CHIOGGIOTTI
Le
diserzioni in massa, tra i militari di presidio a Venezia,
aumentavano in maniera impressionante, tanto che, con l'inizio del
nuovo anno, si faticò a tenerne nota.
Pompeo
era avvisato costantemente: si aprivano in continuazione nuovi buchi
tra chi doveva controllare i confini della città. A volte erano le
stesse guardie a fuggire e a darsi al nemico. Ma, nel suo giornale,
certe notizie non si potevano di certo pubblicare. Il numero del 3
gennaio, uscito in ritardo, ne parlava appena, anche se la
pubblicazione di ordinanze severissime contro i disertori, faceva
capire chiaramente che il problema, per il governo francese della
città, era enorme.
Dall’altra
parte della laguna, verso Sud, nella città gemella di Venezia,
Chioggia, stava intanto succedendo un fatto che aveva
dell’incredibile.
In
quei giorni, infatti, gli abitanti di Chioggia erano soliti venire
fino a Venezia per vendere le loro derrate alimentari, perché ne
ricavavano assai maggior guadagno che se le avessero vendute nella
propria città, perché a Venezia erano sempre stati più ricchi e
anche perché a Chioggia erano tutti pescatori e con la storia del
blocco navale nessuno poteva più andare al lavoro nel mare, unico
sostentamento delle proprie famiglie.
Era
una speculazione dannosissima, perché, in poco tempo, avrebbe sì
riempito le tasche degli speculatori, ma avrebbe ridotto Chioggia
alla fame; brutto destino per quei poveri chioggioti: morir di fame
con le tasche piene di soldi.
Fu
così che il prefetto di Chioggia, il nobile signor Baldassaroni,
tentò in maniera intelligente di fermare questa scemenza con un
decreto in cui si vietava di vendere alcunché a Venezia.
Ma
tale gesto non piacque al governatore Seras tanto feroce quanto
ignorante, che non aveva autorizzato quella misura e che annullò il
decreto, affermando che il commercio tra le due città, entrambe
bloccate, doveva continuare.
Accadde
allora, inevitabilmente, che i clodiensi, o chioggiotti come li
chiamavano i veneziani, si trovarono, in brevissimo tempo, senza
generi di prima necessità. Questa incresciosa situazione scatenò un
tumulto di popolo ( proprio lo stesso popolo che aveva cercato di far
soldi speculando a Venezia), in cui non mancarono botte e violenze e
che venne bloccato soltanto dalla promessa di Seras, che non sapeva
più che pesci pigliare (e non c’erano più neanche pesci), che
sarebbe stata portata un pochina di farina da Venezia a Chioggia.
Ciò
bastò a calmare gli animi.
Era
soltanto il 6 gennaio e già Venezia pensava, nonostante tutto, al
carnevale. Il governo fece sapere che era permesso portare le
maschere, a meno che, i travestimenti, non fossero stati contrari
alla morale e irrispettosi dell'autorità costituita, della
religione, dei costumi.
In
tipografia il giornale era quasi pronto, Pompeo stava preparando
l'articolo riguardante il carnevale. In pratica, egli doveva
limitarsi a pubblicare l'ordinanza del governo così come gli veniva
passata: erano vietati gli spari e l'uso di rocchette e fuochi
artificiali (che tanto, per capodanno, ne erano stati utilizzati a
sufficienza), e per chi girava armato, creava tumulti o commetteva
atti indecenti in maschera (e gli atti indecenti non mancavano mai,
specie se si era in maschera), scattava l'arresto immediato e
l'obbligo di smascherarsi davanti al poliziotto (cosa che avrebbe
fatto accapponare la pelle ai Dogi della serenissima, nei tempi in
cui il diritto di maschera era considerato quasi una cosa sacra, come
il diritto di andare a messa).
Se
il reo poi, apparteneva ad una delle classi chiamate alla leva,
sarebbe incorso nelle pene stabilite per i renitenti.
Tutto
qui: il "giornalista" Pompeo non avrebbe dovuto aggiungere
altro a queste notizie-ordinanze che giungevano dal governo. E sì
che di cose da dire ne avrebbe avute molte.
"Xé
sciopà el tifo" annunciò una voce concitata alla porta della
tipografia.
"Qua
a Venexia?"
"Sì,
all'ospedal."
In
tutti gli ospedali cittadini, era scoppiato il terribile morbo.
Era
successo che alcuni giovani militari di presidio, non abituati alle
fatiche della guerra o alle notti di guardia, avevano iniziato ad
accusare un marasma alla pancia, che presto degenerò in una malattia
più terribile, il tifo, appunto. Gli ospedali che già erano infetti
e sozzi, erano carichi di ammalati ed il loro numero aumentava
costantemente. Il morbo sorprese anche medici ed infermieri. Venne
istituito un ospedale in sacca san Biagio allo scopo di isolare
quelli che erano stati infettati dalla malattia.
La
tragica lista dei morti, che il Giornale dipartimentale Adriatico
pubblicava costantemente, si stava gonfiando in modo spaventoso.
Pompeo
guardò fuori dalla finestra e vide che, lentamente, era iniziata a
cadere la prima neve.
Attraverso
il chiarore nitido che usciva dalla vetrata, gli parve di scorgere
movimenti di esseri umani, simili alle migrazioni degli animali, in
cerca di cibo e di acqua. Vide milioni di persone, in un futuro non
molto lontano, disperate e umiliate, anche se sotto la loro terra
nascondevano tesori. Come i chioggiotti anche i popoli di domani
dovranno svendere i loro patrimoni e le loro ricchezze senza
ricavarne di che vivere, trovandosi a morire di fame per far
arricchire i loro Napoleoni e i loro Seras.
Passò
di là una donna, la Guerrina, quella che vendeva la frutta a Rialto
assieme a sua sorella Lucia, che lo avvisò:
"Va
a casa, Pompeo, che tò papà sta tanto e tanto mal."
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