domenica 19 aprile 2020

" Venezia in catene" Capitolo tre

I FRANCESI

Era pieno di francesi con la faccia da campagnoli, anche se qualcuno non era francese, ma fingeva di esserlo. Chissà poi cosa si credevano di fare.
Soldati prepotenti, come tutti i soldati del Mondo. Questi, anzi, erano ancor peggiori, perché avevano dietro di loro fior di filosofi e di intellettuali che li istigavano, convincendoli di essere dalla parte della ragione, della giustizia, della verità ad ogni costo.
Ma quando mai, nella storia degli uomini, un soldato ha ammazzato e scannato senza credere di essere dalla parte della verità?
C'era un tempo in cui, addirittura, qualcuno ammazzava i suoi simili in nome di Dio, come se il Padreterno non avesse altro da fare che creare esseri perfetti per farli poi banalmente squartare da altri esseri umani.
E tutto ciò in suo nome, per giunta.
Pompeo pensò che avrebbero dovuto prestare attenzione nel muovere i loro passi in una città millenaria, le cui pietre da calpestare contenevano, ognuna di esse, una storia da raccontare, così come c’era da aver timoroso rispetto per tutto ciò che si vedeva attorno.
Mentre pensava a queste cose, egli si accorse che due di loro, grezzi contadini col cappellaccio portato di traverso e l'uniforme lurida, stavano importunando Myriam, la nipote del rabbino, una ragazza che egli aveva conosciuto durante una festa al ghetto ebraico della città, in cui lui, cattolico, era stato invitato per caso.
"Ciao Myriam, cossa xe che no va?"
le chiese immediatamente.
I soldati lo guardarono male, ma subito se ne andarono per la loro strada.
"Ciao…."
rispose lei con quella voce dolcissima che, molto tempo prima, lo aveva turbato, procurandogli un misto di curiosità, di stupore e di qualcosa d'altro ch'egli non aveva saputo spiegarsi.
"Sempre così, co 'sti francesi, vero?"
"Sì, certo, non si può più camminare, grazie per esser intervenuto.
"Par carità, piasser mio, cara Myriam, servo vostro."
"A rivederse."
"Sì, a presto."
Pompeo sapeva che, a molte ragazze, non dispiaceva di esser fatte oggetto di desiderio da parte dei soldati. Molti di loro, in effetti, erano giovani e carini. Tra di loro, poi, c'erano anche giovani provenienti da altre città della penisola italiana, costretti a far parte dell'esercito di Napoleone, che aveva conquistato le loro terre ed aveva imposto, per la prima volta nella storia dell'umanità, la leva obbligatoria.
E questi figli degli stati italiani, nonostante portassero la stessa divisa, erano di gran lunga più galanti dei francesi.
Mentre guardava la stupenda ragazza ebrea, dai capelli nerissimi, allontanarsi col suo fagotto di roba da lavare, pensò con un certo fastidio se mai lei avesse ceduto alle avance di qualcuno. Poi cercò di non pensarci più.
"Caro Pompeo, come sta andando?"
"Roberto Lulli? Qual buon vento?"
Costui era un amico e collega di Pompeo, che aveva scritto anche un libro. Nativo di Firenze, aveva trascorso gran parte della sua vita e della sua carriera nella città di san Marco. Neppure in momenti difficili come quelli che stavan passando, l'aveva potuta abbandonare.
Spira un vento molto brutto, fratello. Per le nostra pancia e per le nostre idee.”
Egli aveva creduto per un po’, come tanti altri giovani, alle idee di libertà e di democrazia portate avanti dal dittatore còrso. Ora anche lui era in pieno subbuglio.
Cossa ti vol far?” gli chiese pleonasticamente il giovane veneziano.
Niente, niente. Sto pensando a quelli che sono andati a morire in giro per l’Europa e che ora si stanno ritirando in ordine sparso. Anch’io avrei dovuto andare a combattere ma, grazie a Dio, ho questa gamba zoppa.”
Cambierà…tornerà tutto come prima:”
Prima quando? – chiese Lulli, facendo capire quanta confusione regnava nelle menti di chi stava assistendo a cambiamenti repentini quanto mai, nella Storia, erano avvenuti – Prima io credevo in Dio e ci hanno insegnato a non crederci più. Credevo nella rivoluzione e ora non ne esiste più nemmeno il ricordo. Penso a chi ha combattuto dapprima in nome dei suoi ideali, dopo soltanto per il bottino di guerra (che almeno quello gli rimaneva), e adesso si trova, senza né arte né parte, impantanato nella steppa o ferito molto gravemente sul greto di qualche fiume e ha davanti a sé solo la prospettiva della morte: bestemmiando Dio, sé stesso e chi lo ha indottrinato, morendo senza conforto alcuno.”
Pompeo lo salutò fraternamente, mentre pensava alla strana figura responsabile di tutto ciò che stava avvenendo al mondo. L’Imperatore de francesi: ma chi era in realtà costui? Il castigo di Dio? Un demone venuto a inorgoglirci prima e a punirci poi? Chi lo sa, neppure i posteri lo sapranno.
Napoleone quando ancora non era imperatore, ma un generale della rivoluzione e si stava avvicinando alla decadente Venezia, sua preda ambitissima, per poterla sbranare tranquillamente, scrisse in una lettera al "Direttorio", che governava da Parigi tutta la Francia, queste parole:
"Di tutti i popoli d'Italia,
il veneziano è quello che ci odia di più",

e non sbagliava di certo.
Ora che erano passati quasi venti anni da quella volta, l'odio non era diminuito, semmai, dopo gli ultimi avvenimenti, si era moltiplicato. Un odio assai ricambiato da Napoleone per una città considerata, probabilmente a torto, il simbolo dell'antico regime.
In quel tempo - era il 1797 - mentre il generale francese si stava avvicinando alle terre di san Marco che, allora, andavano dalle valli bergamasche alle isole dell'Egeo, Venezia era già alla fine e i suoi nobili non pensavano nemmeno ad una qualche difesa da opporre all'esercito invincibile.
Napoleone, vero genio della guerra, aveva inviato emissari in tutto il territorio allo scopo di promuovere lo "spirito pubblico", cioè per avvicinare il popolo agli ideali della Rivoluzione Francese.
Pompeo non era che un bambino, allora, ma suo padre glielo aveva raccontato molto bene: quegli uomini, perfetti strumenti di guerra psicologica, avevano fomentato, a Venezia e nel Veneto, odii e divisioni. I poveri avevano iniziato ad odiare i patrizi, le fazioni andarono contrapponendosi tra di loro sempre più violentemente. La millenaria unità della serenissima terminò malamente. Si arrivò a dividersi, dopo secoli di orgoglio indipendentistico, tra filoaustriaci e filofrancesi.
Mentre camminava per le callette strettissime, si accorse che era arrivato a odiare il rumore dei tacchi delle truppe occupanti sui masegni, ché pareva lo facessero quasi per dispetto.
Pensò che i veneziani nulla avevano fatto per difendersi, mentre sulle montagne...
...Eh sì, sulle montagne, in quel 1797, i francesi avevano trovato filo da torcere.
Mentre si avviavano speditamente a conquistare la città dei Dogi, i napoleonici non avrebbero immaginato mai, neppur minimamente, di trovarsi davanti un esercito di montanari, valligiani, contadini, disposti a tutto pur di difendersi da una soldataglia arruffona e arrogante.
Fu così che, armati di forconi e di bastoni, i poveri abitanti della valcamonica, della valtrompia, della valsabbia e delle valli e dei contadi vicini, dispersero e umiliarono l'esercito più forte del mondo, quello che si avviava a conquistare l'Europa intera.
E non riuscivano ad andarne fuori, i francesi, con quei diavoli arrabbiatissimi.
Napoleone minacciò il doge friulano, Ludovico Manin, di mettere a ferro e a fuoco la città di san Marco se non avesse dato ordine a quegli ossessi di fermarsi, ché gli stavano distruggendo gli uomini migliori.
Il doge dovette arrendersi e, per evitare altri spargimenti di sangue, ché già ce n'erano stati troppi, intimò a quella gente tanto riconoscente e fedele di fermarsi.
Non poté dimenticare che, in moltissimi casi, furono proprio i popolani più poveri, i villici, i montanari a salvare la Patria: successe anche all'inizio del '500, quando la Repubblica era stata attaccata da una coalizione capeggiata nientepopodimeno che dal papa Giulio II, monarca dispotico e intollerante.
Anche in quei giorni, al grido di "viva san Marco", quel popolo povero e fiero si era difeso con grande accanimento. E quella volta aveva salvato la Repubblica.
Pompeo pensò a loro, ai "campagnoli" tanto diversi dai cittadini veneziani, con compassione e molta pena.
Erano i figli dei contadini poveri e dignitosi, quelli che i ricchi ed i borghesi deridevano e definivano ignoranti e bigotti. Forse era vero, ma i figli dei ricchi borghesi che avevano sposato la causa della rivoluzione, che avevano studiato i libri di Voltaire e avevano preso le armi, ora le stavano usando contro di loro, e non riuscivano ad averne ragione.
Il 12 Maggio del 1797 i francesi entrarono in città e i veneziani non mossero un dito.
Erano passati, in pochi minuti, mille e trecento anni di indipendenza.
Gli schiavoni , soldati che venivano dalle coste dell’ Est e che furono per molto tempo al servizio della Serenissima, presenti in città, difesero Venezia con tenacia.
Ma altri di loro approfittarono del caos per saccheggiare le case e fare bottino.
Qualche cittadino più colto pensò che i francesi avrebbero portato le libertà democratiche, quelle che moltissimi, sinceramente e a ragione, desideravano ardentemente.
Ma Napoleone non era che un dittatore come ce ne furono tanti e come ce ne saranno ancora… e della libertà altrui se ne fregava bellamente.
Aveva già venduto Venezia agli austriaci – buoni quelli - dopo averla "liberata" di qualche tonnellata di opere d'arte.





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