PAPA'
Le
condizioni del tempo erano andate via via peggiorando durante tutta
la notte. Un freddo pungente tormentava e infastidiva arrivando fin
dentro le case, penetrando da ogni più piccola breccia e dai vetri
rotti. La neve aveva imbiancato le strade, coprendo le sozzure
pudicamente tanto che Venezia pareva, quasi, una città pulita.
Ben
poca gente si azzardava a girar per la strada e dentro i letti,
seppur gelati, ci si poteva stringere tutti sotto un’ unica
coperta. Intere famiglie passavano la giornata così, rannicchiate e
rassegnate, senza più la forza di muoversi per andare a cercare
qualcosa di cui nutrirsi.
Da
Padova, quel mattino, era giunto un burchiello carico di mele, pere
castagne. Ma mancavano i cereali, il pesce scarseggiava e solo il
forte vento impediva che si gelassero i canali.
L'osteria
“Luna”, un punto di ritrovo al solito affollatissimo, aveva
chiuso quel giorno, addirittura per mancanza di vino. Anche l'oste si
era ritirato in casa per cercare rifugio sotto il caldo di una
coltre. Il locale, da quella volta, non avrebbe mai più riaperto.
Pompeo
sentiva da la necessità di scrivere, per far conoscere ai posteri la
situazione in cui si trovavano i veneziani, però il direttore del
suo giornale non aveva il coraggio non solo di pubblicare i suoi
scritti, ma nemmeno di leggerli, temendo di compromettersi, a quel
gesto, col potere militare.
Fu
così che il giovane decise, da allora, di tenere costantemente
aggiornato il suo diario, cercando di raccogliere tutte le notizie
che la stampa ufficiale si sforzava di nascondere. Capì che avrebbe
dovuto scriverlo di nascosto da tutti e di pubblicarlo, semmai,
appena se ne fosse presentata l'occasione. Riportò accuratamente la
cronaca dettagliata di tutto il periodo in cui la città fu
sottoposta al blocco.
Ancora
non sapeva che quel diario sarebbe rimasta l'unica fonte storica di
quei gravi avvenimenti.
Pompeo
annotò, tra le sue pagine:
“15
febbraio, i quattordici marinai della fregata "Principessa di
Bologna", che si trovava in prossimità di Chioggia, dopo aver
accompagnato con uno stratagemma il loro capitano a riva sopra un
caiccio, una piccola barchetta, l'hanno abbandonato rubandogli
cappello e soprabito e se ne sono tornati alla nave. Dopodiché essi
han potuto disertare al nemico con estrema semplicità, poiché il
capo dei disertori aveva indossato gli abiti rubati facendosi passare
per il vero capitano: la nave aveva così potuto abbandonare il porto
di Chioggia saltando i controlli dei francesi e andando incontro agli
inglesi assedianti. Il gruppo si è consegnato a loro con tutto
l'armamentario.”
“22
febbraio, ultimo giorno di carnevale, infuria il vento e il freddo è
eccessivo. Il termometro segna 5 gradi sotto zero.”
“23
febbraio, tutti i canali sono ghiacciati. I bisati, le anguille,
ormai quasi l'unica fonte di sostentamento per i più poveri, sono
introvabili date le condizioni atmosferiche.
Le
trattorie sono ormai tutte chiuse, vista la mancanza di generi
alimentari; tutti i padroni dei negozi che ancora non hanno chiuso si
stanno approntando a farlo.
Qualcuno
si è lamentato che le puntate al casino del Ridotto sono molto
basse, non c'è più il gioco di una volta."
"Pompeo,
Pompeo,",
gemeva, con angoscia, Gregorio.
In
quel letto squallido d'un lurido ospedale, il vecchio cominciò a
rendersi conto con lucidità che la sua ultima ora stava giungendo.
Ed
il figlio, purtroppo, non aveva assolutamente un'idea di come
potergli essere utile.
I
medici erano quasi tutti ammalati; gli infermieri non erano veri e
propri infermieri, ma semplici e occasionali passanti che i francesi
avevano coartato fuori dall'ospedale. Quello che stava alla porta
della camera infatti, per quanta buona volontà ci mettesse, non
sapeva neppure come muoversi dentro un ospedale. Era uno squerarolo
dell'arsenale che non aveva fatto altro, nella sua vita, che lavorare
il legno e battere il ferro per le barche.
Possedeva
due manacce immense con dita grosse come salami. Tempo addietro,
mentre stava passando per caso davanti all'ospedale, un soldato lo
aveva tirato dentro per i capelli, promuovendolo all'istante
assistente caposala. Da quel giorno, era passato quasi un mese, lo
squerarolo non aveva più rivisto sua moglie. Sperava in cuor suo che
ancora lo stesse aspettando e che non avesse già incontrato un altro
uomo.
"Servirebbe
qualcossa par calmarghe i dolori",
affermò il buon uomo, pur sapendo che tutti i medicinali erano
finiti. Nello stesso tempo, pensava che la cosa migliore da fare
fosse quella di accelerare l'arrivo della morte, impedendo
pietosamente al vecchio di continuare a soffrire in quella orribile
maniera.
La
stessa cosa avrebbe voluto anche il figlio che, se ne avesse avuto il
coraggio, avrebbe iniettato egli stesso il veleno in quelle vene
stanche e sclerotizzate; ma si limitò a guardare l'infermiere e a
smuovere la testa con rassegnazione.
Poi
il viso del vecchio si illuminò…guardò stupito verso l’alto per
pochi istanti e cadde addormentato così come si addormentano i
bambini.
Tutti
si fecero il segno della croce di Cristo.
Gregorio
si presentò alle porte del paradiso che erano quasi le dodici e
mezzo. Un orario, ovviamente, valido solo dalle parti di Venezia e
dintorni, perché in altre zone del Mondo era diverso. In paradiso,
poi, non esistevano proprio gli orari ed il tempo era sempre uguale.
Questo, a Gregorio, parve bello.
Fu
l’angelo guardiano ad aprigli il portone con distratta benevolenza.
Il
vecchio, prima di entrare, mise dentro il naso e gli apparve un luogo
dominato da un azzurro verde intenso che inebriava, con una
luminosità destinata a durare nel tempo, come in quei giorni
d’estate in cui il Sole sembra non voler mai tramontare.
L’atmosfera era simile a quella che si respira, da noi, in un
giardino alla metà di maggio, quando i fiori fanno a gara a chi
sboccia prima ed i colori sembrano esplodere. Questo posto era
popolato allegramente da gente che aveva abitato la Terra e, poi,
l’aveva lasciata da molto tempo, da qualcuno morto recentemente e
da chi doveva ancora nascere. Gregorio si sarebbe aspettato di
incontrare all’ entrata, anziché quell’ angelo strano e
svogliato, la figura di san Pietro, come gli avevano insegnato fin da
bambino. Un signore distinto che lo avvicinò, e non si capiva se era
appena morto o se si apprestava a nascere, gli rivelò che il santo
guardiano, primo Papa della Storia, detentore delle chiavi eterne, si
era stancato di fare il portinaio da tutti quei secoli ed aveva
deciso, come era sua facoltà, di tornare sulla terra reincarnandosi
in un nuovo papa. Avrebbe preso il nome, quando sarebbe giunto il
momento, di Leone XIII.
Gregorio
si girò e rivide l’angelo cui toccava di fare il guardiano che si
muoveva con insofferenza e distacco dalla sua mansione.
“Adesso
dove devo andare?” gli chiese.
“E
dove ca...spita vuoi che ti mandi?” gli rispose piccato. Il vecchio
lo guardò sperduto.
“Arrivi
or ora da una città soffocata nella me...lma, dove regnano fame,
freddo, puzza e miseria; eri vecchio e malandato ed ora sei
fortissimo (Gregorio non aveva fatto caso a questo particolare), non
avrai più fame e non ti ricordi più cosa sia la paura, non ti
servon più denari né coltri…e mi chiedi dove devi andare? Ma vai
un po’ dove ca…spita vuoi.”
L’angelo
sembrava contrariato, ma non si capiva perché. Del resto, egli era
obbligato a fare la guardianìa senza che nessuno gli pagasse un
salario, anche perché comunque i soldi, in quel luogo, non gli
sarebbero serviti a nulla. E nessuno gli avrebbe detto: “bravo”
per quello che faceva e, sinceramente, non gli sarebbe neanche tanto
interessato che lo facessero.
Il
fatto era che, di gente, ne arrivava sempre meno, perché tutti
andavano da altre parti e la noia, purtroppo, non era stata debellata
neanche in quel posto meraviglioso.
Almeno
un piccolo sorriso, Santo Iddio, pensò Gregorio, avrebbe ben potuto
farlo.
Poi
si guardò attorno e pensò, colmo di gioia, che non si era mai
sentito così bene in tutta la sua esistenza.
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