venerdì 3 aprile 2020

" La grande gita" di Piccolo Pier Angelo





La cartolina del ministero penetro`, con un sibilo, da sotto la porta.
"Accipicchia" - urlo`: lo avevano chiamato a far la naja propri o nel mese di Luglio, a lui, il Mario, ancora da compiere venti anni, che in quel periodo, solitamente, preferiva andare in motorino al mare di Jesolo, per fare il cascamorto con le tedeschine.
Cazzpita...Luglio, col bene che ti voglio ...” aveva pensato, cantando scherzosamente una canzone allora in voga. Luglio, quando tutti gli amici se ne vanno in vacanza, scuole finite, caldo boia, aria irrespirabile... “proprio adesso mi tocca di andare in caserma.”
Capelli rasati (a quel tempo ce li avevano solo i militaretti, mentre gli altri li portavano lunghi e folti, come i beatles) e valigia in mano, era partito col trenino di legno, quello antico che porta verso le vallate del Friuli.
L'estate passò in fretta e anche l'inverno, in mezzo a quelle strane e buie montagne.
Poi, successe qualcosa.
Mentre contava i giorni che gli mancavano al congedo (“E' finita è finita” andava ripetendo a tutti, schioccando le dita e dimenandosi come un ossesso), in un brutto giorno di Maggio, sentì come un tonfo sotto ai piedi. Non capì subito, sembrava che Dio si fosse arrabbiato.
La terra del Friuli inizio` a sussultare.
Il terremoto fu terribile. Case crollate, morti dappertutto. Smise di scherzare e di giocare come un bimbo.
Capì che bisognava crescecere in un attimo. Si rimboccò le maniche per sostenere la gente che ne aveva terribilmente bisogno.
Altro che finita...si fermò, volontariamente, qualche mese in più, anche se la il periodo della naja era scaduto e aveva già` il congedo firmato in tasca, per aiutare i disgraziati a ricostruire il loro paese.
Bello o brutto che fu quell'anno, l'alpino Mario, classe di ferro '56 continuerà a ricordarlo per molto tempo della sua vita e lo rivivrà, ogni volta, sempre insieme ai suoi compagni alpini.
Poi arrivò il giorno fatidico...
E ciò che occorse in quel momento fu incredibile a dirsi; non ci fu spiegazione, né mai, probabilmente, ci sarà.
Accadde molto tempo dopo, in una fresca mattina di festa di fine autunno, che l'ex alpino Mario, un bel giovanotto aitante di circa cinquant'anni, come molte altre domeniche della sua vita, andò ad aspettare il corrierone che, passando dalla piazza del suo paese, avrebbe portato il gruppo di veci (ma anche qualche bocia), al grande raduno nazionale e annuale.
Il pullman arrivò verso le sei di mattina, che era mezzo pieno di alpini già mezzi rossi. Anche perché, avevano iniziato a mangiare polenta calda col baccalà mantecato e col formaggio asiago. Qualcuno stava assaggiando il formaggio coi vermi (portato da un sardo trapiantato al Nord) e altri lo schifavano. Verso le sei e un quarto, venne tagliata la soppressa ed un' odore pungente e gustoso si sparse per il torpedone. Il sole era uscito allo scoperto, la giornata si prospettava chiara e stupenda, si respirava allegria, mentre già le bottiglie, di rosso Cabernet, quello buono, stavano piangendo.
Se i veci gustavano il vino, come da tradizione, qualche bocia – “o tempora o mores” – s'era messo a fumare, dopo averle arrotolate, delle strane sigarette verdi. Appena il sergente, capocomitiva, si accorse di quel gruppo di tre o quattro burbette con la marijuana gia` in tiro, fece fermare il pullman e spinse giù, a calci in culo: i tossici...che si facessero a piedi la strada del ritorno.
Poi tutti si preoccuparono di spegnere gli spinelli lasciati accesi, che già stavano inquinando l'aria del veicolo. La festa riprese.
Cantando a squarciagola, l'autista entrò in autostrada, offrì da bere al casellante che aveva chiesto il pedaggio, inserì il pilota automatico sui 95 chilometri all'ora e via...che di strada da fare ce n'era tanta.
Verso il trentacinquesimo chilometro, in vista delle montagne che si dovevano valicare, tra viadotti e gallerie, il traffico si fece più intenso. Strano. Bisognava andare piano, l'autista diminuì la velocità. Tutti continuavano a cantare e a bere, ma l'autista, da un certo punto, non cantò più.
Dopo la prima galleria ci si fermò un bel po'.
Strano, molto strano.
Nella seconda galleria ci fu una sosta forzata, al buio, di venti minuti. Qualcuno cominciava a preoccuparsi. Dopo alcuni chilometri percorsi a passo d'uomo, altra fermata, di circa mezz'ora...il tempo stava peggiorando. La sosta successiva, invece, fu lunghissima. I ragazzi con la penna nera scesero a passeggiare tra le auto ferme in coda. Nessuno sapeva cosa fosse successo.
Non si vedevano poliziotti o carabinieri, né si sentivano comunicati alla radio che trasmetteva solo canzonette, pensate che diffondevano ancora, dopo tanti anni: "Luglio col bene che ti voglio ...".
Al telefono, avevano avvisato qualcuno che c'era un incidente grosso, di quelli che dividono in due l'Italia, ma non si capiva se il disastro fosse successo lì vicino, o alla sommità del passo o giù, alle porte della grande e antica città della nostra Italia, (dove gli altri alpini stavano già, a quell'ora, sfilando coi bandieroni al cospetto del Presidente della Repubblica.)
Passò così il pomeriggio, l'aria era freddissima e il cielo minacciava buriana. Non cantava più nessuno, ormai, s'era esaurito il gioco delle carte, s'erano esaurite le barzellette e s'era esaurita la soppressa. Quel che è peggio, è che s'era esaurito anche il rosso Cabernet, quello di casa...erano rimasti, e questa fu la disgrazia, solo alcuni cartocci di vino balordo, da pochi euro e quelli non se li beveva proprio nessuno...e poi, "Cazzpita, ma non termina ancora questa fila?"
Sul far della sera, alzando il naso al cielo, Mario notò qualche fiocco: “Nevega bocie, nevega ben, cazzpita”
Oltre alla neve si era alzato un forte vento fastidioso. Di poliziotti o caramba nemmeno l'ombra, passò solo un incaricato alla sicurezza dell'Anas, raccomandando a tutti di uscire dall'autostrada e di cercarsi un posto per passare la notte nel paesetto lì vicino: “Guardate - disse ai malcapitati indicando col ditino - quelle luci lì in fondo, troverete rifugio certamente”.
E così, un gruppo numeroso di viaggiatori frustrati, iniziò a scavalcare la rete che divideva il percorso autostradale dal resto del mondo e ad attraversare, faticosamente, quella strana pianura che li separava dal paesino...ma che paesino sarà stato? In provincia di che cosa? Nessuno sapeva, nemmeno, in quale regione d'Italia si trovasse.
Ma, la via per la salvezza, si rivelò più lunga di quanto potessero immaginarsi.
La neve era caduta abbondante e si camminava affondando fino alle ginocchia (e sì che Mario era molto alto), adesso il cielo si era liberato e una quantità incredibile di stelle, rifletteva la sua luce brillante sulla neve, tanto che sembrava si potessero raccogliere milioni di diamanti.
Il passo si fece sempre più stanco, Mario si fermò due o tre volte e fu superato da altre persone. Gli venne in aiuto l'amico Roberto, che lo sostenne a braccio: “Varda Mario... quanta gente dietro a noi...” Intanto si era alzato, lieve, un canto struggente, Roberto penso`, a voce alta: “Cazzpita, sembra di essere nella ritirata di Russia.”
Si mescolava adagio al vento, quel coro che pareva un lamento di anime...
Mario guardò verso il paesello, le luci sembravano, stranamente, sempre più lontane. “Ce la faremo mai?” chiese l'ex alpino, e l`angoscia lo struggeva ...
Il canto saliva al cielo, poi si udì solo il rumore dello scricchiolio dei loro passi sulla neve: “era quello che avevano provato i nostri veci nell'anno orribile della disfatta, quando un immenso e orribile oceano di ghiaccio li separava da casa? Quando solo pochi fortunati tornarono ad abbracciare i loro cari?” Intanto la stanchezza ebbe il sopravvento.
Mario vide, tutto intorno, solo buio.
E comprese chiaramente, solo ora, cosa avessero significato per tanti giovani ragazzi, sul serio, il freddo, la sofferenza, gli orrori della guerra. Comprese in quei brevi istanti che la sua vita era stata leggera e facile, che il suo ricordare la naja, nulla aveva in comune con chi veramente aveva patito, con chi le campagne le aveva fatte davvero, con chi le medaglie se le era guadagnate. Pensò a tutti quei giovani della Julia, ma anche ai fanti, ai bersaglieri che avevano perso la loro breve vita in una marcia, senza speranza, sulla neve.
Poi si sentì mancare, arrivò l’oscurità, la notte, il nulla... l’oblio.
Si risvegliò, come per incanto, nell'autobus verso sera, la testa appoggiata sulle ginocchia di Roberto, mentre un altro amico, Giovanni, infermiere professionale, gli bagnava la testa con una pezza umida.
Tutti ridevano contenti, stanchi della marcia davanti al Presidente che li aveva anche salutati, andando a stringere la mano proprio all'autista dell'autobus che era lì per caso... e non aveva nemmeno fatto l'alpino...
Ma cossa cazzpita xè successo?” si domandò Mario.
Niente – rispose Roberto – hai bevuto quel cazzpita di vino in cartoccio da pochi euro, lo sai che fa male e poi hai respirato un po' di fumo di mariagiovanna che quei disgraziati di bocie hanno lasciato sulla corriera.”
Hai dormito molto.
Eh sì, un bel missiotto de tante porcate” continuarono in coro gli altri compagni alpini.
Il corrierone andava, sulla via del ritorno verso casa e un lieve canto, che sembrava un coro di angeli, saliva al cielo: “sul cappello sul cappello che noi portiamo, c`e` una lunga c`e` una lunga penna nera, che a noi serve da bandiera...”






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