lunedì 15 luglio 2019

Italo Scanio( Romanzo 4 parte)

I                                                  Capitolo Quarto


Era una torrida giornata d’Agosto, il clima era infuocato, la gente tendeva a spogliarsi, a bere abbondantemente, a lavorare il meno possibile. Italo godeva molto, nel vedere come le donne cercassero di combattere l’afa, cioè togliendosi di dosso quanti più vestiti potessero.
L’Italia era percorsa, in quei giorni di piena estate, da turisti provenienti da tutte le parti del Mondo. Non c’era metropoli, o città d’arte, o spiagge o piccoli borghi di montagna, di mare o di collina che non fossero invasi da milioni di vacanzieri, villeggianti o turisti illuminati, febbricitanti, entusiasti, allegri e con la pancia piena di pietanze gustose made in Italy ed ebbri dei migliori vini del paese.
Anche quel piccolo paesetto in cui si trovava, dalla stazioncina minuscola, aveva i suoi visitatori. Pure quel posto, sebbene abitato da poche anime, presentava tantissime attrattive, opere d’arte, sculture, quadri e chiesette rinascimentali o medievali, che racchiudevano, come tanti scrigni, le bellezze che tutti ci invidiano.
Quella stazioncina appresentava l’ultima tappa prima di arrivare a Bologna. Bologna, era proprio quella, la sede scelta da Italo per piazzare la bomba che avrebbe fatto saltare in aria l’intero convoglio.
Il treno maledetto, carico di passeggeri all`inverosmile, stipati in piedi nei corridoi, si immise in quella stazione per una semplice fermata: quando il ragazzo lo vide arrivare, sentì che il cuore aveva iniziato a battergli con insistenza. Vi entrò con molta fatica, facendosi spazio tra i corpi, in quei pochi minuti in cui si era arrestato per una breve sosta. Piazzò l’ordigno che era contenuto in una piccola, anche se capiente, valigia di cuoio. Lo piazzò vicino alla toilette, senza che qualcuno lo avesse visto entrare ed usci` poi, fulmineamente, dallo stesso vagone in cui era penetrato precedentemente.
Si ritrovò fuori, respirando nella calda e serena mattinata. La graziosa stazioncina era rimasta vuota, dopo la partenza del treno, si udivano solo i melodiosi canti dei pochi uccellini accaldati sulle fronde.
Allora rimise in moto la sua vespa, colorata di verde smeraldo stavolta, e si avviò lungo la statale, in direzione della grande stazione di Bologna dove, qualche decina di minuti dopo, sarebbe dovuto entrare il treno, o i resti del treno, magari trainati da un’altra locomotiva, pieno di cadaveri, che l’ordigno da lui piazzato così abilmente, nel frattempo, avrebbe dovuto far saltare.
Ma anche stavolta capì subito, con grande disappunto, che qualcosa era andato storto. Infatti, una volta giunto alla stazione centrale, si accorse che il treno era giunto bello e in ordine al suo binario, ed anche in anticipo, con tutti i suoi passeggeri ancora vivi. “Maledetti timer – pensò – ci fosse una volta che funzionino bene.”
Erano da poco passate le dieci, quando si accorse che un passeggero, forse un ladro, aveva sottratto la valigia (che non aveva fatto in tempo a esplodere) contenente l’ordigno e l’aveva appoggiata vicino ad una delle sedie in sala d’attesa, più precisamente la sala d’aspetto della seconda classe. La riconobbe subito, da lontano, ma non fece in tempo a fare niente.
Vide un lampo nei suoi occhi e divenne sordo per diversi minuti.
Lo scoppio fu sentito in tutta la città. Fu proprio un bel botto.
Intorno a sé, vide sangue, morti, distruzione, terrore. Per lui, si trattava proprio una bella scena. Sentire la gente che urlava e piangeva, scorgere tutti quei resti umani e quel fiume rosso copioso, meditando che, tutto ciò, tutto quell’inferno, era stato provocato dalle sue mani, lo eccitò a tal punto che fu costretto a correre nel gabinetto, chiudersi dentro, sedersi, rilassarsi, toccarsi il pene e, piano, piano, mentre fuori urlavano le sirene ed il Mondo veniva a conoscere la terribile notizia, iniziare a masturbarsi con enorme piacere e passione. Solo dopo aver raggiunto un orgasmo prepotente e liberatorio, si accorse di essere stato, lui stesso, ferito dall’esplosione. Nulla di grave o di particolarmente doloroso, solo una strisciata al polpaccio. Però fu, a questo punto, assalito da un forte dubbio: avrebbe dovuto lasciar perdere, rimanere nell’anonimato, anche per non essere riconosciuto da qualcuno, e soprattutto, sospettato, o andare a farsi curare dai medici e dai soccorritori accorsi in forze?
E così, manco fosse vittima tra le vittime, senza pensarci tanto e col suo tipico muso di bronzo, si stese a terra vicino agli altri, cadaveri, feriti gravi o feriti lievi che fossero, e, piangendo come un agnello, si fece medicare. I sanitari scoprirono che, oltre al polpaccio, era stato colpito anche da qualche scheggia sulla spalla destra, e gli dissero: “Ragazzo, non temere, non sentirai male, ti mettiamo a posto noi.”
“Grazie – rispose Italo piangendo e gemendo – siete proprio degli angeli.”
La scelta di farsi curare fu la scelta giusta.
Passò, da carnefice qual’era in realtà, a vittima a martire e ad eroe. I medici guarirono le sue ferite abbastanza lievi, ma furono oltremodo amichevoli con lui, data la situazione, e stilarono, a suo favore, una diagnosi in cui si sosteneva che il povero ragazzo sarebbe rimasto invalido per tutta la via, e questo gli fece guadagnare in seguito, dallo stesso Stato italiano, una pensione di invalidità.
Per come parlava e si esprimeva, poi, i medici gli valutarono anche un certo tipo di ritardo mentale, forse dovuto proprio all’esplosione o a malattia congenita (ovviamente bleffava e millantava molto bene.)
Se ne rimase due giorni a mangiare, bere, dormire e leggere i giornali, che erano gratis, nell’ospedale stracarico di pazienti e percorso giorno e notte da equipe televisive e da autorità politiche o istituzionali. Il prefetto in persona venne a stringergli la mano e a fargli coraggio: “Tanti e tanti cari auguri di pronta guarigione a questo giovane italiano – disse - e che tu possa tornare presto al tuo lavoro.”
Gli inservienti avevano, inoltre, piazzato un piccolo apparecchio televisivo vicino al suo lettino bianco, e perciò lui si godeva, dalla mattina alla sera, lo spettacolo, così eccitante, della sua strage, trasmesso e ritrasmesso in mondovisione.
Verso le dieci di sera, mentre era rimasto da solo nella stanza d’ospedale (perché gli altri pazienti erano stati dimessi, ma lui no, in quanto si era lamentato, falsamente, di avere ancora dolori di testa), sopraggiunse una infermiera a fargli una puntura. Si trattava di una bella signora sui quarantacinque anni, molto affettuosa e simpatica, che gli intimò di girarsi e poi di togliersi le mutande. Ma lui, prima si tolse le mutande e solo poi si girò. La donna si trovò, allora, davanti agli occhi un pene in erezione, che era da tanto che non ne vedeva uno. Evidentemente ebbe pena di quel povero ragazzo vittima della peggior strage successa in Italia in questi anni, perciò pensò bene di consolarlo. Gettò subito la siringa nel cestino, pensando che, indubbiamente, il paziente non aveva certo bisogno di vitamine, prese in mano quell’oggetto e si mise, con calma, sopra di lui.
In quei giorni era molto soddisfatto sia sul piano personale ed umano che su quello professionale. Si era recato a Chiasso, appena dentro il territorio svizzero, a controllare il suo conto bancario.
Era arrivato, come accadeva solitamente, nel centro di Como, aveva parcheggiato il suo piccolo scooter, che stavolta aveva appena finito di dipingere di nero, ed aveva valicato il confine a piedi, senza che qualche guardia, alla dogana, avesse notato né lui né la sua moto lasciata a qualche chilometro di distanza, che tanto non aveva targa. Di solito aspettava che ci fossero altre persone ad entrare in Svizzera, ma stavolta era entrato da solo. Non lo avevano notato, né si erano sognati di controllargli i documenti.
Egli ebbe un forte sobbalzo, quando lesse il saldo del suo conto. Ritirò un po’ di contante, lo cambiò in lire e tornò in Italia, che da quella banca benedetta dista solo qualche centinaio di metri.
Era soddisfatto di quella strage: i giornali continuavano ininterrottamente a parlarne, davano la colpa a brigate rosse e brigate nere, alla mafia, alla loggia massonica “P2”, ai servizi segreti americani, sovietici, israeliani, bulgari, cinesi, cileni, greci ed anche italiani. Se lo avessero chiesto a lui, in verità, non avrebbe saputo che cosa rispondere.
Eppure, quel disastro orribile, per quanto possa sembrare atroce ed agghiacciante, così pieno di poveri morti e feriti, non era stato, in fin dei conti, tanto più grave di quello che aveva commesso, sempre e soltanto lui, il giovane Italo, solamente il mese precedente.
Sì, qualcuno la ricorderà la notizia di quell’aviogetto caduto in mare appena 35 giorni prima della strage di Bologna.
Proprio Italo Scanio ( e questo era un altro dei suoi segreti), lo aveva fatto scoppiare in cielo, l’unica cosa che lo aveva infastidito, era stata di non esserselo potuto gustare in diretta ed in prima fila anzi, “dentro la notizia”, come era avvenuto per la strage nella stazione.











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