, offrì da bere al
casellante che aveva chiesto il pedaggio, inserì il pilota
automatico sui 95 chilometri all'ora e via...che di strada da fare ce
n'era tanta.
Verso
il trentacinquesimo chilometro, in vista delle montagne che si
dovevano valicare, tra viadotti e gallerie, il traffico si fece più
intenso. Strano. Bisognava andare piano, l'autista diminuì la
velocità. Tutti continuavano a cantare e a bere, ma l'autista, da un
certo punto, non cantò più.
Dopo
la prima galleria ci si fermò un bel po'.
Strano,
molto strano.
Nella
seconda galleria ci fu una sosta forzata, al buio, di venti minuti.
Qualcuno cominciava a preoccuparsi. Dopo alcuni chilometri percorsi a
passo d'uomo, altra fermata, di circa mezz'ora...il tempo stava
peggiorando. La sosta successiva, invece, fu lunghissima. I ragazzi
con la penna nera scesero a passeggiare tra le auto ferme in coda.
Nessuno sapeva cosa fosse successo.
Non
si vedevano poliziotti o carabinieri, né si sentivano comunicati
alla radio che trasmetteva solo canzonette, pensate che diffondevano
ancora, dopo tanti anni: "Luglio col bene che ti voglio ...".
Al
telefono, avevano avvisato qualcuno che c'era un incidente grosso, di
quelli che dividono in due l'Italia, ma non si capiva se il disastro
fosse successo lì vicino, o alla sommità del passo o giù, alle
porte della grande e antica città della nostra Italia, (dove gli
altri alpini stavano già, a quell'ora, sfilando coi bandieroni al
cospetto del Presidente della Repubblica.)
Passò
così il pomeriggio, l'aria era freddissima e il cielo minacciava
buriana. Non cantava più nessuno, ormai, s'era esaurito il gioco
delle carte, s'erano esaurite le barzellette e s'era esaurita la
soppressa. Quel che è peggio, è che s'era esaurito anche il rosso
Cabernet, quello di casa...erano rimasti, e questa fu la disgrazia,
solo alcuni cartocci di vino balordo, da pochi euro e quelli non se
li beveva proprio nessuno...e poi, "Cazzpita, ma non termina
ancora questa fila?"
Sul
far della sera, alzando il naso al cielo, Mario notò qualche fiocco:
“Nevega bocie, nevega ben, cazzpita”
Oltre
alla neve si era alzato un forte vento fastidioso. Di poliziotti o
caramba nemmeno l'ombra, passò solo un incaricato alla sicurezza dell'Anas, raccomandando a tutti di uscire dall'autostrada e di
cercarsi un posto per passare la notte nel paesetto lì vicino:
“Guardate - disse ai malcapitati indicando col ditino - quelle luci
lì in fondo, troverete rifugio certamente”.
E
così, un gruppo numeroso di viaggiatori frustrati, iniziò a
scavalcare la rete che divideva il percorso autostradale dal resto
del mondo e ad attraversare, faticosamente, quella strana pianura che
li separava dal paesino...ma che paesino sarà stato? In provincia di
che cosa? Nessuno sapeva, nemmeno, in quale regione d'Italia si
trovasse.
Ma,
la via per la salvezza, si rivelò più lunga di quanto potessero
immaginarsi.
La
neve era caduta abbondante e si camminava affondando fino alle
ginocchia (e sì che Mario era molto alto), adesso il cielo si era
liberato e una quantità incredibile di stelle, rifletteva la sua
luce brillante sulla neve, tanto che sembrava si potessero
raccogliere milioni di diamanti.
Il
passo si fece sempre più stanco, Mario si fermò due o tre volte e
fu superato da altre persone. Gli venne in aiuto l'amico Roberto, che
lo sostenne a braccio: “Varda Mario... quanta gente dietro a
noi...” Intanto si era alzato, lieve, un canto struggente, Roberto
penso`, a voce alta: “Cazzpita, sembra di essere nella ritirata di
Russia.”
Si
mescolava adagio al vento, quel coro che pareva un lamento di
anime...
Mario
guardò verso il paesello, le luci sembravano, stranamente, sempre
più lontane. “Ce la faremo mai?” chiese l'ex alpino, e
l`angoscia lo struggeva ...
Il
canto saliva al cielo, poi si udì solo il rumore dello scricchiolio
dei loro passi sulla neve: “era quello che avevano provato i nostri
veci nell'anno orribile della disfatta, quando un immenso e orribile
oceano di ghiaccio li separava da casa? Quando solo pochi fortunati
tornarono ad abbracciare i loro cari?” Intanto la stanchezza ebbe
il sopravvento.
Mario
vide, tutto intorno, solo buio.
E
comprese chiaramente, solo ora, cosa avessero significato per tanti
giovani ragazzi, sul serio, il freddo, la sofferenza, gli orrori
della guerra. Comprese in quei brevi istanti che la sua vita era
stata leggera e facile, che il suo ricordare la naja, nulla aveva in
comune con chi veramente aveva patito, con chi le campagne le aveva
fatte davvero, con chi le medaglie se le era guadagnate. Pensò a
tutti quei giovani della Julia, ma anche ai fanti, ai bersaglieri che
avevano perso la loro breve vita in una marcia, senza speranza, sulla
neve.
Poi
si sentì mancare, arrivò l’oscurità, la notte, il nulla...
l’oblio.
Si
risvegliò, come per incanto, nell'autobus verso sera, la testa
appoggiata sulle ginocchia di Roberto, mentre un altro amico,
Giovanni, infermiere professionale, gli bagnava la testa con una
pezza umida.
Tutti
ridevano contenti, stanchi della marcia davanti al Presidente che li
aveva anche salutati, andando a stringere la mano proprio all'autista
dell'autobus che era lì per caso... e non aveva nemmeno fatto
l'alpino...
“Ma
cossa cazzpita xè successo?” si domandò Mario.
“Niente
– rispose Roberto – hai bevuto quel cazzpita di vino in cartoccio
da pochi euro, lo sai che fa male e poi hai respirato un po' di fumo
di mariagiovanna che quei disgraziati di bocie hanno lasciato sulla
corriera.”
Hai
dormito molto.
“Eh
sì, un bel missiotto de tante porcate” continuarono in coro gli
altri compagni alpini.
Il
corrierone andava, sulla via del ritorno verso casa e un lieve canto,
che sembrava un coro di angeli, saliva al cielo: “sul cappello sul
cappello che noi portiamo, c`e` una lunga c`e` una lunga penna nera,
che a noi serve da bandiera...”
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