CAPITOLO
V°
VOLARE
"E'caduto
giù
un palazzo, un palazzo intero, cori, cori, 'ndemo a veder"
"Cossa
xé nato... dove?"
"In
campo santa Maria Formosa, un disastro."
Fuori
dalla porta di casa, Pompeo sentì passare gente che correva e
vociava con una certa eccitazione, ben al di fuori dell'ordinario.
"Che
succede?",
chiese
a casaccio.
"Do
morti in canal, ‘na casa crollada."
Gli
rispose una donna che correva ansimando, col bimbo in braccio.
"De
più, de più",
aggiunse
un'altra che stava camminando velocemente.
Non
c'era molto da stupirsi se tutto stava andando a rotoli; certo,
pensò, che se ora iniziano a crollare anche le case...
Corse
anch’egli a vedere il disastro; strada facendo notò che molte
abitazioni erano fatiscenti e pericolanti: non ci aveva mai fatto
caso prima, ma il loro numero era aumentato paurosamente.
Quando
arrivò nel grande campo di Santa Maria Formosa, si presentò ai suoi
occhi un triste spettacolo: in cae degli orbi, la casa del nonsolo,
cioè l'anziano attendente del parroco don Farronato, era crollata
tutta, chissà come, nel canale. Il povero vecchietto era morto e non
si capiva se per il crollo avvenuto, per un infarto dovuto alla paura
o per annegamento quando era finito, assieme ad ogni cosa, nel
canale.
Nell'appartamento
vicino c'era una bàlia furlana che doveva badare ad un bambino;
fortunatamente s'era rotta solo una gamba, anche se a prima vista i
soccorritori l'avevano ritenuta già morta.
Il
bambino, invece e ciò parve un miracolo, era rimasto attaccato - per
gli stracci che lo avvolgevano come una mummia (era d'uso a quei
tempi) - ad una trave di legno e stava penzoloni sul canale.
Quelli
che lo avevano tratto in salvo, incolume, avevano riconosciuto in
questo fatto l'opera misericordiosa della Madonna: allora tutta la
gente riunita lì vicino si era inginocchiata, mettendosi a pregare
la Vergine Santa.
L'immagine
che gli si era presentata davanti, conteneva, per Pompeo, qualcosa di
agghiacciante.
L'abitazione
crollata aveva parzialmente invaso il canale e distrutto alcune
barche: pareva l'effetto di un terremoto.
Molte
persone che avevano assistito al disastro, stavano mute a guardare un
po' le macerie e un po' quelli che avevano vicini, e pareva che
ognuno comunicasse agli altri, silenziosamente, la paura, l'orrore
che tali fatti potessero moltiplicarsi, magari domani, forse la notte
stessa sarebbe toccato anche alla propria casa, con dentro la propria
famiglia e tutto ciò che amavano e che avevano al mondo.
"Venezia
muore", gridò dentro di sé.
Ma
forse “quella” Venezia era già morta da un po’.
Poi
si consolò, pensando che, l'unica cosa bella che non marciva, a
Venezia, continuando a splendere d'una luce propria, erano le donne:
bellissime, le veneziane, d'un fascino difficile da spiegare a voce,
bisognerebbe saper riprodurre con le parole gli odori che si sentono
e le emozioni che ti trasmettono.
Proprio
in quel mentre vide arrivare Myriam.
"Servo
tuo – le disse – posso accompagnarti?"
"Sì...sì...sei
è sempre gentile."
"Dove
vai, se mi è permesso chiedertelo?"
"Sto
andando da mio zio, che è ricoverato in ospedale."
Suo
zio era un certo Caliman Jenna, sensale ebreo, che molta beneficenza
aveva fatto ai poveri della comunità ebraica, così come l'aveva
fatta ai poveri della parrocchia di san Geremia, nonché al parroco
stesso. Una degna persona; tali erano tutti i membri della famiglia
di Myriam.
“Quasi,
quasi vengo con te, lo conosco bene anch'io, gradirei salutarlo.”
“Sì,
magari.”
Passeggiando
con Myriam, si accorse che le parole gli uscivano facilmente; era
proprio un gran piacere parlare con lei.
“Hai
sentito che hanno esposto l'immagine della Madonna, fuori dalla
basilica?”
“Certo,
l'ho vista anch'io.”
“Ma
voi ebrei credete alla Madonna?”
“La
madre di Cristo? Era una giovane ebrea come lo sono io, chissà
perché la pregate tanto, mentre non lasciate neanche che io entri
nella vostra chiesa.”
Si
mise a ridere, perché gli piaceva molto scherzare sugli affari
religiosi, quelli che invece, i bigotti, trattavano con troppa
serietà.
“E
voi avete pregato?” Le chiese.
“Sì,
l'altra notte abbiamo vegliato nel tempio; abbiamo cantato le
orazioni che riserviamo, solitamente, per i momenti più tristi.
Abbiamo chiesto a Dio, grande e misericordioso, di proteggere la
nostra Venezia.”
“Mi
fai sentire la tua preghiera?”
“Ma
dai Pompeo, il canto sacro non è mica uno scherzo.”
“Dimmi
almeno le parole.”
Myriam
abbassò un po' lo sguardo come era solita fare nei momenti di
imbarazzo; una cosa che rendeva i sensi di Pompeo ancora più turbati
poi iniziò, soavemente, il suo canto che riportava le parole dell’
Antico Testamento e che, tradotte dall’ebraico suonavano così:
“Camminerò
da sola nella valle buia,
ma
non avrò paura, o mio Signore
perché
Tu sarai sempre vicino a me”
Il
ragazzo si accorse che gli era difficile distaccare lo sguardo dal
viso di lei.
"Secondo
te libereranno il papa?"
"Non
so - rispose la ragazza - quelli non hanno rispetto per nessuno, non
credono in nulla, solo nel bottino della guerra."
Il
papa Pio VII era stato eletto a Venezia nel 1800 - ché a quel tempo
in laguna comandavano gli austriaci - mentre Roma era già stata
occupata dai francesi. L'elezione era avvenuta in conclave nel
convento benedettino dell'isola di san Giorgio, quello di don
Antonio, l'abate che Pompeo conosceva e di cui era diventato amico.
Poi
i francesi senza Dio (era quello che pensava Pompeo), l'avevano preso
e, pensate, lo avevano arrestato e chiuso in una cella.
Ora
il pontefice si trovava ancora sotto sequestro e ciò rappresentava
per tutti i cattolici, ma anche per qualche ebreo e qualche turco un
affare vergognoso (anche se molti erano contenti).
I
due ragazzi passarono davanti alla grande statua di Napoleone in
piazza san Marco.
Ormai
quotidianamente qualcuno vi depositava un foglio con versetti in
onore dei francesi.
Di
solito si scriveva in un foglietto l'epigramma e lo si poneva nella
mano della statua dell'imperatore, la destra, quella che sembrava
chiedesse la carità.
Pompeo
fece in tempo a vederlo prima che arrivassero due gendarmi a
strapparlo.
"Cosa
c'è scritto?"
Chiese
la ragazza.
Pompeo
lesse:
"Libertè,
egalitè,
fraternitè,
i
francesi in carrozza
e
nu a piè."
"Ti
piace leggere il giornale?"
Gli
chiese la ragazza.
"Certo,
io lavoro al Giornale dipartimentale Adriatico."
"Lo
leggo anch'io, perché mio padre è abbonato."
I
due si guardarono e scoppiarono a ridere.
“La
voce della verità!”
“Però
racconta bene le frottole”
“Sì,
una peggio dell'altra. Pensa che, sul numero di qualche giorno fa,
c'era scritto che l'esercito di Napoleone, vittorioso, si sta
apprestando ad occupare l'Austria.”
“Ma
tu guarda. E allora che ci fanno gli austriaci appena fuori dalla
Laguna?”
“Ci
credi ai presagi?” Gli chiese la giovane donna.
“A
volte sì...”
“Qualcuno
mi ha raccontato che era visibile la figura del pianeta Venere,
l'altra notte; pensa che lo si poteva vedere anche senza usare il
cannocchiale.”
“Hai,
hai... - fece lui - proprio come l'altr'anno, ti ricordi?”
“Sì,
proprio come l'altr'anno” disse Myriam, ed un brivido le attraversò
la bella schiena per intero.
Qualche
tempo addietro infatti, era comparsa, in una notte chiarissima, una
meteora ignea e qualcuno lo aveva interpretato come un presagio di
sventura.
Anche
se molti non ci avevano creduto erano seguite, subito dopo, tremende
catastrofi.
Una
terribile inondazione aveva invaso il Polesine, distruggendo campi
case e persone, gettando nella miseria tantissime famiglie.
Erano
scese valanghe di fango nella zona delle montagne vicino a Belluno;
si disse che era crollata una montagna intera,
e
i corpi dei morti avevano navigato lungo il letto del Piave, venendo
a galleggiare nel mare Adriatico.
In
tutto il territorio veneto s’erano ripetute catastrofi che avevano
diffuso paura ed orrore.
Durante
un terremoto erano crollate trenta case nella zona vicino a Padova.
Per fortuna, a Venezia, caddero solo due camini e non morì nessuno.
“Ti
piacerebbe volare?” Gli chiese, d'un tratto, Myriam.
“Volare?”
“Sì,
su quei palloni colorati.”
“Mamma
mia, altrochè - le rispose con foga Pompeo - vorrei arrivare fino in
America."
“Volare
come angeli nel cielo limpido del paradiso.” aggiunse lei.
Pompeo
guardò il suo volto e pensò che, di certo, era proprio quello di
un angioletto che aveva incontrato, chissà come, in questo Mondo.
“Ti
ricordi la storia del signor Zambeccari?” Disse il ragazzo.
“No,
forse ero troppo piccola”. Allora gliela raccontò.
(Il
pallone aerostatico era stato inventato solo pochi anni prima, nel
1786: nemmeno trent’anni addietro e per la prima volta nella
Storia, gli uomini avevano volato, realizzando il sogno di Icaro.
L’umanità non aveva fatto nemmeno in tempo a rendersene conto.)
Zambeccari,
un signore bolognese, era un pioniere del volo a pallone.
Un
giorno aveva tentato, assieme a sei uomini d'equipaggio, di volare da
Bologna fino a Milano. Migliaia di persone lo stavano aspettando.
All'inizio
tutto era andato bene poi, una volta in cielo, un forte vento aveva
sospinto il bel pallone colorato dalla parte opposta alla sua mèta,
cioè verso l'Adriatico.
Gli
uomini volanti erano finiti tutti in mare, grazie a Dio senza
infortuni, e li aveva salvati una nave veneziana che li aveva
portati in città, dove furono accolti con curiosità e divertimento.
Nel
frattempo il pallone, vuoto, aveva attraversato il mare ed era
arrivato sulle coste bosniache, dove gli indigeni del luogo, un
po’barbari ed un po’ignoranti circa le nuove tecnologie, lo
avevano considerato un segno divino ed ancora lo stavano venerando
come una reliquia, tra le risa divertite dei marinai veneziani che
passavano da quelle parti e che ne conoscevano bene la storia, ma si
guardavano bene dall’avvisarli.
“Anche
mio fratello Giovanni è salito su un pallone, proprio qualche tempo
fa.”
“Veramente?”
“Sì,
ti ricordi quando ci fu la fiera, qui a Venezia, e venne esposto il
pallone?” La ragazza fece un cenno con il capo.
“Fu
bandito un concorso tra i ragazzini e lui lo vinse. Il premio
consisteva in un giro nella navicella.
Quando
l'aerostato salì, con lui a bordo, noi lo seguimmo sulle barche, per
gran parte della laguna. Giovanni, di lassù, vide la laguna - ce la
descrisse dopo - che pareva un tappeto verde, e giù stavamo tutti
noi, piccoli come formiche, sopra le nostre imbarcazioni.
Gli
uomini vogavano in silenzio; era una interminabile scia di gondole e
gondolini che inseguiva gioiosamente e silenziosamente quello strano
e misterioso oggetto volante, simbolo dei giorni che verranno.”
Myriam
lo ascoltava con la bocca aperta e lo sguardo rapito; ad un tratto
disse:
"Chissà
come sarà il futuro."
"Quale
futuro?"
"Il
futuro nostro, quello dell'umanità. Chissà quante invenzioni nuove,
quante belle cose ci porteranno gli anni a venire…che emozioni
proveremo?"
Anche
Pompeo stava pensando al suo futuro e a tutto ciò che, a partire da
quei giorni stranissimi, avrebbe ricavato di nuovo dalla vita.
"Chissà."
Disse con un sospiro…le rispose, mentre guardava fissamente e
ossessivamente le sue labbra stupende, cariche d'un color rosso vivo
inquietante.
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