venerdì 22 maggio 2020

"Venezia in catene" CAPITOLO X




PAPA'





Le condizioni del tempo erano andate via via peggiorando durante tutta la notte. Un freddo pungente tormentava e infastidiva arrivando fin dentro le case, penetrando da ogni più piccola breccia e dai vetri rotti. La neve aveva imbiancato le strade, coprendo le sozzure pudicamente tanto che Venezia pareva, quasi, una città pulita.
Ben poca gente si azzardava a girar per la strada e dentro i letti, seppur gelati, ci si poteva stringere tutti sotto un’ unica coperta. Intere famiglie passavano la giornata così, rannicchiate e rassegnate, senza più la forza di muoversi per andare a cercare qualcosa di cui nutrirsi.
Da Padova, quel mattino, era giunto un burchiello carico di mele, pere castagne. Ma mancavano i cereali, il pesce scarseggiava e solo il forte vento impediva che si gelassero i canali.
L'osteria “Luna”, un punto di ritrovo al solito affollatissimo, aveva chiuso quel giorno, addirittura per mancanza di vino. Anche l'oste si era ritirato in casa per cercare rifugio sotto il caldo di una coltre. Il locale, da quella volta, non avrebbe mai più riaperto.
Pompeo sentiva da la necessità di scrivere, per far conoscere ai posteri la situazione in cui si trovavano i veneziani, però il direttore del suo giornale non aveva il coraggio non solo di pubblicare i suoi scritti, ma nemmeno di leggerli, temendo di compromettersi, a quel gesto, col potere militare.
Fu così che il giovane decise, da allora, di tenere costantemente aggiornato il suo diario, cercando di raccogliere tutte le notizie che la stampa ufficiale si sforzava di nascondere. Capì che avrebbe dovuto scriverlo di nascosto da tutti e di pubblicarlo, semmai, appena se ne fosse presentata l'occasione. Riportò accuratamente la cronaca dettagliata di tutto il periodo in cui la città fu sottoposta al blocco.
Ancora non sapeva che quel diario sarebbe rimasta l'unica fonte storica di quei gravi avvenimenti.
Pompeo annotò, tra le sue pagine:
15 febbraio, i quattordici marinai della fregata "Principessa di Bologna", che si trovava in prossimità di Chioggia, dopo aver accompagnato con uno stratagemma il loro capitano a riva sopra un caiccio, una piccola barchetta, l'hanno abbandonato rubandogli cappello e soprabito e se ne sono tornati alla nave. Dopodiché essi han potuto disertare al nemico con estrema semplicità, poiché il capo dei disertori aveva indossato gli abiti rubati facendosi passare per il vero capitano: la nave aveva così potuto abbandonare il porto di Chioggia saltando i controlli dei francesi e andando incontro agli inglesi assedianti. Il gruppo si è consegnato a loro con tutto l'armamentario.”

22 febbraio, ultimo giorno di carnevale, infuria il vento e il freddo è eccessivo. Il termometro segna 5 gradi sotto zero.”
23 febbraio, tutti i canali sono ghiacciati. I bisati, le anguille, ormai quasi l'unica fonte di sostentamento per i più poveri, sono introvabili date le condizioni atmosferiche.
Le trattorie sono ormai tutte chiuse, vista la mancanza di generi alimentari; tutti i padroni dei negozi che ancora non hanno chiuso si stanno approntando a farlo.
Qualcuno si è lamentato che le puntate al casino del Ridotto sono molto basse, non c'è più il gioco di una volta."


"Pompeo, Pompeo,", gemeva, con angoscia, Gregorio.
In quel letto squallido d'un lurido ospedale, il vecchio cominciò a rendersi conto con lucidità che la sua ultima ora stava giungendo.
Ed il figlio, purtroppo, non aveva assolutamente un'idea di come potergli essere utile.
I medici erano quasi tutti ammalati; gli infermieri non erano veri e propri infermieri, ma semplici e occasionali passanti che i francesi avevano coartato fuori dall'ospedale. Quello che stava alla porta della camera infatti, per quanta buona volontà ci mettesse, non sapeva neppure come muoversi dentro un ospedale. Era uno squerarolo dell'arsenale che non aveva fatto altro, nella sua vita, che lavorare il legno e battere il ferro per le barche.
Possedeva due manacce immense con dita grosse come salami. Tempo addietro, mentre stava passando per caso davanti all'ospedale, un soldato lo aveva tirato dentro per i capelli, promuovendolo all'istante assistente caposala. Da quel giorno, era passato quasi un mese, lo squerarolo non aveva più rivisto sua moglie. Sperava in cuor suo che ancora lo stesse aspettando e che non avesse già incontrato un altro uomo.
"Servirebbe qualcossa par calmarghe i dolori", affermò il buon uomo, pur sapendo che tutti i medicinali erano finiti. Nello stesso tempo, pensava che la cosa migliore da fare fosse quella di accelerare l'arrivo della morte, impedendo pietosamente al vecchio di continuare a soffrire in quella orribile maniera.
La stessa cosa avrebbe voluto anche il figlio che, se ne avesse avuto il coraggio, avrebbe iniettato egli stesso il veleno in quelle vene stanche e sclerotizzate; ma si limitò a guardare l'infermiere e a smuovere la testa con rassegnazione.
Poi il viso del vecchio si illuminò…guardò stupito verso l’alto per pochi istanti e cadde addormentato così come si addormentano i bambini.
Tutti si fecero il segno della croce di Cristo.

Gregorio si presentò alle porte del paradiso che erano quasi le dodici e mezzo. Un orario, ovviamente, valido solo dalle parti di Venezia e dintorni, perché in altre zone del Mondo era diverso. In paradiso, poi, non esistevano proprio gli orari ed il tempo era sempre uguale. Questo, a Gregorio, parve bello.
Fu l’angelo guardiano ad aprigli il portone con distratta benevolenza.
Il vecchio, prima di entrare, mise dentro il naso e gli apparve un luogo dominato da un azzurro verde intenso che inebriava, con una luminosità destinata a durare nel tempo, come in quei giorni d’estate in cui il Sole sembra non voler mai tramontare. L’atmosfera era simile a quella che si respira, da noi, in un giardino alla metà di maggio, quando i fiori fanno a gara a chi sboccia prima ed i colori sembrano esplodere. Questo posto era popolato allegramente da gente che aveva abitato la Terra e, poi, l’aveva lasciata da molto tempo, da qualcuno morto recentemente e da chi doveva ancora nascere. Gregorio si sarebbe aspettato di incontrare all’ entrata, anziché quell’ angelo strano e svogliato, la figura di san Pietro, come gli avevano insegnato fin da bambino. Un signore distinto che lo avvicinò, e non si capiva se era appena morto o se si apprestava a nascere, gli rivelò che il santo guardiano, primo Papa della Storia, detentore delle chiavi eterne, si era stancato di fare il portinaio da tutti quei secoli ed aveva deciso, come era sua facoltà, di tornare sulla terra reincarnandosi in un nuovo papa. Avrebbe preso il nome, quando sarebbe giunto il momento, di Leone XIII.
Gregorio si girò e rivide l’angelo cui toccava di fare il guardiano che si muoveva con insofferenza e distacco dalla sua mansione.
Adesso dove devo andare?” gli chiese.
E dove ca...spita vuoi che ti mandi?” gli rispose piccato. Il vecchio lo guardò sperduto.
Arrivi or ora da una città soffocata nella me...lma, dove regnano fame, freddo, puzza e miseria; eri vecchio e malandato ed ora sei fortissimo (Gregorio non aveva fatto caso a questo particolare), non avrai più fame e non ti ricordi più cosa sia la paura, non ti servon più denari né coltri…e mi chiedi dove devi andare? Ma vai un po’ dove ca…spita vuoi.”
L’angelo sembrava contrariato, ma non si capiva perché. Del resto, egli era obbligato a fare la guardianìa senza che nessuno gli pagasse un salario, anche perché comunque i soldi, in quel luogo, non gli sarebbero serviti a nulla. E nessuno gli avrebbe detto: “bravo” per quello che faceva e, sinceramente, non gli sarebbe neanche tanto interessato che lo facessero.
Il fatto era che, di gente, ne arrivava sempre meno, perché tutti andavano da altre parti e la noia, purtroppo, non era stata debellata neanche in quel posto meraviglioso.
Almeno un piccolo sorriso, Santo Iddio, pensò Gregorio, avrebbe ben potuto farlo.
Poi si guardò attorno e pensò, colmo di gioia, che non si era mai sentito così bene in tutta la sua esistenza.



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