giovedì 18 luglio 2019

Italo Scanio ( Romanzo 6 Capitolo)

Capitolo Sesto




Dopo la strage sull’aereo e quella della stazione di Bologna, i suoi padroni si erano un po’ calmati. Lo avevano lasciato tranquillo per un po’. Aveva dedicato del tempo per studiare un nuovo sistema di esplosivo e, soprattutto, a cercare di sistemare la struttura dei timer, suo vero e frustrante punto debole.
I giornali, per molto tempo ancora, avevano diffuso delle varie ipotesi sulla distruzione del DC9. La più quotata era quella del missile, che sarebbe stato sparato in volo, contro la fiancata. Italo si era messo a ridere leggendo questa bizzarra ipotesi, e aveva pensato al gustoso “missile” del suo povero amico stewart, quello che il missile, adesso, non ce l’aveva più.
Nei momenti liberi, che ne aveva fin troppi, gli era capitato di passare per i parchi della sua città, a rilassarsi e a pensare. Un giorno, proprio in un giardino pubblico, mentre era tranquillamente seduto su una panchina, venne avvicinato da un ragazzino di dieci anni, dall’aria sveglia e molto simpatico.
“Ciao, io mi chiamo Gimmy”, gli disse, mi tiri il pallone?
“Certo, bambino, prendilo.” Non gli parve vero: si stava divertendo a giocare, come non aveva mai fatto, nemmeno da ragazzino. Venne a sapere che, quel bambino, non aveva padre e gli sembrò di capire che quel piccoletto cercasse di adottarlo.
“E tua madre, dov’è ora?”
“”Là – disse, indicando col ditino – è quella laggiù”
Si trattava di una donna molto bella, bionda ed elegante. Mentre il bambino la indicava, aveva salutato sia lui che il proprio rampollo.
Fu proprio lei a venirlo a conoscere. Le diede la mano, garbatamente e lo ringraziò di aver giocato con suo figlio.
“Mi scusi, la sta disturbando?”
“No di certo, anzi. Mi chiamo Italo, Italo Scanio, piacere.”
“Io sono Elisabetta – rispose con fare regale, tanto che al giovane, parve di parlare con la regina d’Inghilterra – molto piacere di conoscerla.”
Quando se ne andò, Italo pensò a lei molto intensamente. Al fatto che gli piacesse la donna, si aggiungeva il piacere di aver giocato con un ragazzino. Pensò, anche troppo intensamente, al figlio che non aveva e che mai avrebbe potuto avere.
Tornò a casa a leggersi un volume, appena rubato nella libreria centrale, quella vicino alla stazione di Padova, che spiegava i mille modi per costruire un timer perfetto.
In quell’anno, ed in quelli successivi, come i precedenti, in Italia continuavano a succedere fatti eclatanti: assassinii di personalità e di giornalisti e poliziotti e magistrati e semplici passanti da parte di brigate rosse, nar (fascisti), ndrangheta, camorra, mafia e chi più ne ha più ne metta, che qui non ci facciamo mancare niente, ed egli cominciava a sentirsi escluso.
Non riusciva a comprendere i motivi per cui, probabilmente, i suoi mandanti, si affidavano ad altri sicari, invece che chiamare lui, sempre che fossero stati loro, visto che non sapeva per chi e per cosa combattessero. Era arrivato a chiedersi, in un’orgia di fantasticherie, se i suoi attentati dovessero servire proprio a contrastare quella criminalità, e fossero voluti proprio da parte degli uomini di Stato. L’unico fatto certo, era che si stavano varando leggi sempre più severe e restrittive, non solo nei confronti dei criminali e dei terroristi, ma nei confronti della popolazione tutta. Che fosse solo questo lo scopo di tutti quei disatri?
Alzò le spalle, smettendo di fantasticare su queste vicende e si mise a pensare ad Elisabetta.
Era tornato diverse volte, in quel parco, ma di quella donna e del suo piccolo non trovò traccia alcuna.
Il tempo passava, e quasi ogni giorno i quotidiani snocciolavano notizie di attentati, agguati, gambizzazioni, rapimenti, atti terroristici contro tutto e contro tutti.
Nei suoi lunghi studi sugli esplosivi, era arrivato già a produrre un innesco miracoloso, ma aveva anche inventato una specie di detonatore a distanza, azionabile con un rudimentale telecomando: per provarli, questi nuovi aggeggi, andava spesso nei boschi del Trentino, lontanissimo da occhi indiscreti. Percorreva in quei casi, tutta la valsugana col suo scooter e poi si arrampicava in qualche sentiero boscoso che portava in valli incantate. Li` era libero di dar spazio alle sue belle esplosioni, godendo delle bellezze della montagna.
Un giorno, girovagando per Padova, che non sapeva dove andare, entrò nella stupenda basilica di Sant’Antonio, il protettore della città e non solo. La volta celeste di Giotto non riuscì a non sorprenderlo e, per un attimo, sentì un fremito al cuore. E proprio uscendo da quel tempio superbo della cristianità, sentì una vocina pronunciare il suo nome: “Italo, Italo …” il suo cuore ebbe un balzo quando vide, in lontananza, Gimmy che teneva la mano di sua madre.
“Ciao bello.” Poi guardò intensamente negli occhi la nobile Elisabetta, stavolta ancora più elegante: “Posso invitare lor signori al ristorante?” Gli occhi della donna risposero da soli. Si capiva che gli piaceva molto quel ragazzo bello e più giovanile di lei.
Dal quel momento, iniziò una “amicizia” che, nonostante egli avesse ricevuto precisi divieti dai suoi datori di lavoro, durerà assai.
Nei giorni seguenti la loro storia proseguì senza intralci. Arrivò, addirittura, ad accompagnare il bambino a scuola.
“Di che ti occupi?” Lei gli chiese un giorno.
“Sono un libero ricercatore, mi occupo di studi balistici e di chimica applicata.”
Fu il momento in cui prese una decisione, forse si trattò del primo passo falso: abbandonò, in un breve lasso di tempo, la casa della vecchia madre, quella in cui arrivavano i telegrammi con i suoi ordini di lavoro e, dati i consistenti risparmi di cui disponeva, in Svizzera, decise di comprarsi una casa e di andare a vivere con la donna ed il figlio: la famiglia che aveva tanto aspettato.
In una bella mattina di sole, decise di andare a prelevare il contante. Varcò il confine con la sua piccola moto, stavolta dipinta di un vivo colore rosso fuoco. Era la prima volta che usava la Vespa per sconfinare invece di passare la dogana a piedi. C’era molto traffico al posto di blocco: i dolorosi episodi di violenza che avvenivano quotidianamente, in Italia, avevano fatto prendere delle decisioni e dei provvedimenti pesanti a tutte le polizie di frontiera. Il lassismo degli anni precedenti, aveva lasciato posto ad una più ben congegnata rete di controlli, anche nella tranquilla Svizzera.
Ebbe un sussulto quando, mentre se ne stava calmo in fila per entrare, dietro moltissimi altri automezzi, un doganiere gli fece cenno, chiamandolo.
“Lei – gli intimò l’agente svizzero – venga qui.”
Era la prima volta, in vita sua, che un poliziotto gli rivolgeva la parola. Provò una strana sensazione.
“Prego?”
“Venga, venga giovanotto.”
“Vuole – disse deglutendo la saliva – vuole controllare il mio documento?”
“No, no, si figuri, volevo solo dirle che, con questa piccola moto, può passare avanti alle automobili. Vada, vada pure.”
L’Unione delle Banche Svizzere lo aspettava. Prese tanti di quei soldi che riempì, una volta cambiati i Franchi svizzeri con le lire, il borsone, la ruota di scorta della vespa e ogni anfratto delle sue tasche.
Con quel gruzzoletto ben presto comprò una abitazione molto vicina a quella di sua madre, la intesto` a lei, visto che lui risultava nullatenente poi chiamò la bellissima Elisabetta e le chiese, in un sera con la luna, regalandole un magnifico e costoso anello, dopo essersi inginocchiato: “Vuoi venire a vivere a casa mia?”




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