mercoledì 15 aprile 2020

"Venezia in catene" Capitolo secondo


CAPITOLO 2



La città


"E quando, poi, sentirete
parlare di guerre e di
rumori di guerre, non allarmatevi!
E’ necessario che ciò avvenga,
ma non sarà ancora la
fine.
Insorgerà infatti nazione
contro nazione e regno
contro regno;
vi saranno terremoti sulla terra e vi
saranno carestie.
Questo sarà il principio dei dolori."
dal Vangelo di san Marco 13, 7-8



Venezia, settembre 1813,

Pompeo aprì con calma le finestrelle che davano sul canale, si appoggiò al davanzale e, costernato, guardò l'acqua cheta sotto di lui. Una corrente lenta portava verso il mare detriti, immondizie, resti di vita ora in putrefazione.
Come ogni giorno, storse il naso in una smorfia e, con disgusto mal celato, tirò un sospiro profondo.
"Venezia non è più come prima", sentenziò. Se lo andava ripetendo, ormai, da mesi e forse da anni, ma non sapeva darsi pace.
La città che egli amava ricordare nelle sue continue e ossessive meditazioni, ora non era che un miraggio lontano, vaghi racconti del padre, così come lo erano, ormai, i cittadini che la abitavano, vere caricature dei veneziani del passato. Ma comprendeva, anche, che era inutile rimpiangere gli eventi stupendi e la bella vita del passato, miti fantastici di fantasmi che mai più sarebbero tornati a ritrovarlo, nemmeno in sogno.
Ed era inutile ripensare a com'era piacevole la città per chi, turista nobile e danaroso, ci veniva a trovare: "il posto più gaio del mondo" affermavano, ritornandoci sempre più volentieri, tutti i "foresti", gli scrittori, i principi, i poeti che questa avevano stabilito essere la loro patia ideale.

"Dove ti va, co sto tempo bruto?", gli chiese Gregorio, il suo genitore anziano e malandato. Con lui, Pompeo divideva tristemente la casa da quando la madre se n'era andata via col senno, distrutta dal vino troppo buono, dal gran tabaccare e da qualche malattia che ancora gli scienziati dovevano scoprire e catalogare. Erano già diversi giorni che la stavano cercando, forse era già morta annegata sotto qualche barca.
Ma ormai il vecchio se n’era fatta una ragione. Il suo fisico minuto e smagrito, le sue ossa che sembravano fuoriuscire dalla pelle consunta, contrastavano con una formidabile forza di volontà, una voglia di vivere inspiegabile a tutti, specialmente a chi non conosce i vecchi marinai veneziani.
"Sta calmo, papà, non agitarte – lo consolò il figlio - vado solo a veder se trovo qualcossa da magnar e se incontro, par caso ea mamma."
Indossò un vecchio e sudicio mantello e si apprestò ad uscire, quando si accorse che la porta era bloccata: dovette spostare un cumulo di immondizie che, da fuori, la ostruivano; materie guaste e maleodoranti che intasavano non solo l'uscita della sua casa, ma tutto il territorio di quella che un tempo fu la città più importante d'Europa.
Pompeo attraversò la stretta calle da cui proveniva un odore nauseabondo; anche la lunga fondamenta, la riva sul canale della "Misericordia", era piena di sozzure e di calcinacci, mentre nell'acqua galleggiavano cadaveri di gatti, di colombi e di pantegane, contornati da ogni tipo di rifiuti marci.
Si avviò verso piazza san Marco per vedere se fosse giunta qualche nave a portare provviste, ma ogni passo che percorreva, attraverso quella città ridotta ad incubo, contribuiva a demoralizzarlo.
"Passalo a me, passalo a me",
urlava un bimbo smilzo ad un coetaneo che stava prendendo a calci un gattino magro e spelacchiato. Pompeo prese a calci i due ragazzacci che fuggirono; il gattino scappò da un'altra parte.
Alcuni soldati francesi stavano cercando, ripetutamente e con poco garbo, di ingraziarsi due ragazze giovani e bellissime: mentre scherzavano e ridevano, le due sapevano già che non avrebbero concesso nulla ai militari, nemmeno la magra soddisfazione di accarezzare loro un seno, ancora piccolo ma ben proporzionato, un ginocchio, o le rotondità paradisiache delle loro natiche. Insomma, i galletti sarebbero, come si dice da noi, andati in bianco.
Pompeo le guardò con un sorriso di tenerezza. Ma il sorriso si spense quando giunse in piazza: constatò subito che non erano giunte nuove navi, c'erano solo due vecchi legni a remi che galleggiavano lì da settimane. Al largo dell'isola di san Giorgio sostava la fregata "Rivoli", vanto della produzione navale dell'arsenale, ed alcune imbarcazioni da guerra francesi, anch'esse costruite a Venezia: si mostravano i muscoli, ma non c’era niente per lo stomaco.
Sotto la statua di Napoleone, posta in piazza san Marco, era visibile il solito foglietto che conteneva l’ennesimo epigramma contro l’Imperatore. Non valeva nemmeno la pena di fermarsi a leggerlo. Quella strana statua che rappresentava Napoleone col Mondo in una mano e l’altra rivolta in su (come se stesse chiedendo la carità), era stata scolpita dal signor Banti, uno scultore famoso, circa due anni prima ed era stata voluta e pagata dalla Camera di Commercio di Venezia, grata per l’istituzione del porto franco all'isola di san Giorgio avvenuta nell'aprile del 1808, quando Napoleone, che aveva depredato la città anche dei quattro cavalli sulla basilica, decise di lasciare un contentino alla popolazione.
Ora la piazza trasudava declino e miseria.
Gli venne da pensare ai tempi in cui il bacino di san Marco era stabilmente occupato da una selva di alberi e vele, ed il commercio fremeva, così come fremevano la cultura, le arti, la vita.
Si avvicinò ad una "peata" attraccata sotto al ponte dei sospiri e allungò due soldi di nichel al barcaiolo. Ne ricevette, in cambio, un po' di pomi, qualche castagna secca.
"Anche per oggi se magna", disse tra sé, e tornò dal padre.
Lungo la strada del ritorno, incontrò il gattino che aveva salvato dai calci e dalle torture e vide ch'egli stava mangiando qualcosa, di gusto, dalle mani di una vecchina.
I francesi continuavano a smaniare dietro alle due bellissime ragazze.

"No ti va a lavorar?"
"No, papà, ti sa che, ormai, non se lavora più tutti i giorni, purtroppo."
"Hai trovato da mangiare?"
Pompeo si vergognò a mostrare al padre ciò che aveva comperato, ma l'anziano genitore, uomo temprato, mostrò di gradire l'offerta.
"Piuttosto che niente",
pensò tra sé il ragazzo. Guardò con affetto il padre mentre mangiava quelle misere cose, e si sentì in colpa di non poter provvedere meglio.
"Eh, sì, povero Pompeo, nel secolo scorso se magnava mejo"
"Mejo de così ghe vol poco, papà.
"Co ghe gera i dogi no ne mancava mai niente, fio mio... altro che sardele."
"Magari se trovasse sardele" pensò il ragazzo.
Ai suoi tempi, a Venezia, la fame era molto più rara. Non che tutti fossero ricchi come certi mercanti patrizi, che potevano riempire un mastello da bagno con le loro monete d'oro e d'argento ma, certamente, lo stomaco lo si poteva riempire in maniera onorevole e lo facevano quasi tutti.
Tutti partecipavano, anche, alle molte feste che avvenivano alla celebrazione di ogni "santo", ed i santi erano circa trecento ogni anno. I teatri erano sempre pieni e non solo di nobili, ma anche di popolani, di arsenalotti, di gondolieri.
Il celebre commediografo Carlo Goldoni infatti, aveva iniziato a rappresentare anche il popolo, sulle scene, non solo re e regine come si usava prima: quando sul palcoscenico appariva un attore vestito da gondoliere, ad esempio, si sentiva arrivare, dall'alto della platea, il fischio intenso e lo schiamazzo inarrestabile dei rematori, felici di essere elevati a tale rango.
Forse era proprio per quella smania di vivere senza responsabilità, ma di vivere al massimo, come se ci si trovasse già in una specie di paradiso, che i francesi prima e gli austriaci poi, avevano potuto invadere la città senza trovarsi di fronte un popolo risoluto e deciso a resistere, come era stato per più di mille anni.
Pompeo mise in bocca una castagna secca.


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