martedì 16 luglio 2019

Italo Scanio (Romanzo 5 Capitolo)

Capitolo Quinto




“A volte, sono sufficienti pochi individui per fare grande una nazione, ma ne bastano molti meno per distruggerla.” Con queste parole si apriva, all’indomani dall’ennesima strage, nelle pagine di un quotidiano nazionale, l’articolo principale, firmato da un grande giornalista politico. Italo, immaginò che l’editorialista si fosse ispirato proprio a lui ed alle sue azioni. Ne fu quasi orgoglioso. Il giornalista sosteneva che, all’interno di una società dove la massa dei cittadini lavora, produce, inventa, crea, esistono gruppi non ben identificati, che, all’oscuro da tutti, opera per distruggere la nazione. “Sono un’infima minoranza, forse poche decine di persone, ma fanno più male loro al paese che decine di milioni di buoni cittadini.” Chi rappresentasse questa minoranza, non ce lo ha mai specificato, né questo bravo cronista, che continuerà a raccontarci la nostra storia per tanti altri decenni ancora, né un qualsiasi giudice, o poliziotto, o politico.
Anche nel caso dell’aereo sparito (che nessuno risolverà per, almeno, altri cinquant’anni e forse piu`), il nostro esecutore era stato contattato col solito sistema, cioè tramite un telegramma indirizzato alla sua vecchia madre, in cui veniva riportata la seguente frase, scritta nel codice che, ormai, conosceva bene: “Beatles 2, 21.”
Appena lo lesse, scese correndo al bar sottocasa, ordinò qualcosa da bere e chiese subito del giornale. Purtroppo lo stava già leggendo un signore anziano, e sembrava non aver voglia di abbandonarlo, se non dopo avere letto anche l’ultima riga di pubblicità. Tornò al bancone e domandò, gentilmente, al barista, se poteva prendere un bicchier d’acqua. Poi andò a sedersi vicino al lettore accanito e, senza farsi vedere da nessuno, versò l’acqua proprio sotto le scarpe di quel simpatico, ma rompiscatole, vecchietto. Poi gli fece notare che, forse, se ne sarebbe dovuto tornare, immediatamente, a casa: “Guardi, signore, c’è una pozzanghera ai suoi piedi.”
“Ma porc can …” bofonchiò il signore, che lascio` il giornale, prese in mano il cappello e se ne andò subito, stizzito e svergognato.
Prontamente si mise a scrutare, allora, “Il Gazzettino” lasciato libero, dove si poteva leggere, in prima pagina ( cioè Beatles come ordinato nella traduzione del messaggio), seconda colonna, rigo 21, un articolo in apparenza insignificante.
Però, ebbe un grave sussulto quando si accorse che in quell’articolo si parlava, addirittura, di un “DC9”, cioè di un aereo da trasporto passeggeri e si menzionava la regione Sicilia. “Sicilia?” chiese a sé stesso.
Visti i tempi che correvano, non ebbe molti dubbi nell’interpretare che i suoi mandanti, i suoi terribili dirigenti, bramavano qualcosa di grosso, realmente, di un fatto eclatante che avrebbe sconvolto l’intero paese.
Iniziò subito a mettere in atto il suo piano, visto che era egli stesso, una volta raggiunto dal messaggio segreto e criptato, a dover organizzare tutto l’affare. Lui ne diveniva l’unico responsabile e nessun altro doveva sapere. Era andato, ben presto, a rifornirsi del materiale esplosivo col solito metodo, poi si era informato sugli aerei che, da Bologna ( una città che gli stava particolarmente a cuore), partivano per la Sicilia. Aveva identificato un velivolo, ed un orario, che lo avevano portato fulmineamente a prendere la decisione: l’aereo, pieno zeppo di passeggeri, sarebbe dovuto cadere proprio sopra Palermo. Forse, pensò sapendo però di non aver dovuto pensare, qualcuno vorrà punire i mafiosi di quella città, ma poi capì che, in ogni caso, non sarebbe mai arrivato a capire la verità che, tanto, nemmeno lo interessava. Si informò sulle hostess, pensando di farsene una di molto carina, di portarsela a letto per fare l`amore e di usare lei per far trasportare l’ordigno fin dentro l’aeroplano.
Purtroppo, capì subito che, sull’aereo che lui aveva identificato, i piloti e gli assistenti di volo erano tutti dei giovani maschi.
Fu così che lui, per la prima volta nella sua vita, decise, visto che non gli era rimasto il tempo materiale per cambiare obiettivo, di contattare uno degli avieri e, perciò, di intrattenere un rapporto con lui, in qualche maniera, al fine di inserire, in un momento di distrazione del malcapitato, l’ordigno nella sua valigetta, visto che gli operatori di bordo non vengono mai controllati, neanche i loro bagagli.
Capì che, per aver vicino uno di quegli uomini, per un lasso di tempo abbastanza lungo, avrebbe dovuto sacrificasi a fare qualcosa che non aveva mai fatto, e che, di certo, non lo solleticava particolarmente, anzi.
Ci pensò un poco: nonostante gli piacessero le donne mature e in carne, si sarebbe dovuto adattare. Avrebbe dovuto intrattenere, per la prima volta nella sua vita, un rapporto omosessuale, non c’era via di scampo.
Li squadrò tutti: i due piloti erano troppo “machi”, di sicuro quelli desideravano solo donne. Notò una certa tendenza femminile solo nel più giovane degli steward, e lo contattò, sperando di non sbagliarsi.
“Ciao – gli disse, avvicinandosi – sei di turno nell’aereo di Palermo?” Il ragazzo gli rispose con un sorriso a trenta due denti, “Sììì caro, posso esserti utile?” Italo non si era sbagliato. Quel tale faceva proprio al caso suo.
“Posso offrirti qualcosa da mangiare?” gli chiese col garbo che, di solito, usava con le sue donne.
“No, grazie, noi mangiamo alla mensa del personale.” Italo si stava già smontando, anche perché quella cosa non lo eccitava particolarmente.
“Però possiamo bere qualcosa se vuoi, caro mio.”
Gli offrì una mezza dozzina di bicchieri di gin, rhum, grappa alle erbe e grappa al miele, molto dolce ed anche molto ubriacante.
E così, nel giro di trenta minuti, si ritrovò in una alcova di lusso con un maschio: una bella cabina riservata al personale di volo, con tutti i confort e gli optionals. Non sapeva bene che fare, l’uomo era già nudo e ubriaco, vicino a lui e disteso sul letto e sembrava molto carino. Ci pensò un po’, si concentrò, ed iniziò subito ad agire.
Si limitò, allora, a fargli quelle cosine che, di solito, le donne praticavano a lui, al suo pene e si accorse che quel ragazzo stava godendo molto. Ad un certo punto (non ci si meraviglierà mai, nella propria esistenza terrena, di quante cose non conosciamo bene di noi stessi), percepì una strana forma di piacere, che mai si sarebbe aspettato di provare. Alla fine dovette dire a sé stesso, a bassa voce, che quella era stata proprio una bella esperienza. “Di necessità, virtù”.
Poco dopo, mentre il giovane ragazzo si stava lavando sotto la doccia, non gli ci volle molto ad inserire nella capiente valigia in dotazione agli stewart, il suo ordigno, compatto e ben congegnato, che sarebbe dovuto esplodere tre minuti prima dell’atterraggio all’aeroporto internazionale “Punta Raisi” di Palermo, facendo precipitare il velivolo sui tetti delle case, creando, secondo i suoi calcoli e secondo gli ordini dei suoi mandanti, distruzione e panico nel centro della città capoluogo della Sicilia.
Diede un bel bacio d’addio al suo giovane amante, e lo ammirò finché non lo vide salire sul “DC9”, assicurandosi, come infatti successe, che nessun controllore lo avesse fermato.
Avviò, dall’aeroporto di Bologna dove si trovava, il motore del suo piccolo scooter, con la solita pedalata. Secondo i suoi calcoli, la città di Palermo sarebbe rimasta sconvolta per più di tre giorni, tra soccorsi, pompieri, ambulanze, indagini ecc. ecc. e perciò si mise in testa di andarci subito per godere dello spettacolo. Il viaggio, col suo lento motorino, sarebbe dovuto durare un giorno e mezzo, forse due, ma ne sarebbe valsa la pena. Purtroppo, solo dopo qualche ora, fermandosi in un bar appena fuori di Firenze, sentì una strana notizia, che non si aspettava, trasmessa da un piccolo televisore sopra al bancone. Il giornalista mezzo busto, con la voce roca d’ordinanza in questi casi, riportava questo contenuto: “Disastro sopra l’isola di Ustica. Un DC9 dell’ Itavia è caduto pochi istanti fa, col suo carico di 82 passeggeri. Sono iniziate le ricerche. Si teme una anomalia nei motori.”
“Ustica?” si chiese Italo, non sapeva manco che esistesse. “Stramaledettissimi timer - si disse – mai una volta che funzionino. Stavolta, poi, il congegno ad orologeria è partito in anticipo, per la prossima volta dovrò trovare un’altra soluzione. Eh no, così non va proprio bene”
Con rabbia, ma non troppa, inforcò la sua vespina 50, invertì la marcia verso il Sud e tornò subito indietro. Doveva dirigersi a casa sua, a Padova, a studiare qualcosa che perfezionasse i suoi timer. L’indomani, si sarebbe divertito a leggere i tanti quotidiani.
“La vita è bella” pensò, guidando la sua magnifica vespa, con l’aria tiepida di Giugno che lambiva i lineamenti del suo volto, i suoi capelli e la sua bella faccia di bronzo.








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