lunedì 8 luglio 2019

La caduta degli angeli

racconto di Tatiana


La Repubblica di Vannonia è una lussureggiante regione del Centro – Est continentale,  nel cuore verde e aristocratico dell’ antica Europa. Bagnata dal Seiball, grande affluente del Danubio blu, è il centro nevralgico dei commerci fluviali,  piena di risorse agricole e minerarie. La sua gente, bella, garbata, lavoratrice, raffinata e coltissima, respira amore per le arti, le scienze e per le buone maniere da tempi, ormai, immemorabili.
Vannonia rappresenta uno stato ricchissimo e solido, sicuramente il più prospero del vecchio continente. Eppure, il suo vero vanto, la sua vera ricchezza umana è data dalla eccellente ed antichissima Università, La famosa “Yujanka Accademia d’ altissima Cultura e Scienze”, un vero e proprio tempio, dove hanno studiato e imparato i più importanti dirigenti e intellettuali mondiali, dove si sono istruiti i maggiori capi di Stato e premi Nobel. L’alta personalità che dirige tale istituto, non è un qualsiasi Magnifico Rettore,  messo là per scaldare il posto, come avviene in molti atenei del mondo … no, il Chiarissimo Professor Dottor Ignazio Ferramonte (di sicure e nobilissime origini italiane) è il prototipo del genio: è alto, bellissimo, con spalle possenti, nel suo cervello c’è il dizionario completo della lingua vannona, più altri cinque o sei delle principali lingue straniere, l’enciclopedia delle scienze naturali, sociali, economiche, c’è anche il posto per un compendio di letteratura classica, mezza antologia dell’arte contemporanea e il dizionario dei sinonimi e dei contrari. Quando parla, a detta di tutti quelli che l’hanno frequentato, ti ipnotizza e ti trasporta nel suo magico mondo di cultura incantata. Poche donne gli resistono. Possiede, come un grande e famoso condottiero medievale, tre testicoli, che gli conferiscono una voce stentorea ed irresistibile, ha un talento innato per la recitazione ed il canto. Ha conquistato quattro ori in tre diverse olimpiadi, dove detiene un record mondiale, ed è campione in varie specialità. Le sue consulenze, richieste da istituti di tutto il pianeta (comprese le Nazioni Unite e la Fao), rappresentano un qualcosa di prezioso e indispensabile, oltre ad essere ben pagate.
Poter studiare nel college di Yujanka però, dopo il crollo del comunismo che lì è durato solo pochi  giorni, non è certamente cosa per tutti.
A parte la selezione durissima che bisogna sostenere, c’è il fattore costi. La Vannonia è una nazione ricca, dove la vita, perciò, è fuor di misura cara e ti presenta, assai spesso, conti salati. A questo proposito, per ovviare al fatto, doloroso, che possano permettersi di studiare solo i ricchissimi ed i pochissimi privilegiati, è stato istituito, dalla direzione, un diverso sistema di corsi: si può  frequentare, all’occorrenza, un solo mese di studi, al costo di centoventi mila euro, esclusi vitto, alloggio, spese di laboratorio e di lavanderia. Però è compreso l’uso di piscina e dei magnifici campi da golf. Sembrano tanti soldi certo, ma, dopo quel solo ed unico mese di istruzione, l’universitario che ha passato l’esame finale otterrà facilmente, ed in ogni parte dei due emisferi, i lavori e gli impieghi  più prestigiosi e più strapagati.
Io, dato il mio talento ed una preziosissima borsa di studio, in quell’ Università ci sono stata cinque anni, le mie conoscenze sono infinite, la mia cultura è vastissima e variegata.
Eppure.....eppure, quando sono venuta in Italia, nel vostro bel paese, sicuramente il più ricco d’arte, di bellezze, di natura, di storia,  di cultura e di intelligenza del mondo, mi sono ritrovata in strada a fare la prostituta.
Gli ospiti, rimasti senza parole dopo tale affermazione, un vero pugno nello stomaco, sgranarono gli occhi e posizionarono i lobi dellei orecchie e l’intero padiglione, verso la voce che usciva dalla bella, carnosa e dolce bocca narrante.
Tutto cominciò con l’offerta, fattami da un sedicente fotografo di modelle, di offrirmi un viaggio culturale per un mese a Roma, Firenze, Siena, Venezia ed altre bellissime città italiane, fino a Napoli. Ci cascai, nonostante la mia cultura e la mia intelligenza, comefossi stata una pera matura.
Arrivai in Italia per la prima volta e ne rimasi affascinata.
Fui presto presa subito dalla  famosa e terribilissima “Sindrome di Stendhal”, che voi tutti sapete cos’e’ e pensai,  giurandolo, che questo sarebbe stato il mio paese.
Per sempre.
Però, poi, il fotografo delle dive, come amava presentarsi a tutti, venne arrestato dalla polizia italiana, che lo stava inseguendo da anni per truffa, ricatto e vari altri reati, dopo pochi giorni dalla mia venuta.
Mi ritrovai abbastanza in difficoltà, anche perché non possedevo tutte le carte regolari per poter risiedere nel vostro paese.
Fu un conoscente del fotografo, un certo Signor Rachelli, ad aiutarmi. Egli era l’unico a sapere che mi trovavo, praticamente clandestina, in Italia.
Era, questi, un caro amico del fotografo arrestato ed anch’egli sembrava un po’ allergico, se non ostico, alle vostre forze dell’ordine.
Per un po’, riuscì a darmi da mangiare e mi procurò un alloggio molto comodo. Ma, a quel punto e data la situazione, io avrei voluto tornarmene a Vannonia, nonostante la sindrome da cui ero affetta, che mi impediva fortemente di lasciare l’Italia.
Cercai, allora, di uscire il meno possibile da quella casa, perché Rachelli, coi suoi racconti, mi aveva spaventata a morte, mentendomi sul fatto che, se mi avessero scoperto alcune persone “amiche” del fotografo, avrei fatto una fine orribile. Per intimorirmi maggiormente, aveva pronunciato, anche se vagamente, la terribile e impronunciabile  parola: “Mafia”.
Quel termine, nel nostro tranquillo paese, quando si parlava di Italia, era impronunciabile: ci evocava torture, sequestri, massacri e altro ancora.
Tutti i film sull’argomento, che ci avevano spesso mostrato e che da noi erano seguitissimi, dipingevano un quadro sia edulcorato,  dei criminali organizzati, che generalizzante, come se ogni borgo del bel paese dovesse, per forza di cose, pullulare di mafiosi, pronti ad aggredirti in ogni momento.
Alla Yujanka, si tenevano importantissimi corsi proprio di mafia italiana, relatori erano i massimi esperti della materia.
Ricordo che, un giorno, tenne un corso il dottor Riina - accolto con onori dal Magnifico Rettore – mentre, in Italia, il prezioso relatore era latitante e tutti, dal Presidente fino all’ultimo questurino, lo stavano forsennatamente e inutilmente cercando.
Allora, a tali minacce, preferii starmene calma nell’appartamento, anche se mi sarebbe piaciuto, ogni tanto, uscire di la’, anche  per visitare qualche bellezza artistica. Provvedeva il signor Rachelli a mandarmi, ogni tanto, qualche intellettuale a farmi visita, ma, quelle visite, prevedevano sempre che io mi spogliassi.
Dopo molti mesi in cui feci fare l’amore a molti uomini, mentre Rachelli intascava forti somme, arrivarono nella casa con le sirene spiegate, i carabinieri , che portarono Rachelli a far visita al suo amico truffatore.
Mi trovarono senza documenti, mi portarono via ma non mi fermarono molto. Passai dal carcere alla Caritas e, quindi, in mezzo ad una strada, nel giro di quindici minuti.
Tornare a Vannonia a casa mia, in tali condizioni, mi sarebbe stato fatale: nel mio paese sono troppo ben conosciuta ed un biglietto di ritorno chiamato: “Foglio di via”,  mi avrebbe rovinato la reputazione per sempre. In fin dei conti ero una laureata alla Yujanka e, in più, avevo beccato la Sindrome di Stendhal, quella dolce malattia che ti costringe a non abbandonare, ma a stare sempre vicina  alle cose (meravigliose), che, dal piacere troppo forte e intenso, ti fanno stare male e ti inquietano.
E fu così rimasi nel più bel paese del Mondo.
Di giorno visitavo i monumenti ed i musei e di notte battevo il marciapiedi che, tanto, a fare la mercenaria ormai ci ero abituata.
Ma la gente che frequentava il mio marciapiedi era ben diversa dai tipi, altolocati, che venivano a trovarmi nell’appartamento. Dapprima subii varie violenze e furti, poi un signore, anch’egli profferendo, seppur vagamente, la parola “mafia” o “camorra” non compresi chiaramente, mi costrinse, terrorizzandomi, a lavorare per lui. Altro che palazzi, monumenti e bellezze artistiche! L’Italia è fatta anche di tetri scantinati, palazzoni incompiuti e di case fatiscenti. In una di queste, posta in un orrendo quartiere popolare di Napoli, fui rinchiusa per molto tempo, fino a quando l’altro giorno, un meteorite o, come sostenevano molti, una terribile eruzione del Vesuvio, investì la città partenopea.
Scappai col primo camionista che incontrai e, pagando in natura, mi feci portare fino al Nord d’Italia, trovando sempre piu’ freddo e neve.  Ogni volta che era stanco di guidare, si fermava ai bordi della strada e si prendeva il suo compenso. Proprio questa notte, il suo mezzo si è fermato qui vicino, nella strada che passa qui sotto, perché era, finalmente, arrivato a destinazione.
Appena scesa dal camion, nel buio della notte, notai alcune luci provenire da dentro un alto e maestoso castello e, attraversando una strada ricoperta da uno spesso manto di neve, arrivai sotto al portone.
E ora sono qui con voi.
Tutti i presenti, toccati e commossi, la consolarono e la coccolarono.
Ugo aveva già preparato un provocante risotto di funghi porcini: lo servì ancora fumante. Versò del vino bianco in un lungo calice e lo porse alla ragazza bionda e bellissima:
“Bevi questo, ti passeranno tutti i guai, le malinconie  e i tristi ricordi. Forse anche la sindrome di Stendhal.”
Così dicendo, dimostrò a tutti che non aveva alcuna cognizione di cosa fosse quella malattia. Ma poco importa, non tutti la conoscono, più che medici bisognerebbe essere filosofi dell’Arte.
Passato lo sbigottimento generale, Angelo diresse lo sguardo verso il giovane Samuele, chiedendo: “E tu, ragazzo, hai niente da rivelare?”
Il giovane posò il calice da cui si stava generosamente abbeverando, tossì e disse:
“Certo che ne ho, di segreti da rivelare, state ad ascoltare, ora ve li racconto io.”


( Estratto da "Grande Castello", autore Pier Angelo Piccolo)




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