"E quando, poi, sentirete
parlare
di guerre e di
rumori
di guerre, non allarmatevi!
E’
necessario che ciò avvenga,
ma
non sarà ancora la
fine.
Insorgerà
infatti nazione
contro
nazione e regno
contro
regno;
vi
saranno terremoti sulla terra e vi
saranno
carestie.
Questo
sarà il principio dei dolori."
dal
Vangelo di san Marco 13, 7-8
Venezia,
settembre 1813,
P
ompeo
aprì con calma le finestrelle che davano sul canale, si appoggiò al
davanzale e, costernato, guardò l'acqua cheta sotto di lui. Una
corrente lenta portava verso il mare detriti, immondizie, resti di
vita ora in putrefazione.
Come
ogni giorno, storse il naso in una smorfia e, con disgusto mal
celato, tirò un sospiro profondo.
"Venezia
non è più come prima", sentenziò. Se lo andava ripetendo,
ormai, da mesi e forse da anni, ma non sapeva darsi pace.
La
città che egli amava ricordare nelle sue continue e ossessive
meditazioni, ora non era che un miraggio lontano, vaghi racconti del
padre, così come lo erano, ormai, i cittadini che la abitavano, vere
caricature dei veneziani del passato. Ma comprendeva, anche, che era
inutile rimpiangere gli eventi stupendi e la bella vita del passato,
miti fantastici di fantasmi che mai più sarebbero tornati a
ritrovarlo, nemmeno in sogno.
Ed
era inutile ripensare a com'era piacevole la città per chi, turista
nobile e danaroso, ci veniva a trovare: "il posto più gaio del
mondo" affermavano, ritornandoci sempre più volentieri, tutti i
"foresti", gli scrittori, i prìncipi, i poeti che questa
avevano stabilito essere la loro patria ideale.
"Dove
ti va, co sto tempo bruto?", gli chiese Gregorio, il suo
genitore anziano e malandato. Con lui, Pompeo divideva tristemente la
casa da quando la madre se n'era andata via col senno, distrutta dal
vino troppo buono, dal gran tabaccare e da qualche malattia che
ancora gli scienziati dovevano scoprire e catalogare. Erano già
diversi giorni che la stavano cercando, forse era già morta annegata
sotto qualche barca.
Ma
ormai il vecchio se n’era fatta una ragione. Il suo fisico minuto e
smagrito, le sue ossa che sembravano fuoriuscire dalla pelle
consunta, contrastavano con una formidabile forza di volontà, una
voglia di vivere inspiegabile a tutti, specialmente a chi non conosce
i vecchi marinai veneziani.
"Sta
calmo, papà, non agitarte – lo consolò il figlio - vado solo a
veder se trovo qualcossa da magnar e se incontro, par caso ea mamma."
Indossò
un vecchio e sudicio mantello e si apprestò ad uscire, quando si
accorse che la porta era bloccata: dovette spostare un cumulo di
immondizie che, da fuori, la ostruivano; materie guaste e
maleodoranti che intasavano non solo l'uscita della sua casa, ma
tutto il territorio di quella che un tempo fu la città più
importante d'Europa.
Pompeo
attraversò la stretta calle da cui proveniva un odore nauseabondo;
anche la lunga fondamenta, la riva sul canale della "Misericordia",
era piena di sozzure e di calcinacci, mentre nell'acqua galleggiavano
cadaveri di gatti, di colombi e di pantegane, contornati da ogni tipo
di rifiuti marci.
Si
avviò verso piazza san Marco per vedere se fosse giunta qualche nave
a portare provviste, ma ogni passo che percorreva, attraverso quella
città ridotta ad incubo, contribuiva a demoralizzarlo.
"Passalo
a me, passalo a me",
urlava
un bimbo smilzo ad un coetaneo che stava prendendo a calci un gattino
magro e spelacchiato. Pompeo prese a calci i due ragazzacci che
fuggirono; il gattino scappò da un'altra parte.
Alcuni
soldati francesi stavano cercando, ripetutamente e con poco garbo, di
ingraziarsi due ragazze giovani e bellissime: mentre scherzavano e
ridevano, le due sapevano già che non avrebbero concesso nulla ai
militari, nemmeno la magra soddisfazione di accarezzare loro un seno,
ancora piccolo ma ben proporzionato, un ginocchio, o le rotondità
paradisiache delle loro natiche. Insomma, i galletti sarebbero, come
si dice da noi, andati in bianco.
Pompeo
le guardò con un sorriso di tenerezza. Ma il sorriso si spense
quando giunse in piazza: constatò subito che non erano giunte nuove
navi, c'erano solo due vecchi legni a remi che galleggiavano lì da
settimane. Al largo dell'isola di san Giorgio sostava la fregata
"Rivoli", vanto della produzione navale dell'arsenale, ed
alcune imbarcazioni da guerra francesi, anch'esse costruite a
Venezia: si mostravano i muscoli, ma non c’era niente per lo
stomaco.
Sotto
la statua di Napoleone, posta in piazza san Marco, era visibile il
solito foglietto che conteneva l’ennesimo epigramma contro
l’Imperatore. Non valeva nemmeno la pena di fermarsi a leggerlo.
Quella strana statua che rappresentava Napoleone col Mondo in una
mano e l’altra rivolta in su (come se stesse chiedendo la carità),
era stata scolpita dal signor Banti, uno scultore famoso, circa due
anni prima ed era stata voluta e pagata dalla Camera di Commercio di
Venezia, grata per l’istituzione del porto franco all’isola di
san Giorgio avvenuta nell’aprile del 1808, quando Napoleone, che
aveva depredato la città anche dei quattro cavalli sulla basilica,
decise di lasciare un contentino alla popolazione.
Ora
la piazza trasudava declino e miseria.
Gli
venne da pensare ai tempi in cui il bacino di san Marco era
stabilmente occupato da una selva di alberi e vele, ed il commercio
fremeva, così come fremevano la cultura, le arti, la vita.
Si
avvicinò ad una "peata" attraccata sotto al ponte dei
sospiri e allungò due soldi di nichel al barcaiolo. Ne ricevette, in
cambio, un po' di pomi, qualche castagna secca.
"Anche
per oggi se magna", disse tra sé, e tornò dal padre.
Lungo
la strada del ritorno, incontrò il gattino che aveva salvato dai
calci e dalle torture e vide ch'egli stava mangiando qualcosa, di
gusto, dalle mani di una vecchina.
I
francesi continuavano a smaniare dietro alle due bellissime ragazze.
"No
ti va a lavorar?"
"No,
papà, ti sa che, ormai, non se lavora più tutti i giorni,
purtroppo."
"Hai
trovato da mangiare?"
Pompeo
si vergognò a mostrare al padre ciò che aveva comperato, ma
l'anziano genitore, uomo temprato, mostrò di gradire l'offerta.
"Piuttosto
che niente",
pensò
tra sé il ragazzo. Guardò con affetto il padre mentre mangiava
quelle misere cose, e si sentì in colpa di non poter provvedere
meglio.
"Eh,
sì, povero Pompeo, nel secolo scorso se magnava mejo"
"Mejo
de così ghe vol poco, papà.
"Co
ghe gera i dogi no ne mancava mai niente, fio mio... altro che
sardele."
"Magari
se trovasse sardele" pensò il ragazzo.
Ai
suoi tempi, a Venezia, la fame era molto più rara. Non che tutti
fossero ricchi come certi mercanti patrizi, che potevano riempire un
mastello da bagno con le loro monete d'oro e d'argento ma,
certamente, lo stomaco lo si poteva riempire in maniera onorevole e
lo facevano quasi tutti.
Tutti
partecipavano, anche, alle molte feste che avvenivano alla
celebrazione di ogni "santo", ed i santi erano circa
trecento ogni anno. I teatri erano sempre pieni e non solo di nobili,
ma anche di popolani, di arsenalotti, di gondolieri.
Il
celebre commediografo Carlo Goldoni infatti, aveva iniziato a
rappresentare anche il popolo, sulle scene, non solo re e regine come
si usava prima: quando sul palcoscenico appariva un attore vestito da
gondoliere, ad esempio, si sentiva arrivare, dall'alto della platea,
il fischio intenso e lo schiamazzo inarrestabile dei rematori, felici
di essere elevati a tale rango.
Forse
era proprio per quella smania di vivere senza responsabilità, ma di
vivere al massimo, come se ci si trovasse già in una specie di
paradiso, che i francesi prima e gli austriaci poi, avevano potuto
invadere la città senza trovarsi di fronte un popolo risoluto e
deciso a resistere, come era stato per più di mille anni.
Pompeo
mise in bocca una castagna secca.
Pier Angelo Piccolo
Pier Angelo Piccolo
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