Capodanno
da Buratti
Dopo
l’uscita dell’ultimo numero, la sede del giornale era stata
abbandonata: il direttore aveva chiuso tutto senza salutar nessuno e
senza avvisare quando si sarebbe stampato, sempre “se” si sarebbe
stampato, il numero successivo.
In
quei pochi fogli si potevano leggere le solite notizie palesemente
false – lo avrebbe capito anche un bambino - riguardanti vittorie
esaltanti quanto inesistenti dell’esercito francese, alcune di
addirittura trionfali, di città conquistate con valore e tenacia.
In
realtà si trattava di una guerra che Napoleone aveva ormai perduto,
lo sapevano già tutti nel resto del Mondo, ma a Venezia ancora non
lo sapeva nessuno.
Pompeo
non poteva più sopportare che venissero celati i terribili patimenti
cui ogni cittadino era costretto in maniera tanto infame.
Mentre
vagava per le calli senza una meta precisa, si stupì (ma lo stupore,
ormai, gli riusciva sempre difficile), vedendo la gioia con cui i
suoi concittadini si preparavano a festeggiare – alla grande, come
sempre - l'arrivo del nuovo anno.
Una
volta giunto a casa prese in mano il diario, che almeno quello lo
avrebbe potuto scrivere in libertà e, senza spogliarsi che tanto era
freddo anche lì dentro, scrisse una struggente preghiera al cielo:
"Compie
il 1813, anno veramente nefasto.
Nel
di lui corso fummo flagellati con guerre, tempeste, inondazioni,
terremoti, aggravj insopportabili, fallimenti, coscrizioni, ed in
fine col blocco.
Si
fanno voti al cielo, perché l'imminente 1814 ci sia più propizio.
Ma
pur troppo incomincia anch'egli con lo stesso o poco differente
apparato di disgrazie.
Il
blocco, che ci opprime già da due mesi, viene riguardato come la più
grande di ogni altra - speriamo che la mano dell'Onnipossente
affretterà la tanto da noi sospirata pace."
Tutte
le case erano pavesate a festa, quella sera. Gregorio aveva trovato
da qualche parte alcune ghiottonerie e non si capiva come avesse
fatto. Il vecchio, col solito sorriso sulle labbra, stava già
rifocillandosi. Con la bocca piene disse, rivolto al figlio:
"Magna,
magna che el xé bon."
Nel
piatto campeggiava una specie di frittella che non dava ad intendere
cosa contenesse all'interno, tre uova basotte e alcuni fagioli
conditi con del liquido che, a ben sperare, pareva olio di oliva.
Intanto
i notabili della città erano tutti riuniti a casa del poeta Buratti.
Buratti
era un poeta satirico che componeva versi abbastanza "spinti",
dall’ intenso contenuto erotico, tanto da esser considerato un
sozzo da alcuni e da altri paragonato al celebre “Baffo”, poeta
non meno audace.
Egli
era stato invitato, poco tempo prima, ad una cena ufficiale in casa
del prefetto della città, anzi del “Prefetto del Dipartimento
dell’Adriatico”, cioè il nobile signor Francesco Galvagna, alla
presenza di ospiti illustri come il podestà di Venezia, Girolamo
Bartolomeo Gradenigo, il commissario generale di polizia Antonio
Mulazzani, ufficili del comando francese e varie personalità del
mondo letterario.
Non
curante della solennità del luogo, a mo' di ringraziamento per
quell'invito lesse, davanti a tutti gli invitati, nobiluomini e dame,
alcuni sonetti di satira da lui composti.
Dopo
un po’ il prefetto, imbarazzatissimo, cercò di dissuaderlo senza
riuscirci e lo invitò, perlomeno, a non pubblicare queste facezie
ma, pochi giorni dopo, le copie dei versetti avevano già invaso
Venezia.
Ma
più dell’erotismo faceva male, a chi deteneva il potere, la satira
politica. Questi versi risultarono particolarmente duri ai censori:
"Per
chi ha visto el rosto infame
della
fezza democratica
superar
l'ingorda fame
della
fezza aristocratica.
Da
l'inglese prepotente
xè
in caena messo el mar
da
la tera no vien zente
no
vien roba da magnar
Che
zà presto da stanote
un
bel zorno spuntarà
e
a le barbare so grote
i
nemici tornerà."
Buratti
se la prendeva sia con gli inglesi che con Napoleone e Francesco
d'Austria e poi con gli aristocratici e i municipalisti: odiava tutti
i potenti e gli invasori, li disprezzava e le cose, lui, non le
mandava di certo a dire.
Essi
erano, a suo modo di vedere, tutti barbari che venivano dalle grotte,
persone incivili, feccia, come feccia erano quei suoi concittadini
che andavano ad osannare ogni nuovo invasore, pronti a offrire i
propri servigi e la propria anima al potente di turno.
Il
giorno dopo Buratti venne denunciato dai filo francesi al terribile
generale Seras, che lesse i versetti: fu subito arrestato senza tanti
complimenti.
Non
gli fecero alcun processo, ma venne condannato a trenta sferzate
sulla schiena. I suoi aguzzini poi, non contenti, lo bastonarono per
molte ore e lo lasciarono alcuni giorni a pane ed acqua, dopo un po’
lo liberarono anche se gli imposero, a mo’ di sicurezza, un
poliziotto in casa .
Quel
giorno di capodanno quindi, nell’abitazione dell’esimio poeta si
riunirono gruppi di amici, di amanti della poesia ma anche del buon
vino, cercando di consolarlo e di farlo guarire dalle sue botte, un
po’ prendendolo in giro, un po’ facendosi raccontare quel che
Buratti sapeva raccontare meglio, perché ciò che amavano di più i
suoi ospiti erano le sue novelle erotiche che mai mancavano in quelle
riunioni.
Il
buon vino, la bella compagnia di dame fresche o meno giovani, ma
sempre affascinanti come lo sanno essere qui da noi, stimolarono la
memoria del poeta, che narrò una vicenda avvenuta qualche anno
prima:
Si
era nel tempo in cui a Venezia si viveva mille e una notte, e forse
anche di più: quando, cioè, le persone veramente importanti ed
anche quelle che lo erano meno, venivano qui a stimolare e a
soddisfare la loro libidine, senza guardare all’età o al sesso di
chi la soddisfaceva. I signori potevano trovare prostitute (ma non è
il termine appropriato per delle bambine), che avevano un età
compresa tra i dieci e i sedici anni senza che nessuno, nell’umanità
di quel tempo, avesse qualcosa da ridire.
In
quei giorni era impossibile muoversi per la zona di San Marco senza
incontrare uomini vestiti come donne o dame in età non più
adolescente pronte ad importunare giovanotti e gondolieri.
Se
le dame si concedevano a tutti, figurarsi se non lo avrebbero fatto
per un bell’uomo, per giunta ricco e letterato come Buratti.
Infatti
una bella signora, moglie di un ricco mercante della città, lo aveva
più volte fermato per la strada e lo aveva provocato con la sua
stupenda scollatura che evidenziava un seno prosperoso e
bianchissimo.
Un
bel giorno il poeta aveva finalmente accettato l’ennesimo invito a
seguirla nella di lei casa per “prendere un caffé”.
Dopo
di ciò, il racconto del poeta proseguì con particolari imbarazzanti
da riportare, quali alcuni tipi di posizioni e di movimenti di labbra
ed altre parti del corpo.
Ma
ciò che divertì tutti fu quello che successe dopo.
“Me
ne stavo ignudo sopra di lei – continuò a raccontare – quando
sentii chiudere il portone di casa. Fu un attimo, si aprì la porta
della camera che avevamo trasformato in alcova, girai il collo e
vidi, dietro di me, il marito della dama, che portava un vestito
elegantissimo, un cappello a tricorno e, nella mano destra, un grosso
bastone molto raffinato che terminava con un manico rotondo in bianco
e duro avorio.
Sentii
subito – dentro di me - un dolore acutissimo, come un colpo sul
dorso, ne provai già la sofferenza e mi mancò il fiato.
Ma
la realtà fu ben diversa: l’uomo non fece nulla di tutto ciò. Si
tolse galantemente il tricorno, appoggiò il bastone, si sedette lì
vicino e ci invitò continuare. Lui avrebbe guardato senza
disturbare. Il giorno dopo, vicino al caffé “Quadri”, lo
incrociai nuovamente, mentre stavo assieme ad alcuni amici.
Lui
si tolse il cappello, fece un inchino e mi disse: “Quando che el
vol, el vegna a casa mia, sior.” Tutti i miei amici, che già
sapevano la storia, risero assieme a me.”
Dopo
alcuni altri racconti, complice il vino buono ed alcune sostanze che
il signor Bianchi – farmacista – portava sempre con sé, le dame
presenti iniziarono a sbottonarsi i corsetti, i seni bianchi uscirono
e si sentì l’odore della loro pelle… e il tutto proseguì con la
solita immancabile orgia.
…O,
almeno, così andavano raccontando quelli che passavano sotto le
finestre di quei palazzi patrizi e che dentro non c’erano mai
stati…
Pompeo,
indifferente al brio che invasava i suoi concittadini, se ne andò
nella sua cameretta e si stese sul letto con le mani dietro alla
testa. Gli pareva di tenere su il mondo anziché la sua nuca.
Prese
sonno senza accorgersi e, almeno gli parve, venne subito svegliato.
"Pompeo,
Pompeo, alzati, ghe xé qua 'na bea fia." lo avvisò, con gioia,
Gregorio.
Il
giovane si stropicciò gli occhi, non si era accorto di aver dormito
tante ore e scorse, dietro al padre, il volto angelico della ragazza
ebrea.
"Mi
avevi promesso di portarmi a fare un giro" disse lei.
Se
ne andarono a camminare per la città, mentre sentivano uscire da
ogni casa rumori di festa, odori di buon cibo, ben cucinato, canzoni
e gridolini. Continuarono a passeggiare: a girare tutta la città
basterebbero due ore, ma se la si volesse conoscere in lungo e in
largo Venezia, potrebbe non bastare una vita intera.
"E'
una cosa da pazzi." Continuava a ripetere il giovane, non
rendendosi ancora conto di come l'assedio e la fame non riuscissero a
piegare il popolo veneziano: una forza sovrumana che arrivava da
chissà dove. Proveniva solo da una inspiegabile gioia di vivere e di
divertirsi. Pensò che, certamente, non potevano esistere altri
popoli uguali.
"Non
pensare troppo", disse la ragazza e Pompeo notò che le sue
labbra erano più rosse dell'ultima volta che le aveva viste.
Tra
un bacio e l’altro, si snocciolarono i problemi che sempre esistono
nel mondo tra chi si ama, ma appartiene a due diverse famiglie,
religioni, nazioni. Ma ogni bacio in più allontanava i problemi, e
faceva capire ai due che non esistono famiglie, religioni e nazioni,
e che un bacio è più importante di un Papa e di un Imperatore.
E,
fin ché i loro corpi si stringevano sempre di più, che pareva
diventassero un' unica creatura, si sentirono spari e grida in tutta
la città, mentre a tratti il cielo si illuminava, creando bagliori
surreali che poco avevano di questo mondo, di questa piccola porzione
di terra e acqua intristita, umiliata e assediata.
Era
scoccata la mezzanotte, iniziava il nuovo anno del Signore mille
ottocento e quattordici.
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