venerdì 3 aprile 2020

"Venezia in catene" Capitolo Primo

  1. QUANDO RESTAMMO BLOCCATI IN LAGUNA
Di Pier-Angelo Piccolo



Capitolo I

Verso Venezia


Un cielo così limpido, Giovanni, non ricordava di averlo mai notato da queste parti.
Il freddo era pungente per colpa della Bora, il vento che dalle steppe russe porta qui da noi il gelo di quei popoli lontani, facendoci assaporare un po’ della loro rigida esistenza.
Le vette alpine, tanto distanti dalla pianura padana, sembrava si potessero toccare con le dita, quel giorno, mentre si riusciva a scorgere in lontananza piccolissime abitazioni di montanari.
La strada che da Milano - dove andava spesso in cerca di comprare qualcosa o vendere qualcos'altro…insomma a seguire i suoi poveri affari - portava a Venezia dove era nato, seppur trafficata da molte anime in pena e da diversi carretti stracarichi, rappresentava ancora un viaggio assai difficile da compiersi; era un po’ come attraversare quelle foreste pluviali del continente africano o le terre misteriose, di cui si parlava molto in quei giorni, al di là dell’Atlantico.
La lunga via si snodava tra boschi scuri e sinistre paludi, infestata da animali insidiosi, luridi insetti e uccelli antropofagi (così si raccontava); e poi ladri astuti, banditi pericolosissimi, truppe sbandate e, ultimamente, dallo strano esercito dell’Imperatore di Francia, dove i militari, anziché parlare francese come ci si sarebbe aspettato, parlavano spesso in piemontese e in milanese, nella lingua degli emiliani o dei genovesi. C’era anche chi parlava come i personaggi del Goldoni, i rusteghi o la colombina.
Dei grandi cambiamenti che stavano avvenendo nella politica dell’Europa, Giovanni non ci capiva niente: come tutto il popolino egli cercava solamente di sopravvivere con i suoi commerci ed il suo lavoro.
Da quando era partito da Milano erano già passati molti giorni; si era fermato qua e là incontrando mercati, sagre o fiere.
Si trovava all'incirca a metà del suo cammino quando sentì un rumore dietro di sé mentre, coi piedi gonfi, trascinava il suo carrettino: era il frastuono della diligenza, quella che, in sole trentasei ore, copriva l’intera distanza tra le due città.
Bellissima, quasi imperiale, piena di viaggiatori che schiamazzavano e trainata da cavalli giovani e briosi: un servizio di linea molto comodo, funzionava sempre con regolarità e toccava le città più importanti come Brescia, Verona, Padova. Egli sognava di salirci, su quella carrozza, da tanto tempo.
Un giorno si era informato del costo ed era venuto a sapere che il lusso gli sarebbe costato la bellezza di cinquantotto lire e ottanta centesimi, cosa che lui non avrebbe potuto permettersi, anche perché gli affari non andavano bene come un tempo.
Oltretutto avrebbe dovuto viaggiare nel “cabriolet”, cioè sul tetto aperto, perché i posti coperti – riservati a dame e nobiluomini - costavano molto di più.
Quando il sonno divenne una tortura, decise di fermarsi: passò la notte nascosto in un boschetto vicino all'argine del fiume quando già all'orizzonte si intravedevano le luci fioche di una città; probabilmente Padova. Prima di dormire si fece il segno della croce: addormentarsi da quelle parti senza altri compagni che vigilassero il sonno era un rischio molto, molto grande.
Nel buio passarono i cavalli coi soldati che andavano verso est e un gran numero di diligenze. Non se ne accorse neppure, poiché stava dormendo profondamente, ma dai movimenti inusuali e frenetici si sarebbe potuto intuire che qualcosa di grosso , verso Venezia, stava di certo succedendo in quella strana notte dell’anno milleottocentotredici…

Il primo sole del mattino, lo svegliò in mezzo ad un cinguettio che proveniva da un branco di rapaci, o uccelli da rapina, misto allo stridio dei gabbiani che, dalla foce, avevano risalito qualche corso d’acqua in cerca di cibo. Il mare era ancora lontano e, pensò Giovanni con una certa inquietudine, da quelle probabilmente non si trovava qualcosa da mangiare neanche per loro.
Si stropicciò gli occhi e proseguì sulla sua strada – ad Est, dove sorge il sole – che porta alla laguna.
Un insolita quantità di persone stava giungendo dalla parte opposta e difficilmente si poteva capire dove volessero arrivare. Si trattava di donne, uomini, vecchi e un gran numero di bambini. Nella sua stessa direzione, invece, andavano soltanto militari armati a cavallo, a piedi, nelle carrozze.
Capì che qualcosa di grave era successo proprio nella sua città nell’ udire, dietro di lui, due militari di un esercito straniero che non conosceva, ma che parlavano nel dialetto delle valli bergamasche, lamentarsi che non sapevano nuotare e che la sola vicinanza del mare a loro, uomini di montagna, metteva addosso una gran paura.
State andando a Venezia?” gli chiese voltandosi.
Dovremmo andarci, sì. Così ci hanno comandato - gli risposero - ma forse, da quel che abbiamo sentito raccontare, non ci arriveremo mai.”
Vide che i loro volti erano tesi, come se si stessero chiedendo che cosa ci stavano a fare in quella situazione.
Giovanni allungò il passo tanto che le ruote del suo carretto iniziarono a lamentarsi cigolando. Dopo aver passato Padova tentò di imbarcarsi sul burchiello o su qualche altro natante che raggiungesse Venezia, ma non trovò alcuna imbarcazione, né addetti al trasporto fluviale.
Allora percorse la strada che costeggia il fiume, passando attraverso palazzi e ville da sogno, forse le più belle del mondo, dove solitamente si trastullavano in ozii letterari, oppure orgiastici, ricconi e nobili veneti.
Giunse a Fusina, in vista di Venezia, ma alcuni militari, stavolta austriaci, lo fermarono prima.
Gli chiesero in tedesco, una lingua a lui poco conosciuta, di mostrargli i documenti.
Devo andare a casa mia” rispose, ma i militari continuavano a trattenerlo. Da un battello attraccato sul fiume lì vicino, scese un altro militare. Stavolta si trattava di un ufficiale inglese.
Ma da dove caspita arriva tutta sta gente mata?” Si chiese tra sé.
L’ufficiale si fece comprendere benissimo da Giovanni, forse perché parlava italiano o forse perché Giovanni capiva bene l’inglese, ma egli era così confuso che non si accorse nemmeno in che lingua stessero conversando.
Venezia è bloccata da qualche giorno – affermò serio l’ufficiale – I am sorry"
Giovanni, costernato, si girò verso la linea del mare e guardò con malinconia gli splendidi campanili affioranti della sua strana città sull'acqua.
I venexiani bloccati? Ma come?”
No possibile entrare, no enter, mister.”
Si mise quasi a piangere pensando a suo padre Gregorio, ormai vecchissimo, che di certo lo stava aspettando per poter finalmente mangiare qualcosa, a sua madre sempre ubriaca e a suo fratello Pompeo che, invece di lavorare come sarebbe stato giusto fare, perdeva tempo a scrivere qualcosa su di un giornale che pochissimi sapevano leggere.
Così Giovanni si accorse che, in una fredda giornata di fine novembre Venezia era, d’un tratto, diventata irraggiungibile: lo era da qualche giorno e per un qualche evento così misterioso che nessuno, né i militari di guardia né le persone assiepate lungo la riva che da Fusina guarda alla città, sapeva darsi una risposta. Correvano voci disparate: qualcuno parlava di una pestilenza che aveva invaso le isole portata dai topi delle navi, qualcun altro accennava ad una rivolta, altre voci favoleggiavano scontri tra due imperi…i cui eserciti si stavano fronteggiando proprio lì.
Per saperlo però, bisogna proprio entrare in città, meglio se qualche giorno innanzi.

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Giovanni andò a riposarsi in una vecchia casa matta che poco prima i militari avevano abbandonato, non si capiva se erano stati gli inglesi, i francesi, gli austriaci o chi altri. Vide un vetro rotto da cui arrivavano, a saperli guardare, dei segnali luminosi. Ci mise il naso vicino e vide formarsi delle figure. Era, questa, una capacità che egli possedeva in comune con suo fratello Pompeo, ma non sapevano come l’avevano guadagnata, se di guadagno si può parlare. Comunque la conserveranno per tutta la vita.
Gli apparvero figure provenienti dal futuro: rivide la strada ch'egli aveva appena percorso, faticosamente e in più giorni, trasformarsi in una strada dritta dritta, col pavimento liscio e dal colore quasi nero. Sopra vi correvano delle vetture coloratissime, ma senza cavalli, che andavamo a velocità incredibile.
Correndo così – pensò il giovane – possono arrivare da Milano a Venezia in poche ore”.
Immaginò, cedendo al sonno, che non avrebbe mai più rivisto la sua città, suo padre né, tanto meno sua madre già malandata tanto e tanto tempo prima. In parte aveva ragione.

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